Fermate le rotative: la pastasciutta non è solo italiana. C’è una fetta di mondo, che poi corrisponde all’Asia orientale, dove il piatto che noi rivendichiamo esclusivo è altrettanto tipico, certamente molto più antico. I piatti di noodles asiatici da Cina, Giappone, Filippine e Thailandia sono consumati ogni giorno da milioni, anzi miliardi di persone. E mentre noi qui ce la meniamo sui massimi sistemi della carbonara cercando invano di codificare una cosa fluida e mutevole come la cucina, gli spaghetti asiatici cambiano, sperimentano e si contaminano a vicenda.
Insomma, fuori dai nostri ristretti confini c’è un universo di carboidrati da conoscere. E anche se spesso nei noodles variano ingredienti, composizione e nomenclature qualche tratto in comune c’è. Il formato di pasta lungo; il corredo succulento di carne pesce e verdure che spesso li rende piatti unici; salse ed erbe di accompagnamento con cui inzupparli o guarnirli.
Posate la forchetta e per una volta mettete da parte l’italica pastasciutta e le infinite polemiche che si porta dietro. Bacchette alla mano, ecco i 10 piatti di noodles asiatici di cui avere nozione: yakisoba, chow mein, lo mein, pad thai, chow fun, dandan noodles, tsukemen, japchae, pancit, zaru soba.
Yakisoba
Yaki (fritto) più soba (noodles) uguale spaghetti stir-fry giapponesi. Chi ci segue (andatevi a rileggere il pezzo sui tipi di noodles asiatici) sa che soba sta per “pasta di grano saraceno”. Stavolta però il nome è fuorviante: deriva infatti da chuka soba, ovvero “noodles cinesi” che tradizionalmente sono a base di frumento. Ciò non toglie che lo yakisoba possa effettivamente essere preparato con soba tradizionali, ramen noodles (con o senza uovo) e udon. In tal caso si parla di yakiudon, tipico di Kitakyushu e Kokura nella prefettura di Fukuoka.
Lo yakisoba è apparso in Giappone intorno al 1930, ed è diventato ancora più popolare dopo la seconda guerra mondiale. Le truppe statunitensi di stanza a Okinawa contribuirono a diffonderlo con gli ingredienti tipici del razionamento: spaghetti, ketchup, spam, maionese, verdure in scatola. Ok, noodles cinesi, ingredienti americani: ma allora cosa c’è di giapponese in questo piatto? Il condimento stir fry (maiale in pezzi, verza, cipolle, carote, germogli) e soprattutto le guarnizioni. Alcuni elementi ricorrenti sono salsa yakisoba simile alla Worchestershire; topping di alga in polvere (aonori), zenzero in agrodolce (benishoga), fiocchi di katsuobushi; e l’immancabile maionese giapponese. L’ingrediente segreto, almeno rispetto alla nostra maionese, è l’aceto di riso. Provatela anche con pollo kaarage (fritto), tonkatsu (cotoletta di maiale) e okonomiyaki (frittata di verdure).
Chow mein
Il premio per il piatto cinese più americanizzato va al chow mein tipico del Guangdong. Questi noodles fritti di frumento ricchissimi di condimento sono comparsi negli Stati Uniti intorno al 1850. L’epoca della corsa all’oro vide abbondanti ondate migratorie verso il West, fra cui quella cinese che si stabilì prevalentemente in California. I business principali dei pionieri cantonesi erano due: costruzione delle linee ferroviarie (in quel momento in forte espansione per unire le due coste) e la ristorazione. Il problema era attirare i clienti statunitensi e, probabilmente per la sua riconoscibilità, la pasta fu dall’inizio il piatto “sicuro” e customizzabile al gusto del paese ospitante. Così, a forza di carne e verdure locali e una generosa dose di dolciastra salsa gravy, il chow mein divenne il ponte gastronomico fra due culture.
