Cos’hanno in comune il pesce rosso, la sponge cake al vapore, le arance e il tofu? Sono tutti piatti tipici del capodanno cinese, il capodanno lunare che quest’anno cade il 1 febbraio. E la credenza popolare ritiene che siano alimenti portafortuna, capaci di attirare soldi, ricchezza, abbondanza. Un po’ come le nostre lenticchie, che tutti quanti si sforzano di mangiare nel cenone dell’ultimo dell’anno anche se non le amano (e sbagliano). Ma se l’identificazione tra i piccoli legumi e le monete è abbastanza immediata e comprensibile, non altrettanto si può dire di molti piatti della tradizione cinese. Anche per chi in quella tradizione affonda le radici.
C’è un interessante articolo su Atlas Obscura che svela un po’ di misteri, lo ha scritto una giornalista di madre cinese, che però ha imparato la lingua solo da adulta. Alcune superstizioni di Capodanno sono facilmente interpretabili: vietato piangere o rompere oggetti, per non evocare la malasorte (un po’ come noi con gli specchi…), vietato fare pulizie o spolverare, per non allontanare insieme allo sporco anche l’invisibile buona fortuna. Ma le tradizioni legate al cibo non sono chiarissime, fino a che non se ne conoscono i nomi.
Per esempio, la sponge cake al vapore: una torta ariosa e semplicissima, che ha anche la particolarità di essere uno dei pochi dolci della gastronomia dell’estremo oriente (una cosa simile la fanno anche in Giappone), solitamente avara di fine-pasto zuccherosi. In mandarino il suo nome è fā gāo (發糕), dove il primo ideogramma è lo stesso della parola fā cái (發財), che significa “arricchirsi”. Il secondo carattere, gāo (糕), si scrive in maniera diversa ma si pronuncia allo stesso modo di un altro gāo (高) che significa “alzarsi”. Pertanto, le torte al vapore ricordano alle persone la ricchezza e l’ascesa nel mondo.
Simile discorso si applica al pesce, alimento base del capodanno lunare in tutta la Cina. Il carattere del pesce, yú (魚), si pronuncia esattamente allo stesso modo di “surplus”, yú (餘). In particolare il pesce rosso, jīnyú, suona esattamente come le parole “oro e giada”: ma siccome il pesce rosso non è tanto buono da mangiare, i cinesi ne hanno fatto una versione fake, una specie di dolcetto caramellato in forma di pesciolino.
Altra cosa molto comune: gli agrumi. Certo è anche il periodo invernale, non a caso pure noi mettiamo mandarini sulla tavola di Natale (per non parlare dei canditi nei panettoni e in molti altri dolci tipici), però in Cina c’è un di più benaugurale nelle arance: la parola chéng zi ( 橙子) è omofona di chéng (成), che significa risultati, successo.
Il fatto è che la lingua cinese è piena di omofonie e assonanze, che spesso sono alla base di credenze e superstizioni: per esempio una particolare diffidenza circonda il numero 4 e tutte le cose che si presentano in questa quantità, dato che il suono (si) è simile a quello della parola “morte”. D’altra parte le omofonie vengono usate anche come trucchi, e non solo come giochi di parole: su Internet per esempio molti scrivono la parola “granchio di fiume” (hé xiè, 河蟹) per intendere “essere armonizzati” (hé xié, 和協), un eufemismo che indica la censura.
Tornando ai cibi di capodanno, Atlas Obscura spiega: “Non tutto, però, è un gioco di parole perfetto. Il cavolo cappuccio (bái cài, 白菜) approssima solo la pronuncia di bǎi cái (百財, “molte ricchezze”). Allo stesso modo, la cagliata di fagioli (dòu fu,豆腐) è un gioco con dōu fú (都福), o “buona fortuna per tutti”. Alcune scelte alimentari derivano dal dialetto. Nella provincia costiera del Guangdong, dove abbondano frutti di mare e molluschi, le persone mangiano ostriche essiccate durante le celebrazioni per il nuovo anno. Come mai? In cantonese, il nome di questa prelibatezza suona vicino alla frase che significa “cosa buona”, 好事”.
Queste particolarità linguistiche hanno finito per influire sulla mentalità, sulla visione del mondo: Laozi, il filosofo cui è attribuito il Tao Te Ching, scrisse “i nomi sono il destino”. Un’idea entrata nel comune modo di pensare: per il cinese le parole non indicano le cose, le parole sono le cose. Puro pensiero magico, si potrebbe dire. Ma anche avanzatissimo pensiero astratto. Se facciamo caso per esempio alle simbologie della nostra tradizione, vediamo che sono tutte legate ad aspetti molto concreti, materiali, appartenenti al mondo naturale: alle già citate lenticchie si affiancano in generale i legumi e tutte le cose che legumi sembrano, cibi fatti da pezzi piccoli presenti in grande quantità (ad esempio, gli struffoli). Oppure: le uova a Pasqua, evidentissimo simbolo di rinascita; e idem si dica per i poveri agnellini, capretti e così via.
E poi eravamo noi quelli del logos, del verbo che era in principio. Vabbè, comunque per stare sicuri stasera una bella ciotola di tofu saltato non me la toglie nessuno.