Lunga e frastagliata, la Croazia è una delle perle dell’Adriatico. Oltre a panorami costieri mozzafiato, città fortificate degne di Game of Thrones – per alcuni Dubrovnik è ormai più famosa per essere il set di King’s Landing – e parchi naturali incantati pieni di laghi e cascate, la Croazia offre una gamma impressionante di piatti tipici.
Vi verrà da pensare subito alle specialità di pesce come gli scampi, a detta di tutti i migliori dell’Adriatico, al brodetto preso in prestito dalle dirimpettaie regioni di Marche e Abruzzo, e al risotto (rižot) al nero di seppia che qui va tantissimo. Tutto giusto, ma dovete sapere che la cucina croata è anche cucina quella dell’entroterra, con influenze slovene, austriache, serbe e turche: e quindi troviamo corposi piatti unici di carne come la pašticada dalmata e la kotlovina, stufati di pesce d’acqua dolce come il fišpaprikaš, e gli štrukli al formaggio, il piatto nazionale che arriva dal nord.
Le vostre vacanze dunque non possono essere complete senza un assaggio trasversale dei piatti tipici croati, un ricettario sorprendentemente ampio che varia tantissimo a seconda della regione di appartenenza. Ecco cosa mangiare in Croazia in 20 piatti tipici.
Maraschino
Quando si dice il bicchiere mezzo pieno. La nascita del maraschino, il distillato di ciliegie marasche tipico di Zara, è infatti un merito condiviso tra Croazia e Italia. Se, da una parte, è fuor di dubbio l’eccezionale qualità della materia prima, un tipo di ciliegia aspra la cui crescita è favorita dalle condizioni pedoclimatiche locali; dall’altra, l’intuizione di prendere questa materia prima e ricavarne uno spirito famoso in tutto il mondo parte da Venezia e dalla lungimiranza di un mercante veneto.
Andiamo con ordine: Zara nel Medioevo fa parte della Dalmazia veneta, e fin dal Cinquecento è attestata la produzione di un “rosolio maraschino” da parte dei monasteri locali. Per un vero e proprio boom del maraschino però occorre aspettare almeno un altro paio di secoli: nel 1759 il veneziano Francesco Drioli avvia ufficialmente la produzione industriale del distillato, perfezionandone le tecniche di estrazione e imbottigliamento. Il prodotto ha enorme successo tra le corti europee, e l’industria di Zara (il cui fiore all’occhiello diventa un certo Luxardo) rimane fiorente fino alla seconda guerra mondiale. Una serie di eventi disastrosi porta all’espatrio dei dalmati italiani e con esso il trasferimento massiccio della produzione qui da noi, in particolare nella zona di Modena.
Il maraschino dunque se la gioca tra Italia e Croazia, ma è in quest’ultima che il distillato ha mantenuto davvero un carattere identitario, simbolo di saggezza e amore per la propria terra. Uno spirito (in tutti i sensi) che rimane tenace nonostante il successo del maraschino nel mondo e nei cocktail più bevuti al mondo, tra cui Aviation e Old Fashioned.
Mišanca
In Croazia il foraging ha sempre avuto un discreto successo. Ce lo dimostra la mišanca, il mix di erbe spontanee tipico della Dalmazia usato per insaporire minestre e frittate oppure da solo, sbollentato (na lešo) o crudo per insalate. Dentro c’è un po’ di tutto, fino a venti piante diverse tra cui cipolla selvatica, tarassaco, timo serpillo e fiori eduli.
La raccolta della mišanca era un compito affidato quasi esclusivamente alle donne, che tra la primavera e l’inizio dell’estate si avventuravano in prati, radure e al limitare dei boschi alla ricerca di piante commestibili. Una necessità dettata dalla sopravvivenza, e che inconsapevolmente funzionava per integrare la dieta con le vitamine e i micronutrienti depurativi e antiossidanti tipici delle erbe amare mediterranee. Insomma, per come siamo fissati noi oggi con il concetto di detox, la mišanca è una manna dal cielo.
In Dalmazia assaggiatela nella fritaje (omelette), con la pasta nel sugo pestato o come condimento di agnello e capretto. Oppure restate sul semplice: mišanca appena colta con aggiunta di bieta e spinaci e condita con un filo di olio extravergine.
Zagorski štrukli
Come definire gli štrukli? A metà strada tra una crespella e un cannellone, è una specie di sfoglia ripiena di formaggio tipica di Zagorje, piccola regione a nord della Croazia al confine con la Slovenia (non a caso la preparazione è molto simile agli štruklij sloveni, da cui fondamentalmente si differenzia per la j finale e poco più). L’impasto a base di farina, uovo, olio e aceto è lavorato e formato in tanti piccoli fagottini. Questi vengono farciti con formaggio fresco, uovo e panna acida, e conditi in modo diverso a seconda del tipo di cottura: bolliti con strutto e pangrattato, oppure al forno cosparsi di panna acida.