Ma veniamo alle origini vere del chow mein, che deriva dal mandarino chaomian e significa appunto “noodles fritti”. Il nord della Cina è stato probabilmente il luogo della loro invenzione, dove era più diffusa la coltivazione del frumento. Via via il piatto ha fatto il giro paese con moltissime varianti regionali, tuttavia il metodo di preparazione alla base è più o meno lo stesso. I noodles vengono prima sbollentati e poi fritti nel wok per renderli croccanti fuori e morbidi dentro; insieme ci sono carne, salsa stir fry e topping di verdure come verza, funghi, germogli, sedano, cipolla. Il condimento è a base di olio di sesamo, salsa soia, salsa oyster, zenzero, zucchero e amido di mais.
Lo mein
Di solito a fare il paio con chow mein troviamo lo mein. Piatto tipico del Guangdong nel sud est della Cina, il nome deriva da laomian o “noodles mescolati”. La differenza principale sta nel tipo di pasta: si tratta infatti di noodles freschi all’uovo con farina di frumento. Anche la consistenza cambia: se il chow mein vuole noodles croccanti, il lo mein deve essere italianamente al dente. In questo caso dunque gli spaghetti sono bolliti e poi mischiati con carne e verdure stir fry (carote, taccole, funghi shiitake) e condimento saporito a base di olio di sesamo, cipollotto, zenzero e oyster sauce.
Anche il lo mein ha fatto fortuna al di là del Pacifico. Negli Stati Uniti è fra i classici takeout da consumare direttamente nelle caratteristiche box bianche e quadrate. Viene spesso servito con un mix di carne e pesce (manzo, pollo, maiale, aragosta, gamberetti) e verdure come pak choi, broccolo e cipollotto. L’accompagnamento classico sono i wonton, i “tortellini” cinesi morbidi al vapore o crispy saltati nel wok.
Pad thai
Piatto portabandiera della Thailandia, il pad thai è lo stir fry di spaghetti di riso, gamberetti, arachidi, uova e germogli. La proteina protagonista di solito è la carne (pollo o maiale), ma può anche essere vegetariano o a base di pesce. Siamo di fronte a un signor piatto unico, con un complesso mix di consistenze e sapori diversi tra cui spiccano dolce, acido e salato. I noodles di riso larghi e piatti vengono aromatizzati con zucchero, tamarindo, succo di lime, aceto e salsa di pesce.
La salsa di accompagnamento, seppur personalizzabile, è di solito composta da peperoncino thai, aceto bianco, zucchero, fette di lime e salsa di pesce a parte. Le guarnizioni (tantissime) possono comprendere aglio fresco, erba cipollina, verdure sottaceto, germogli e fiori di banano dal sapore simile al carciofo.
Le origini del pad thai sono intrinseche al percorso politico della nazione. Negli anni Trenta del Novecento in Thailandia ci fu una ricerca spasmodica di elementi culturali identitari. Del resto si trattava di una fase delicata di crisi economica e ricostruzione post-bellica, e al governo serviva trasmettere un senso di nazionalismo che galvanizzasse la popolazione. Così fu inventato lo “stir-fry thailandese”, che poi è la traduzione letterale di pad thai. A base naturalmente di autarchico riso thai (ricorda qualcosa?), peperoncino thai, gamberetti thai, salsa di pesce thai e così via. Un esempio insomma di gastro-nazionalismo ben riuscito (e non ci sono ministeri della “sovranità alimentare” che tengano).
Chow fun
Nome completo beef chow fun, nome vero chao fen, nome originale shahe fen. Occorre chiarezza. E allora partiamo dall’inizio: shahe fen sono noodles di riso larghi, piatti ed elastici diffusi in Cina e nel sud est asiatico. La versione più popolare sono gli ho fun cantonesi con cui si prepara il chao fen, ovvero il piatto completo che li vede saltati in padella con carne e germogli. Chow fun è la traduzione in mandarino dal cantonese, e il beef (manzo) è ovviamente un prestito americano derivante dal suo ingrediente più popolare.
