È uscito un nuovo libro di Shirley Jackson e contiene un racconto che parla di cucina. Il che è sorprendente non tanto perché l’autrice di Hill House abbia parlato di cibo, quanto perché ci restituisce l’immagine di un vero stronzo rappresentato attraverso un cuoco. Se non vi sembra un topos letterario innovativo, considerate i tempi in cui è stato scritto.
La scrittrice, nota anche per La lotteria, oggi avrebbe 104 anni appena compiuti (auguri!), ma purtroppo ha lasciato questo mondo nel 1965, a soli 48 anni. Eppure, ecco un libro di inediti: tutto è partito, come nelle più classiche storie inventate, con dei dattiloscritti trovati sul fondo di un baule, che hanno stimolato i figli ed eredi a mettersi in cerca di altro materiale, e a raccogliere racconti e opere mai pubblicate, o pubblicate solo su riviste ormai introvabili. È un fondo di baule che non è fondo di barile, perché i pezzi sono bellissimi, anche se ovviamente non tutti all’altezza dei suoi capolavori. Lo pubblica Adelphi, con il titolo La luna di miele di Mrs. Smith, nella traduzione di Simona Vinci.
Jackson non ha parlato spesso di cibo, ma ha parlato spesso di case, di donne, e di donne in casa. (E cosa fa una donna in casa?) Abbiamo sempre vissuto nel castello, Lizzie, L’incubo di Hill House: storie sovrannaturali e di terrore, che però trovano un fondamento solido nell’orrore che è la realtà quotidiana. Soprattutto per le donne. Invito a cena – il racconto in questione – inizia con una giovane donna che sta tornando a casa con la spesa, tutta trafelata, agitatissima per la prova che la aspetta, in un certo qual modo già sconfitta.
Shirley Jackson la quiet desperation della donna nella provincia americana la conosceva bene, vivendola in prima persona. Era sposata con un professore universitario e critico letterario: anche se a un certo punto guadagnava dieci volte più di lui, ed era famosa diecimila volte più di lui (oggi, dieci milioni di volte), era pur sempre una che lavorava – ammesso che quello di scrittrice si potesse considerare un lavoro – da casa. Quindi, una casalinga. E come da copione, aveva un sacco di figli, ben quattro, che si spupazzava da sola, mentre faceva le pulizie, rassettava, cucinava.
Personalmente ho sempre trovato fastidioso il metodo di cercare corrispondenze biografiche nelle opere degli scrittori. Ma è difficile non farlo con Shirley Jackson, come ha detto Claudia Durastanti in un pezzo-guida sulla scrittrice, quando è lei stessa in più di un luogo a stabilire la connessione:
Trovo molto difficile distinguere tra vita e finzione. Sono una scrittrice che, per una incredibile serie di coincidenze, si trova seduta alla macchina da scrivere per poche ore al giorno, visto che trascorro il resto del tempo a passare l’aspirapolvere sul tappeto del soggiorno, a portare i figli a scuola o a cercare qualcosa di nuovo da preparare per cena.
(Come scrivo, in Paranoia)
Invito a cena – come molti altri racconti del nuovo libro – non è una storia di paura, anche se non manca un tocco magico, ma no spoiler. È una storia leggera e divertente, condotta con ritmo e brio. L’altro protagonista, l’antagonista si direbbe, è un uomo decisamente antipatico, con quel senso di superiorità tipicamente maschile. Ecco come lo descrive la protagonista:
… è bellissimo, in quel modo virile che funziona perfettamente nei film, ma diventa atroce se uno come lui lo incontri tutti i giorni in ufficio. Ha una bella abbronzatura artificiale, gioca a golf, mangia con appetito e, soprattutto, adora indossare un ridicolo grembiule e mettersi ai fornelli per dimostrare alle donne com’è che si cucina. Talley ama ripetere che non esiste una sola donna al mondo in grado di cucinare una bistecca come piace a un uomo. O gli spaghetti. O il pollo fritto. Le donne – e dovreste vedere l’espressione di afflitto disgusto sulla sua faccia – prendono dell’ottima carne e la ricoprono di salse appiccicose.
Un uomo perfetto, un perfetto stronzo. Poi la ragazza presenta sé stessa, senza esaltarsi ma anche senza sminuirsi. E termina così:
… sono forte, in buona salute, ho delle belle gambe e dei ricci naturali. E, come mille altre ragazze, detesto che un uomo – qualsiasi uomo – mi parli con quel tono di voce leggermente paternalistico che usano talvolta gli uomini, cominciando le frasi con “Il problema, con le donne, è che…”.