Gli štrukli sono talmente semplici e replicabili che piano piano hanno varcato i confini regionali, tanto da diventare uno dei piatti più rappresentativi a livello nazionale. E infatti dal 2007 sono entrati nel Registro del Patrimonio Culturale Immateriale della Repubblica croata, mentre dal 2009 vengono divorati a quattro palmenti nella Štruklijada, l’annuale sagra gastronomica organizzata nel villaggio di Kumrovec.
Pogača
Non è Mediterraneo se da qualche parte non spunta una focaccia. Ogni Paese ha la sua versione: in Croazia si chiama pogača e per certi versi assomiglia molto alla nostra focaccia sardenaria, con base di pasta lievitata e ripieno salato e aromatico che di solito comprende cipolle, capperi e acciughe o sardine. Le tre versioni più famose di pogača sono tutte concentrate nella zona di Spalato, e corrispondono ad altrettanti borghi marini sulle isole di Lèsina e Lissa. Vediamole in dettaglio:
- Viška pogača: la più antica tra le focacce locali, è caratterizzata dalla forma triangolare e dall’assenza di pomodoro;
- Komiška pogača: la “rivale” della focaccia di Vis, si distingue per la forma quadrata e l’aggiunta di pomodoro;
- Forska pogača: tra i due litiganti il terzo gode, e infatti la focaccia di Lèsina è la più ricca di tutte con aggiunta di formaggio caprino o pecorino e olive.
Quale modo migliore per scoprire le splendide isole croate se non attraverso tre gustose focacce? Provatele tutte e fateci sapere qual è la vostra preferita.
Poljički soparnik
Prima di parlare di soparnik, la sfoglia salata tipica della zona di Spalato, occorre fare un passo indietro. Anzi, dentro. È infatti caratterizzata dal ripieno di bietola, alimento base della Croazia del sud che spunta in una miriade di ricette: da sola con le patate, con le erbette della mišanca, come contorno o ripieno di pesce e carne, o ancora utilizzata come involtino da riempire con i più svariati ingredienti. Insomma, la cosa da sapere se vi recate in Dalmazia è: volete mangiare l’autentico? Puntate sulla bietola.
Torniamo al Poljički soparnik, prodotto a marchio Igp il cui appellativo fa riferimento alla regione storica della Repubblica di Poglizza da cui proviene. Un tempo era considerato il classico piatto di magro da consumare in occasione di festività quali Quaresima, Ognissanti e venerdì canonici. Oggi è semplicemente uno snack goloso e genuino, caratterizzato dalla sfoglia triangolare ripiena di bietole e cipolle rosse (kapula). Il concetto di base del soparnik è molto simile a quello della focaccia in padella: viene infatti cotto sulla teglia, uno strato dopo l’altro. La differenza fondamentale però sta nell’uso della cenere, che viene cosparsa generosamente sulla sfoglia, e nella cottura diretta sulla brace che gli conferisce un bel colorito rossastro. Prima di servirlo, viene ripulito dalla cenere e irrorato con olio extravergine e aglio.
Ćevapi
A detta dei nostri amici croati, esistono tantissimi piatti “doppioni” dei Paesi limitrofi che in Croazia hanno avuto particolare fortuna, riadattati in versione locale. L’esempio più famoso è il burek al formaggio, piatto unico di origine turca che qui viene assemblato con strati rotondi di pasta fillo e riempito anche con carne e bietole. Un altro classico diffuso in tutti i Balcani è il ćevapi, lo street food a base di piccole salsicce speziate che in Croazia vengono servite nel panino tipico lepinje insieme a cipolle e salsa yogurt. Vi è venuta voglia di assaggiarlo? Provate la nostra versione di ćevapcici con salsa ajvar, la succulenta ricetta a base di peperone, aglio e peperoncino.
Peka
Prima di essere un piatto vero e proprio, la peka è un utensile e una tecnica di cottura. Il nome infatti indica una specie di campana di terracotta o ghisa tradizionalmente ricoperta di braci incandescenti per cuocere il pane o brasare lentamente carne o pesce. Nella regione di Lika ad esempio, la peka è indispensabile per il tipico pane di farina integrale cotto alla brace. Altri capisaldi della peka sono vitello (teletina ispod peke) o agnello arrosto con erbe aromatiche, il polpo (hobotnica ispod peke) e le braciole di maiale con le patate: grazie a questo metodo di cottura lento e protetto, potete immaginare come la consistenza di tutte queste portate diventi tenerissima e succosa. Il nostro slogan (non solo in Croazia)? Più peka per tutti!
