Anche se non se n’è accorto nessuno ci stiamo avvicinando all’estate. E al gelatismo in tutte le sue declinazioni: dalle prossime 97 aperture milanesi, ai gelati fatti a mano con 17 ore di lavoro e materia prima a metro 0.
Ci attendono battaglie inusitate.
Quelli che non riconosco l’industriale dal naturale, quelli che denunciano alla magistratura chi fa pagare la panna, quelli che sono troppo vaporosi e quindi usano la chimica per non farlo sciogliere.
Poi ci sono i contestatori della classifica di Dissapore, i sospettisti della vaschetta non esposta e quelli che lo mangiano solo se fatto come una volta, anche se hanno 18 anni e non hanno mai mangiato il gelato di una volta.
Alla fine mi sta bene tutto, anche perché vado matto per il gelato.
Un po’ meno per la patente di degustatore che ormai va esposta per leccarne uno. A proposito anni fa avevo teorizzato la possibilità di fornire al cliente uno strumento di riscaldamento del palato da alternare all’assaggio. Così ogni leccata è come la prima volta (N.B. la sentenza contiene ambiguità). E addio alla bocca anestetizzata dal freddo.
Torniamo seri.
Una sola cosa patisco veramente moltissimo: il gelato gastronomico.
Potrei scrivere “gourmet” ma mi prende una fitta all’ipotalamo. Ecco l’ho fatto, ora sto male. Non ci arrivo davvero, non capisco quel sottile e macabro desiderio di mettere le costolette di agnello nel gelato, probabilmente perché io ordino solo nocciola e pistacchio o lamponi e liquirizia.
Però constato essere una pratica dilagante che mi costringere a fuggire da alcune gelaterie sulla carta notevoli di cui non sopporto la scelta dei gusti.
E mi fa chiedere se i clienti apprezzino davvero o se come nella ristorazione esistano le gelaterie per giornalisti e quelle per la gente comune.
Forse sbaglio, tutti sono entusiasti del loro cono al tè verde, cardamomo e pomodori secchi e sono in minoranza, almeno in quel microcosmo di deviazione chiamato gastrofanatismo. Alcuni proprio non riescono a farne a meno: il nostro gelatiere redazionale Andrea Soban, per esempio, mi ha spiegato che “nelle gelaterie moderne un gusto fighetto ci deve stare sempre”.
Amen.
Al di là del gelato alle costolette di agnello, che mi sono inventato e spero non esista, la mia top five horror conta:
Il gelato al gorgonzola
Il gelato ai porcini
Il gelato ai ricci di mari e ai pesci in generale
Il gelato al rosmarino
Il gelato al vino (leggevo l’altro giorno del lancio di quello al Chianti)
L’idea di associarlo a certi sapori mi atterrisce, non c’è niente da fare. Ancora una volta mi ricorda quanto sono vecchio o, usando una parola molto in voga oggi, populista.
Tempo fa Allan Bay, autore di parecchi bestseller culinari, mi ha accusato di populismo per aver criticato una pizza al prosciutto, colpevole a mio proletario avviso di costare un tantino troppo –28 euro.
L’accusa mossami era quella di impedire alla pizza di nobilitarsi. Come se una margherita o un gelato alla nocciola non fossero nobili a sufficienza.
Facciamo che ne riparliamo tra dieci anni?