Oggi Shirley Jackson, oltre a godere di una meritatissima riscoperta presso il grande pubblico, partita grazie alla serie Netflix The haunting of Hill House, è anche un simbolo femminista, una bandiera per le giuste battaglie delle donne. Curioso poi, perché la scrittrice non è mai stata un’attivista in senso stretto: però, come si è detto, di tematiche femministe gronda tutta la sua opera, dagli scritti più cupi alle pagine satiriche, come questa.
La protagonista del racconto, con un atteggiamento testardo tipicamente – femminile? Maschile? Direi umano – invece di schifare un tale pessimo individuo, si mette in testa di fargli cambiare idea a suon di manicaretti. Peccato che, a differenza delle altre donne che hanno tentato e fallito prima di lei, per sua stessa ammissione non sappia neanche dove mettere le mani, in cucina. Seguono infatti pagine di una comicità quasi slapstick, con lei che ripone la spesa in dispense vuote e ripiani di frigo tristissimi, e iniziando a preparare combina un disastro dopo l’altro: sparge farina dappertutto, fa volare per aria lo spremiagrumi, rovescia la crema sul libro di ricette, brucia le patate in forno e riesce addirittura a lanciare le costolette di agnello dalla finestra.
Per fortuna viene salvata da un personaggio che appare dal nulla, una vecchina che potrebbe essere un’amica della mamma, e che la osserva prima senza fiatare, ma poi intervenendo e facendo andare tutto a posto. Il personaggio misterioso le fornirà un decisivo aiuto pratico e un fondamentale consiglio teorico. Di più non posso dirvi.
Quando lo stronzo arriva, riesce a stento a trattenere lo stupore di trovarsi davanti una tavola elegantemente apparecchiata, e delle portate che si susseguono con tempistiche perfette, quasi come se sapesse del caos che aveva dominato fino a poco prima. E nonostante ciò, nonostante poi all’assaggio i piatti si rivelino deliziosi, non può fare a meno di lanciarsi nel più classico dei mansplaining:
… aveva preso tre focaccine, commentando che probabilmente erano pesanti come il piombo (…) “Lo sai? – disse a bocca piena – Sono davvero squisite”… “Ci sono un paio di trucchetti per fare le focaccine, e scommetto che tu ancora non li conosci… usi la farina comune, non è vero?… ecco questo è sbagliatissimo, è così che cucinano le donne… Perché vedi, quando voglio fare delle focaccine, io vado in un negoziato che conosco, giù in città, e dico: “Ascoltatemi bene, non voglio una farina qualsiasi, voglio quella farina speciale che tenete da parte per Hugh Talley”.
Talley, lo stronzo, che per tutto il racconto viene chiamato con l’appellativo di cuoco, anche se è solo un amatore, ricorda quegli chef, loro sì, professionisti, che si sono più volte distinti per atteggiamenti di aperto maschilismo. E non negli anni sessanta, ma adesso. Sì, perché la cucina è il cuore della casa, e la donna è la regina della casa, quindi la donna e la cucina sono una cosa sola. Però quando la cucina smette di essere casereccia e privata, diventando pubblica e da ristorante, quando il cuoco diventa chef e il suo ruolo sociale non è confinato ai fornelli ma esaltato nello show cooking, ecco che magicamente il food è roba da uomini, da maschi.
Come finisce l’Invito a cena di Shirley Jackson? Finisce proprio con la torta al limone – la prima cosa che aveva iniziato a preparare, che come sapete è l’ultima che si porta a tavola – la quale torta viene servita nel modo più consono a un tale ospite.
Mi racconto storie tutto il giorno, e sono riuscita a intessere una favola di infinita complessità intorno agli oggetti inanimati di casa mia, tanto che nessuno dei miei familiari si stupisce se sposto la piastra per le cialde su un altro ripiano. Perché nella mia storia ha litigato con il tostapane e se li lasciassi vicini potrebbero picchiarsi; avevano litigato, tra parentesi, perché avevo comprato quelle cialde surgelate che si mettono nel tostapane, e la piastra era furiosa. Certo, sembra una cosa un po’ folle, ma riesce a addolcire la fredda realtà. E a volte la trasforma davvero in un racconto.