L’ossessione dei giapponesi per la pizza napoletana

In terra giapponese sono letteralmente ossessionata dalla pizza napoletana, così tanto da farne un ottimo prodotto. I segreti sono semplici: si impara dai maestri, si acquistano i forni giusti e le materie prime migliori. Esattamente come una buona pizzeria napoletana.

L’ossessione dei giapponesi per la pizza napoletana

Chi sono, secondo voi, le star tra le più amate della televisione giapponese?

Ebbene, non ci crederete, ma sono i pizzaioli.

I pizzaioli, sì.

E ad informarci di questa nuova tendenza, o per meglio dire ossessione, del mondo nipponico è di nuovo Daniel Young, già da noi conosciuto quale l’autore di Where To Eat Pizza, discussa guida alle (presunte) migliori pizzerie del mondo e delle cui classificazioni, e relative perplessità, Dissapore ha già ampiamente parlato.

Dunque, come scrive Young sul mensile americano Food and Wine, i pizzaioli giapponesi starebbero vivendo il loro momento di gloria e popolarità.

Non però tutti i pizzaioli, ma una categoria ben definita e delimitata di pizzaioli: quelli cioè che si sono formati e hanno imparato il mestiere nella patria della pizza, vale a dire a Napoli.

Loro sono le nuove stelle della cucina giapponese, loro che fanno del Giappone il terzo Paese al mondo, dopo Italia e Stati Uniti, per numero di esercizi –ben 54– che possono fregiarsi del sigillo di approvazione dell’Associazione Verace Pizza Napoletana, fondata nel 1984, e che promuove e tutela la vera pizza napoletana nel mondo grazie a un dettagliato e rigido disciplinare.

In realtà, l’ossessione per la pizza è relativamente recente in Giappone: fino almeno al 1990, infatti, la pizza locale consisteva in un anonimo disco di pasta tristemente guarnito con i condimenti più disparati, dalla maionese al pollo teriyaki fin anche alle  uova di merluzzo.

Alternativamente, nei caffè di quartiere si poteva avere una  spessa lastra di pane tostato condita malamente con del pomodoro acquoso, ove annegavano brandelli di vegetali e chiazze di formaggio indefinito.

Ma poi, a partire appunto dai primi anni ’90, un manipolo di coraggiosi è partito alla volta di Napoli, per imparare come si fa veramente un buona pizza napoletana e, una volta tornati in Patria, ha messo a frutto i preziosi insegnamenti appresi.

Akinari ‘Pasquale’ Makishima è proprio uno di questi pionieri, pizzaioli doc formatisi in Italia che, tornati in Giappone, hanno riscosso un crescente successo basato sugli insegnamenti di maestri pizzaioli come Gaetano Esposito e Gaetano Fazio; insegnamenti di cui ha fatto tesoro mettendoli in pratica alla lettera.

Sia facendosi arrivare dall’Italia i forni su misura dal maestro Gianni Acunto, che gli ingredienti pregiati e rispettosi della più classica tradizione napoletana, quali la farina 00 (Akinari privilegia la Caputo), i pomodori San Marzano e la mozzarella di bufala campana DOP, per preservare la tradizione della verace pizza partenopea.

Ma Akinari non è certo l’unico pizzaiolo giapponese a riscuotere fama e popolarità: tutti i suoi colleghi che hanno imparato il mestiere nella patria della pizza, sono ormai diventati personaggi molto richiesti, e il fatto di essere stati addestrati proprio a Napoli, a quasi 10.000 km di distanza da casa , costituisce agli occhi dei giapponesi il più alto merito.

Imparano dai maestri, e seguono tutto – dice Antimo Caputo del Mulino Caputo – E cercano di essere perfetti”.

Come appunto Akinari “Pasquale ” Makishima, che ha aggiunto il suo secondo nome proprio in omaggio a uno dei suoi primi maestri napoletani, Pasquale Parziale.

E ‘ comune tra i pizzaioli giapponesi che hanno vissuto in Italia essere collegati a un maestro pizzaiolo“, osserva Rossella Ceccarini, autrice di “Pizza e pizzaioli in Giappone: un caso di globalizzazione culinaria”, e con dottorato presso la Sophia University di Tokyo.

L’apprendistato è molto apprezzato nella società giapponese – continua Ceccarini. Gli allievi imparano dal maestro, e solo quando hanno imparato l’arte alla perfezione iniziano a effettuare qualche innovazione”.