Arambašići
Torniamo a parlare di specialità locali di ispirazione cosmopolita. Gli arambašići sono involtini di cavolo cappuccio tipici di Sinj nell’entroterra dalmata, sostanziosi finger food che nel nome e nel tipo di preparazione mostrano un legame molto stretto con la Turchia. Partiamo dall’aspetto più evidente, ovvero la somiglianza con i sarma: gli involtini di crauti o verza turchi ripieni di carne e riso sono popolarissimi anche in Croazia, cotti nel sugo di pomodoro e paprika e accompagnati da purè di patate. Poi c’è la questione del nome: harambaša in turco significa “guerriero capo dei banditi”, appellativo riservato alle milizie ribelli dei territori dell’Impero Ottomano corrispondenti a Montenegro, Serbia e appunto Croazia.
Oggi di sicuro possiamo considerare gli arambašići parecchio agguerriti verso la nostra dieta: uno degli ingredienti principali dentro e fuori gli involtini è infatti il lardo, usato sia come ripieno, sia per foderare la teglia in cui avviene la cottura. Altri componenti fissi degli arambašići sono cipolla soffritta, aglio, scorza di limone grattugiata, cannella, noce, moscata e chiodi di garofano. Gli involtini vengono cotti in brodo a fuoco lentissimo così come sono (assolutamente vietato girarli per evitare che si sfaldino). Tradizione vuole che siano serviti in occasione della festa per l’Assunzione di Maria (Velika Gospa) e della storica competizione equestre Sinkska Alka, simile al nostro Palio.
Crni rižot
Con la penisola dell’Istria noi italiani abbiamo avuto a che fare fino all’altro ieri. Perciò non sorprende che tra i piatti tipici di questa regione ci siano continui richiami alla nostra cucina. Per quanto riguarda i primi, tra gli imperdibili c’è sicuramente il crni rižot o risotto al nero di seppia. Certo, potreste trovarlo ovunque, soprattutto in certi ristoranti di mare un po’ vintage: eppure qui ne vale davvero la pena, se non altro per la lunga tradizione che lega questo piatto all’economia locale basata sulla pesca e alle festività (soprattutto la Vigilia di Natale) in cui viene consumato.
Spendiamo altre due parole per un altro primo dal sapore italiano: i fuži, formato di pasta all’uovo che ricorda vagamente i garganelli romagnoli. Si tratta di strisce di pasta tagliate in diagonale a forma di diamante, le cui estremità vengono ripiegate una sull’altra. Il condimento da provare è con il tartufo istriano, oppure con lo spezzatino.
Brudet
Lo abbiamo detto tante volte, e lo abbiamo visto soprattutto nei piatti tipici marchigiani: lungo tutto l’Adriatico il brodetto di pesce ha infinite religioni, ops versioni. Ecco, lo stesso vale per la Croazia e precisamente per la Dalmazia. Città come Zara, Sebenico e Spalato sono specializzate in questa preparazione, una zuppa leggera di pesce (rana pescatrice, scorfano, cozze, scampi) che qui è caratterizzata in particolare dall’uso della cipolla. Poi, ognuno fa per sé: a Zlarin è ancora possibile trovare il brodetto di aragosta, mentre a Skradin la specialità è il brodetto di anguilla. La regione fluviale della Neretva all’estremo sud offre sicuramente la versione più bizzarra, a base di rane e anguille. L’accompagnamento qui, al posto del pane tostato, è una bella fetta di polenta. Insomma, dalla Croazia al delta del Po non serve neanche la barca, basta sedersi a tavola!
Škampi na buzaru
Per una nazione costiera, non è certo una sorpresa che tra i prodotti di eccellenza vi siano crostacei e frutti di mare. Un esempio sono ostriche e cozze, tipiche della penisola di Sabbioncello e della città di Stagno. Poi ci sono gli scampi del Golfo di Quarnaro, che comprende le isole di Cherso (Cres) e Veglia (vi volevamo vedere a pronunciare Krk). La gastronomia della zona comprende numerosi prodotti tipici anche dell’entroterra, come formaggio di capra, funghi e selvaggina. Eppure non ce n’è, gli scampi sono il non plus ultra. Assaggiateli in versione na buzaru, ovvero stufati nel sugo di pomodoro con aglio, vino bianco e pangrattato. L’ennesima conferma che le cose semplici (di qualità) sono in assoluto le migliori.
Dalmatinska pašticada
In Dalmazia, nella zona di Spalato, c’è un piatto talmente intrinseco alla comunità locale che ognuno ha la propria ricetta signature tramandata insieme all’albero genealogico. La pašticada è lo stufato di carne marinata nell’aceto e servita con gli gnocchetti il cui nome, almeno ai nostri amici veronesi, ricorderà immediatamente la pastissada de caval a base di sfilacci di cavallo cotti nel Valpolicella.