Per padroneggiare i chow fun di manzo non serve solo una preparazione linguistica, ma anche tecnica. Due in particolare sono i passaggi a cui prestare attenzione: wok hei, o cottura della carne marinata nel wok a fiamma viva; e pow wok, agitare gli ingredienti nel wok in modo omogeneo evitando di rompere o far incollare i noodles. Il chow fun può essere dry-fried (solo con salsa di soia) o wet-fried (con salsa densa agrodolce). Nel primo caso la proteina di elezione è la carne, specialmente manzo; il secondo è più indicato per pesce e crostacei.
Dandan noodles
I dandan noodles o dandanmian sono tipici del Sichuan, regione centro-meridionale della Cina famosa per la cucina piccante. Il piatto è originario della capitale Chengdu, e il nome deriva dal palo di bambù (dandan) portato in spalla dai venditori ambulanti di noodles. Alle due estremità del palo pendevano i cesti in cui erano contenuti gli elementi principali del piatto: da una parte gli spaghetti di frumento, dall’altra la salsa piccante in cui vanno inzuppati. Vera star del piatto, la salsa è costituita da olio al peperoncino, semi di senape, pepe Sichuan, verdure fermentate. I condimenti classici dei dandan noodles sono pasta di arachidi, macinato di maiale e cipollotto, di solito posti come guarnizione a completare il piatto.
Menzione speciale per i discendenti prossimi dei dandan noodles, che curiosamente non sono cinesi ma giapponesi. Si tratta dei tantanmen, piatto fusion tra dandan sichuanese e ramen nipponico. È costituito da un brodo denso di latte di soia, olio piccante (rayu) e pasta di semi di sesamo (chimajan). Viene servito con macinato di maiale, noccioline, salsa di fagioli neri, zenzero, spinaci e aglio.
Tsukemen
Restiamo in Giappone per un piatto di noodles strettamente legato al ramen, che ricordiamo appartenere alla categoria delle zuppe asiatiche. Lo tsukemen è definito dipping ramen e fondamentalmente divide gli spaghetti dal brodo.
Stavolta abbiamo data, luogo e paternità ben definite: lo tsukemen è stato inventato nel 1961 a Tokyo da Kazuo Yamagishi, proprietario del ristorante Taishoken. All’inizio la voce del menu diceva morisoba, ovvero “soba freddi con zuppa a parte”. Sessant’anni dopo il Taishoken va fortissimo a Tokyo e gli tsukemen sono popolarissimi in Giappone e Stati Uniti, pronti a conquistare il mondo.
I noodles più utilizzati per questo piatto sono soba e udon. Dopo la bollitura vengono lavati in acqua fredda per fermare la cottura e mantenere la consistenza elastica. La zuppa, più densa e saporita del ramen standard, è a base dashi, miso o pomodoro. Con lo tsukemen di solito arriva un set di piattini per accompagnare i noodles: aceto di riso, alga nori, olio al peperoncino, omelette giapponese (tamago), germogli di bambù (menma), maiale brasato (chashu), uova sode.
Japchae
Il japchae sudcoreano è il piatto umile che nasconde origini più che altolocate. Si tratta a tutti gli effetti di una portata regale inventata per il Re Gwanghaegun nel Diciassettesimo secolo. Leggenda vuole che il sovrano la apprezzò così tanto da promuovere il cuoco a Segretario del Tesoro e a codificare la ricetta nel manuale di corte coreano.
Ma cosa c’era di così particolare in questo piatto? Japchae significa letteralmente “verdure miste” e all’inizio i noodles non apparivano nemmeno nella ricetta. Si trattava infatti di un piatto completamente vegetale a base di cetrioli, ravanelli e funghi shiitake. Con il passare dei secoli e qualche prestito dalle cucine dei paesi limitrofi, prima fra tutti la Cina, vennero incorporati cellophane noodles e proteine come carne, tofu e pesce.
