Non scriverò che “Ho mangiato troppa carne” di Lorenzo Biagiarelli, 2023, edito da Cairo Editore, sia il miglior libro italiano sul consumo eccessivo di carne: non ne ho letti abbastanza per poterlo affermare. Scriverò tuttavia, e certa delle mie parole, che queste 204 pagine scritte da un (ex) mangiatore/esperto/amante di carne dovrebbero oggettivamente essere proposte nelle scuole. Biagiarelli – noto non solo come compagno di Selvaggia Lucarelli ma anche come cuoco giramondo che comunica tramite i propri canali social – propone un’introspezione cruda e sincera, che tocca la storia, la tradizione, la sociologia, fatti accaduti, fonti consultabili, interviste (a epidemiologi, attivisti, giornalisti), citazioni e riflessioni che ricordano Yuval Noah Harari (il quale tra l’altro, oltre a essere storico e saggista è anche amante e difensore degli animali).
Non è un libro di narrativa, non è un saggio universitario, non è un libro di ricette, non è – infine – nemmeno un manifesto terroristico nei confronti di chi ancora mangia carne. Non intende forzare un’opinione né uno schieramento: è semplicemente una raccolta di esperienze personali e dati empirici aggiornatissimi, che capita nel momento più caldo sull’argomento. Più caldo letteralmente, date le conseguenze del cambiamento climatico cui stiamo assistendo, e le recenti vicende legate alla peste suina africana e alle pubblicazioni di Report. Lorenzo Biagiarelli mi ha scritto che gli “premeva scrivere un libro più utile che bello“: ci è riuscito, ed è pure una bella lettura a prescindere, un libro coraggioso e dissacrante.
Il cotechino come l’Agnello di Dio
I capitoli sono undici e a colpirmi maggiormente è il settimo, ovvero Perché è difficile rinunciare alla carne. Mi ha colpita perché riesce a mettere insieme tanti trattini che chiunque – in modo più consapevole o meno – ha in testa senza tuttavia riuscire a dargli senso, o volerlo fare. Inizia raccontando un episodio privato ovvero come lui, Lorenzo, sia da sempre considerato l’uomo di casa nonché addetto al taglio del cotechino durante il Natale. Tradizione, quella di casa sua, da sempre ben accolta anche per il suo amore infinito nei confronti della pietanza. E, quest’anno, a Natale non mangerà cotechino: sarà forse “un Natale meno Natale per una serie di motivi legati a quel pezzo di carne. Significa che quello non è più un pezzo di carne, o meglio non lo è mai stato“.
Continua: “il sacrificio animale, nella maggior parte delle religioni, è sempre stato uno degli elementi centrali del rito, familiare o collettivo che fosse. (…) L’aspetto caritatevole del sacrificio raggiunge il suo culmine nel sacramento fondante del cristianesimo, l’eucaristia, in cui la vittima sacrificale è lo stesso Gesù, che non a caso si definisce l’Agnello di Dio“. Insomma, emerge che “la carne non ha mai smesso di essere il punto di contatto gastronomico dell’uomo con la divinità“, e a mio parere è un’affermazione tanto cruda e feroce quanto importantissima da comprendere, interiorizzare. La chiave di lettura di tutta la riflessione, e tra i mattoni fondanti del disastro che negli ultimi decenni abbiamo contribuito a realizzare (direttamente o indirettamente, subendolo e accettandolo).
Suggerire a qualcuno di usare il seitan nelle lasagne
Legandosi a quanto appena riportato, Biagiarelli si sofferma su come in Italia in particolar modo ci sia una sorta di terrorismo nei confronti della cucina in patria. Figuriamoci quando si prova a suggerire di mangiare meno carne o usare un’alternativa: “il cocktail che si ottiene è benzina per il patriottismo gastronomico“, supportata anche da un “marketing divenuto scienza” e dal fatto che nonostante tutto stia aumentando di prezzo, “qualsiasi cosa accada la carne deve costare poco, perché quello è il pilastro principale del suo successo“.
Parlare a un pubblico di seitan al posto del ragù nella lasagna, rende Biagiarelli consapevole delle difficoltà sull’argomentazione, soprattutto se ci si trova davanti a un “Gastrolatra” (l’autore cita Rabelais a riguardo) o il classico soggetto che ha sempre la risposta pronta, del tipo: “e allora la soia per la quale deforestiamo l’Amazzonia va bene?“. Per il Gastrolatra c’è poco da fare, nel secondo caso la risposta di Lorenzo Biagiarelli è spiazzante: quella citata e simili sono a suo scrivere “osservazioni pertinenti perché è vero che dietro la soia c’è l’ennesima lobby interessata al suo sfruttamento. (…) La lobby dei mangimi: il 77% di tutta la soia coltivata nel mondo va a finire nei mangimi per gli animali – polli, maiali e pesci – e solo il 7% in tofu“.
Non per la salute, non per eco-ansia
Gli intenti del libro Ho mangiato troppa carne sono molto chiari: “vorrei raccontare di come io sia riuscito a sconfiggere la mia dipendenza dalla carne ma questo libro non parla di me. Parla di una lunga storia di costumi e di tradizioni, di cibo e di cultura, di salute, di ambiente, di politica, ma soprattutto di futuro“.
E io, che la carne purtroppo ogni tanto la mangio ancora, ho capito perfettamente cosa intenda Lorenzo Biagiarelli con la sua ultima frase: “smettere di mangiare carne non è sintomo di eccesso di empatia, Né ipocondria e nemmeno di qualche forma di eco-ansia. Smettere di mangiare carne è pura, e semplice, strategia di sopravvivenza“. Ed eccolo qui, l’ultimo mattone che rende il cerchio inattaccabile, e che nessuno ha più il potere di controbattere né rompere.