Se ti capitasse di passare a pranzo a casa della signora Lia B., 80 primavere vissute all’ombra della Madonnina, un qualunque lunedì dell’anno, ti metterebbe in tavola un piatto di polpette fritte. Ma guai a chiamarle come nel resto d’Italia. Perché non sono polpette, sono mondeghili. “Hinn minga polpètt, hinn mundeghin”, ti redarguirebbe la sciura.
Poi, ti spiegherebbe che con il termine polpette, a Milano, ci si riferisce agli involtini di verza ripieni di carne. Diversi dalle polpette appiattite, impanate e fritte in padella, i mondeghili appunto, che cucina immancabilmente a inizio settimana con quel che è rimasto del pranzo della domenica, ovvero avanzi di bollito o, più raramente, di arrosto.
La ricetta dei mondeghili fatti in casa
Farsi dare le dosi è difficile. Perché la ricetta dei mondeghili non esiste, dice la signora Lia. Che, come tutte le cuoche casalinghe di lungo corso, va immancabilmente a occhio. Ecco, comunque, quello che sono riuscita a estorcere il lunedì che mi sono seduta al suo desco e, alla fine, ho concepito questo articolo.
La ricetta classica, per 4 persone, prevede circa 500 grammi di carne cotta avanzata. Il lesso misto, mi spiega, è meglio dell’arrosto (ma in caso ci si arrangia eh) perché ha tutte quelle parti gelatinose (noi gastrofighetti parliamo di connettivo) che mantengono i mondeghili morbidi.
Poi, confida, qualche volta ha usato anche il brasato e lo stracotto e sembra che l’esperimento le sia piaciuto.
Quale che sia, la carne si trita possibilmente al tritacarne (come fa lei), oppure nel mixer (come immagino io) ma senza tenerlo troppo in azione, per non ridurla in poltiglia.
Al ricavato Lia aggiunge un uovo, un panino spezzettato e inzuppato di latte, sale e pepe. Poi forma polpette di 4-5 cm, che appiattisce a un paio di cm di spessore e passa in un pangrattato grossolano, naturalmente casalingo, preparato ogni settimana con il pane secco rimasto in dispensa.
La frittura avviene rigorosamente nel burro. L’anziana padrona di casa non ha mai saputo dell’esistenza del burro chiarificato (che invece io mi sento di consigliare) e quindi il suo grasso in cottura assume un deciso color nocciola, ma in fondo è il suo buono.
Varianti e aggiunte
Capito che mi ero infilata in un universo di ricette di famiglia, ognuna col suo ingrediente segreto e la sua formula più o meno codificata, ho indossato le vesti della perfetta giornalista d’inchiesta e ho iniziato a intervistare le signore in fila dal macellaio, le più âgée fra le mie vicine, ma anche qualche simpatico pensionato del quartiere con la passione per la cucina tradizionale.
Ho scoperto che per molti di loro è irrinunciabile un “nonnulla” di noce moscata (che bella quantità, un “nonnulla”!), mentre altri mutuano una grattugiata di scorza di limone dalla gremolata che rifinisce l’ossobuco (òss büüs).
Del resto, il tocco agrumato è previsto anche nella De.Co., la ricetta a Denominazione Comunale che specifica il tipo di pane, la michetta, ma poco ci dice sulla qualità della carne, parlando genericamente di “avanzata”, quali che siano tipologia e cottura.
Così, sono legittimate le aggiunte più svariate e qualcuno mette meno ciccia e più salsiccia (fresca), mortadella bolognese o persino mortadella di fegato.
Chi, poi, ha poca materia prima la “rimpolpa” con una o due patate lesse, che possono chiamare un uovo in più.
La patata è l’aggiunta preferita anche da chi utilizza carne arrosto, in genere più asciutta: nonostante ciò, i mondeghili con la patata risultano sempre un po’ gnucchi (altro termine dialettale che si può tradurre con “difficili da ingoiare”) e magari richiedere l’abbinamento con una salsa, ma ci arrivo fra poco.
Un salto in bottega
Nel viaggio che i piatti della tradizione intraprendono dalle cucine di casa fino a quelle dei ristoranti, c’è spesso una tappa intermedia: la bottega.
Nel caso dei mondeghili non c’è dunque luogo migliore di una macelleria storica per carpirne i segreti, questa volta professionali. E scoprire che quel che il negoziante mette in mostra sul banco affonda le sue radici, ancora una volta, nelle care vecchie consuetudini familiari.
“Una volta mia nonna mise in tavola 25 mondeghili. Io ne mangiai 19 e ancora se ne parla a casa”, racconta Daniele Biassoni, quarta generazione alla guida della Macelleria Maggio, sita dal 1922 nel popolare viale Monza e specializzata in carni bovine piemontesi, che arrivano dagli allevamenti di proprietà nel cuneese, nell’astigiano e nel Monferrato.
In vetrina non manca la proposta di “pronti da cuocere” su cui svettano proprio i mondeghili, solo da rosolare in padella 10-15 minuti o, volendo, spennellare d’olio e ripassare in forno a 150° per una ventina di minuti. I super pigri possono poi approfittare di quelli già cotti, che basta scaldare.