Oggi i japchae sono uno dei piatti di pasta più popolari e conosciuti della Corea del Sud. Vengono preparati con daengmyeon, glass noodles a base di amido di patata dolce. I condimenti, prevalentemente vegetali, includono tipicamente funghi (wood ear, shiitake, oyster) carote, spinaci, cipolle e uova. Alcune varianti sono gochu-japchae (con peperoni), haemul-japchae (con pesce), buchu-japchae (con aglio). Pur liberato dall’esclusiva della corte, ancora oggi il japchae rimane legato a occasioni speciali come compleanni e matrimoni.
Pancit
Il pancit è il piatto filippino dalle mille identità. Almeno due le costanti: noodles fritti e calamansi, il piccolo agrume simile al lime il cui succo non può mancare nel condimento. Il resto è a discrezione del cuoco, ristorante, famiglia o regione in cui lo si cucina. L’origine del pancit è fusion: da una parte i noodles arrivati dalla Cina, dall’altra le tecniche di cottura introdotte dalla dominazione spagnola tra cui il guisado o sauté.
Il nome (pronunciato pansit) deriva dall’espressione pian i sit, ovvero “cosa economica cucinata velocemente”. Un classico da trattoria dunque, da consumare preferibilmente a casa o nelle caratteristiche panciterias o pancitans. Ecco alcune varianti:
- Pancit canton: noodles gialli all’uovo con carne e pesce, salsa di soia e salsa oyster
- Pancit bihon: noodles sottili di riso con maiale o pollo e verdure
- Pancit palabok: noodles sottili di riso con salsa ai gamberetti e topping di uova sode, chicharron di maiale, gamberetti, cipollotto
- Pancit lomi: noodles all’uovo in brodo con verdure, polpette, prosciutto e fegato di maiale
- Pancit malabon: noodles spessi di riso con pesce e crema di gamberetti, ha topping di uova sode, chicharron di maiale, verza, pesce essiccato
- Pancit lucban: noodles secchi di farina con pancetta, fegato di maiale e verdure servito in un wrap di foglia di banano
- Pancit sotanghon: noodles cellophane con pollo sfilacciato, salsiccia cinese e verdure
- Pancit cabagan: noodles all’uovo con léchon (maialino arrosto), uova di quaglia, aglio e verdure
- Pancit batil patong: noodles all’uovo con macinato di manzo, fegato di maiale, verdure e germogli
- Pancit bato: noodles all’uovo in brodo di pollo con verdure
Zaru soba
Dopo tanta complessità torniamo sul semplice. Gli zaru soba sono i noodles estivi della cucina giapponese: spaghetti freddi di grano saraceno serviti sul cestino di bambù (zaru) che serve a raffreddarli e scolarli. La salsa di accompagnamento mentsuyu o tsuyu, è costituita da sake, mirin, salsa di soia e katsuobushi o fiocchi di bonito essiccato. Laddove lo zaru soba ha come unica guarnizione alga nori e/o cipollotto, il mori soba è del tutto spoglio. In tutti i casi un piatto decisamente zen, che si fa apprezzare proprio per la sua essenzialità. Ecco quali sono altre varianti minimal di soba asciutta giapponese:
- Wanko soba: noodles serviti in piccole ciotole accompagnati da funghi nameko, sashimi o ravanelli con salsa per inzupparli.
- Ita soba: tipici di Yamagata, prendono il nome dai vassoi ita su cui vengono serviti. Sono a base di soba integrale, più rustici e saporiti.
- Hadaka soba: soba freddi senza topping e salse di accompagnamento
- Hegi soba: tipici della prefettura di Niigata, prendono il nome dai vassoi hegi su cui sono serviti. Il piatto è a base di soba e alga funori con a parte mitsuyu, semi di senape, cipollotto e semi di sesamo.