A differenza di quello che crediamo in Italia, la cucina giapponese non è fatta di pochi elementi, sempre gli stessi. Sushi, sashimi, tempura e poco altro.
E quali sono, allora, le linee guida dell’alimentazione nipponica?
Principalmente la semplicità, la freschezza e la bontà degli ingredienti.
Prendiamo i soba: sono pasta di farina e acqua condita con un brodo che sulle prime a noi italiani può sembrare insipido. Stessa cosa per gli udon, noodle preparati con farina integrale di grano.
Uno dei piatti che piace a tutti i giapponesi è il riso bianco mescolato con uovo crudo e salsa di soia (tamago kake gohan), tutto mangiato con alga nori.
Un pasto tradizionale spesso si conclude con il riso bianco annegato in una tazza di tè (ochazuke), che ha un sapore primordiale, ma molto intenso. Sempre a patto che gli ingredienti siano ottimi.
Ma ovviamente le ricette principali della cucina giapponese non finiscono qui. A ondate successive la cucina straniera è arrivata in queste isole riscuotendo immenso successo.
Tempura è un’evoluzione della frittura portata dai missionari portoghesi, come alcuni dolciumi che ancora si producono specialmente nell’ovest (konpeito).
La carne di manzo è rara, si limita al famigerato (per il prezzo) manzo di Kobe, che beve birra e viene massaggiato per ottenere una migliore distribuzione del grasso.
Poi sono arrivati altri piatti occidentali come lo stufato, il curry (dall’Inghilterra), la cotoletta di maiale panata e fritta e anche la pasta. Nel dopoguerra, il consumo di carne è cresciuto anche grazie agli hamburger, alle bistecche, e alle grigliate in stile coreano.
Tutti questi piatti sono stati nel corso del tempo rivisitati e adattati, come i ramen, gli spaghetti in brodo cinesi che in Giappone hanno raggiunto un livello di sviluppo a volte fanatico.
Il risultato è che adesso i giapponesi sono liberi di scegliere tra una varietà di cibi impressionante: non sono pochi i millenial che al riso preferiscono la pasta e che mangiano ogni giorno piatti occidentali.
La cucina italiana è amatissima e viene a sua volta rielaborata e interpretata. Il carpaccio è un piatto ambito, non tanto a base di carne come da noi, i giapponesi lo trovano delizioso se preparato con polpo, spigola, dentice o tonno.
La pasticceria giapponese partendo dagli insegnamenti dei maestri francesi o tedeschi continua a sfornare delizie mescolando gli ingredienti e i generi. Come nel caso della cheesecake anglosassone qui preparata in modo leggermente diverso.
Un aspetto curioso è che queste novità non sono sviluppate e consumate solo da una élite, ma tutti si entusiasmano e vogliono provare le cose che non conoscono.
Il risultato di questa rielaborazione non è come si potrebbe temere la scomparsa della tradizione ma, al contrario, la sua forza, visto che la cultura gastronomica giapponese si basa sulla commistione di cucine diverse e l’adozione di nuovi ingredienti.
Un tempo non era così anche per la cucina italiana?