La ricetta del macellaio
I mondeghili di Macelleria Maggio pesano 90-100 grammi l’uno e sono composti per circa il 90% da lesso, preparato appositamente con muscolo (in pratica, la parte della gamba da cui si ricava l’ossobuco, privata dell’osso) e biancostato di manzo, ma anche vitello e pollame come gallina o cappone, e naturalmente odori.
Per dovere di cronaca, il brodo di risulta è impiegato nella preparazione del risotto in vendita due giorni alla settimana.
Alle carni, macinate al tritacarne a fori larghi, sono aggiunti mortadella, prosciutto cotto e salsiccia fresca, parmigiano, latte, aglio e prezzemolo. Il pangrattato è usato solo per la panatura esterna.
Piccola notazione tecnica: se vanno bene i tagli ricchi di connettivo, come ricordava la signora Lia, il grasso in eccesso viene invece scartato perché un impasto che ne fosse troppo ricco in cottura potrebbe “scoppiare”.
Ultima curiosità: introdotti intorno agli anni Novanta insieme alle altre proposte “semilavorate”, all’inizio erano chiamati “polpette della nonna” e non riscuotevano grande successo, forse visti con sospetto come tutti gli impasti di carne che “chissà cosa ci hanno messo dentro”. Ma è bastato chiamarli mondeghili perché fosse boom e oggi in macelleria vengono preparati 2 volte al giorno.
Mondeghili da chef
Per molti, i mondeghili più buoni di Milano sono quelli che prepara Cesare Battisti al Ratanà. Anche in questo caso, la carne viene cucinata apposta. Si tratta di vitello (circa 400 g), lessato insieme a cipolla, carota e pochissimo aglio. La differenza con le ricette viste fin qui è che la carne è macinata insieme agli ortaggi, poi mescolata con pane raffermo (100 g) bagnato nel latte, legata con uovo e parmigiano e profumata di noce moscata.
Non li ha sempre in carta, data la “fluidità” che appartiene al suo menu, ma li ama Diego Rossi di Trippa. Che, naturalmente, li interpreta a suo modo e ci mette nientepopodimeno che il cotechino: che non solo è ricco di connettivo (e qui, non fa che confermare le parole della signora Lia e di Daniele Biassoni), ma è già condito e, quindi, dà un guizzo al gusto.
“Soprattutto se si usano carni magre come pollame e vitello, serve una quota di collagene che diventa gel e regala morbidezza”, spiega Diego.
Poi, se manzo deve essere, che sia cappello del prete, guancia, stinco. Quando gli chiedo dosi a spanne, propone un 30% cotechino e, addirittura, un 10% di testina e/o persino di lingua, che non ha connettivo ma apporta tenerezza.
Amante dei sapori forti, abbonda con l’aglio, vota per il parmigiano ed è possibilista con la patata.
Così come con eventuali salse di accompagnamento, sebbene non previste dal disciplinare. “Ci vedrei bene una salsa verde, che adoro per la sua acidità, con tanto prezzemolo e tanto aglio”. E così sia.
Mondeghili pop
A proposito di salse, sono accompagnati da uno zabaione salato i deliziosi mondeghili serviti da Crocca. Che ci azzeccano – mi dirai – con la pizza (per altro, in stile romana), che è la specialità del locale ?
La risposta va cercata nel boom della cucina milanese in città. Che esce dalle trattorie d’antan per entrare in locali modaioli e pop.
Ed ecco che anche i pizzaioli, accanto a margherite, bufaline e compagnia, propongono cotolette, risotti e queste polpettine.
Da Crocca sono tondeggianti, anziché appiattite, con un impasto composto per il 25 per cento da salsiccia. Altro tocco fighetto, la panatura nel panko, il pangrattato giapponese. Che, in onore al nome del locale, rende i mondeghili croccantissimi.
Parlando di seconda giovinezza della cucina meneghina, mi piace citare il successo del ristorante Dal Milanese (appunto), recente apertura stilosa e sempre affollata che fa dei mondeghili uno dei sui cavalli di punta.
La base è mezzo chilo di reale di manzo, lessato con carota, sedano, patata e mezza cipolla e passato al tritacarne con le verdure. Il composto è impastato con 100 grammi di luganiga e 100 grammi di lodigiano grattugiato, un paio di uova e – ingrediente segreto (ora non più!) – un pizzico di cannella. Questi mondeghili sono fritti in burro e salvia e serviti con salsa verde o tartara.
Le verdure sono aggiunte anche all’impasto dei mondeghili di Meatball Family, catena di locali pop che più pop non si può, firmati da Diego Abatantuono. La carne scelta è il biancostato di manzo. A 500 grammi di carne, cotta con gli odori e macinata, si uniscono 50 grammi di mortadella, 50 grammi di grana, 3 uova, 100 g di pane raffermo bagnato nel latte e prezzemolo tritato.
Milan l’è un gran mondeghilo
La carrellata di mondeghili in città potrebbe andare avanti all’infinito citando insegne di ogni ordine e grado. Alla Trattoria del Nuovo Macello sono accompagnati da una salsa agrodolce stile ketchup. Al Garghèt si usa ancora la ricetta della signora Teresa, la madre della titolare, le carni sono arrostite e insieme al manzo c’è anche il maiale. Da Masuelli, oltre a carne e salsiccia, ci sono salame, spinaci o verza.
Io, di mio, sto già ragionando su come farli il prossimo lunedì. Intanto, vado a comprare un bel taglio di muscolo. E un po’ di luganiga.