E quest’arte, Akinari l’ha imparata talmente bene da classificarsi al primo posto nel Campionato Mondiale dei Pizzaioli 2010, nella categoria STG (Specialità Tipica Garantita).

Ma Akinari non è certo l’unico pizzaiolo giapponese innamorato della pizza napoletana.

pizzaiolo giapponese

Uno dei promotori della vera pizza napoletana in Giappone è stato  Yoichi Watanabe, chef con carriera decennale in Italia e che, al suo ritorno in patria alla fine degli anni Novanta, portò con sé le conoscenze maturate nel Belpaese, aprendo a Tokyo la sua Pizzeria Partenope.

In un’intervista al Wall Street Journal, Wanabe ha candidamente dichiarato che in Giappone “non si aveva l’abitudine di mangiare o utilizzare pomodoro, formaggio o olio d’oliva: erano degli ingredienti estranei alla nostra cultura.

Ma poi abbiamo studiato diligentemente”. E questo studio appassionato da parte di Wanabe e colleghi ha portato il Giappone a essere uno dei Paesi dove si può gustare una delle migliori pizze napoletane al mondo, esclusa solo l’Italia, e in particolar modo Napoli, come dichiara sempre al Wall Street Journal Roberto Scardigli, responsabile della divisione giapponese della casa di moda Roberto Cavalli.

Insomma, i giapponesi hanno imparato perfettamente i segreti della pizza, e li hanno magistralmente divulgati in patria, grazie agli insegnamenti e ai consigli dei nostri valenti maestri pizzaioli.

E a breve, se continueranno su questa strada, l’allievo potrebbe persino superare il “sensei” (maestro in giapponese).

E se avete in mente di andare in Giappone, ecco alcuni nomi dove, a Tokyo, potrete gustare una vera pizza napoletana. Proprio come a Napoli.

IL PIONIERE

seirinkan

Seirinkan è stato iniziato all’arte della pizza da Susumu Kakinuma, considerato il padrino della pizza napoletana in Giappone.

Il cinquatacinquenne intraprendente pizzaiolo ha dichiarato di non aver mai avuto ben presente cosa fosse una vera pizza napoletana fino almeno al 1984, anno in cui visitò l’Italia.

Dopo aver quindi appreso i segreti della pizza dai mastri italiani, Kakinuma è tornato a Tokyo, dove attualmente gestisce il Seirinkan, la sua particolare pizzeria con arredi ispirati al libro “Ventimila leghe sotto i mari”, di Jules Verne.

Qui la sua particolare margherita con poca salsa di pomodoro, abbondante olio di oliva, mozzarelle e basilico, è una delle pizze più richieste.

LA TRATTORIA

trattoria da isa, giappone

La pizzeria-trattoria DA ISA, nel quartiere alla moda di Nakameguro, a Tokyo, è un locale che vuole rifarsi alla tipica atmosfera delle pizzerie italiane, ed è spesso frequentata da emigrati italiani, ma anche Alberto Zaccheroni, manager della nazionale giapponese, è un cliente abituale.

A Napoli, la pizza è considerata un cibo popolare, per le masse, ma non così è a Tokyo –dice Hisanori Yamamoto, pizzaiolo e proprietario del locale. Qui la pizza richiama alla mente un cibo gourmet, più che popolare”. Ma non nel suo ristorante. Yamamoto sforna 600/800 pizze a sera, con più di 30 diversi topping. Le pizze sono spesso irregolari, imperfette, ma per Yamamoto questo è il vero spirito della pizza napoletana.

IL MINIMALISTA

pizzeria frey tokyo

Shougo Yamaguchi, ha aperto la famosa Pizzeria Frey tre anni fa nel distretto di Roppongi, e la pizza riflette la sua filosofia minimalista.

“Voglio che i clienti assaporino la bontà dell’impasto, per questo non uso condimenti troppo saporiti che potrebbero alterarne il sapore”, dice Yanaguchi. “D’altronde, la specialità di noi giapponesi, è quella di semplificare le cose”.

Filosofia che si riflette anche nel menù essenziale e nello spartano ma accogliente locale.

IL PURISTA

al savoy, tokyo

Al Savoy, un minuscolo ma accogliente locale aperto nel 2006 a Tokyo, nel raffinato quartiere di Azabu-Juban, le pizze servite sono solo due: margherita e marinara. Altri condimenti non sono ammessi, come raccomanda l’ortodossia napoletana della pizza. Un locale che punta all’essenza.

[Crediti | Dissapore, Wall Street Journal, Food and Wine]