E in effetti le somiglianze continuano se vediamo come viene preparata la pašticada dalmata: anche qui siamo di fronte a uno stufato davvero stufato, cucinato moooolto lentamente nel vino locale. Nella quotidianità – se può essere considerato quotidiano un piatto di così laboriosa preparazione – si usa il prošek, vino passito che col nostro Prosecco non ha nulla a che fare (no, lo diciamo per gli eventuali legislatori che ci leggono). In casi più eccezionali viene usato il Pelješac Varenik, vino dolce e ossidato a Presidio Slow Food da sole uve Pravac Mali.
Oltre al vino, nella preparazione tipica rientrano anche frutta secca (prugne o fichi) e spezie come noce moscata, chiodo di garofano, alloro e pepe. La carne di solito è manzo o vitellone, ma anche qui a volte ci scappa il cavallo e addirittura la selvaggina. Corposa, dolciastra, nutriente con tutti quegli gnocchi, la pašticada è per tradizione il piatto unico delle occasioni importanti, ma anche se si tratta semplicemente di un soggiorno vacanziero vi consigliamo di non perderla!
Kotlovina
Dalle occasioni importanti passiamo a quelle meno pretenziose, ma che ugualmente sono fatte per riunire famiglie e amici. La kotlovina è il piatto tipico di Samobor nel nord della Croazia: in pratica uno stufato di carne mista (soprattutto maiale) cipolla e vino cotto a fuoco diretto su enormi padelle basse dal diametro molto largo, stile paella. La ricetta con il maiale prevede di friggere le zampe e poi cuocerle lentamente insieme a cotolette, salsicce e verdure. Le varianti sul tema sono infinite, e forse ancora più caratteristica è la modalità sociale di preparazione della kotlovina: all’aperto, tutti insieme a bere e chiacchierare, nell’attesa paziente del barbecue slow in versione croata.
Fiš paprikaš
La regione della Slavonia costituisce l’entroterra croato per eccellenza. Qui l’influenza gastronomica è chiaramente ungherese, nazione con cui confina a est e con cui condivide alcuni ingredienti di base. Su tutti la paprika, spezia protagonista di tanti piatti tipici di Budapest e che oggi vi raccontiamo attraverso il fiš paprikaš, lo stufato di pesce d’acqua dolce da non perdere in Slavonia. Nei grossi calderoni sospesi sul fuoco vivo ci sono carpa e trota, a volte accompagnate da luccio e lucioperca e più raramente tinca e anguilla. Tutti questi bestioni di fiume e di lago vengono fatti a pezzi e cotti lentamente in un brodo aromatizzato con cipolla, paprika, pomodoro, vino bianco e uova di pesce. Il piatto, tradizionalmente servito con pappardelle fatte in casa, è talmente popolare che durante l’anno ci si sfida in competizioni agguerrite per aggiudicarsi il titolo di “miglior esecuzione”.
Se il pesce non dovesse stuzzicarvi, niente paura, l’alternativa c’è. Un altro piatto imprescindibile in Slavonia è il čobanac, lo stufato di carne dei pastori a base di vitello, maiale, agnello e selvaggina. Anche qui il sapore predominante è dato dalla paprika, insieme a numerose verdure, gli immancabili gnocchi e tanti peperoncini secchi che rendono la faccenda assai più piccante.
Mantala e kotonjada
Passiamo ai dolci, con un minimo comun denominatore: il succo o mosto di frutta come ingrediente principale. Il mantala di Dubrovnik è un dolcetto a base di mosto di uva Pravac Mali (ricordate? lo stesso usato nella pašticada) che per tipicità e metodo di produzione si è guadagnato un posto tra i prodotti dell’Arca del Gusto Slow Food. Must delle feste natalizie, il mantala è non a caso preparato durante il periodo della vendemmia: il mosto viene bollito con bucce di arancia, successivamente addensato con la farina, e infine speziato con chiodi di garofano, mandorle tritate, cannella, pinoli e coriandolo. La consistenza finale è simile a quella del fudge al cioccolato, densa e compatta.
La kotonjada, una gelatina a base di mele cotogne, zucchero e limone, è invece diffusa in tutta la Dalmazia. Per ovvie ragioni di stagionalità, anche qui siamo di fronte a un dolce tipicamente invernale. Viene servito a fette spesse e può essere arricchito da frutta secca o granella di zucchero.
Rožata
Tra i dolci senza farina croati spicca indubbiamente la rožata, una sorta di crème caramel tipico della città di Dubrovnik le cui origini si perdono nel Medioevo. Questo dolce al cucchiaio rischierebbe di essere confuso troppo facilmente con preparazioni quali crème brulée o crema catalana (per non dire con qualche pigra panna cotta uscita direttamente dalla bustina) se non fosse per l’ingrediente tipico che le dà il nome. Rožata infatti deriva direttamente da rozulin, il liquore alla rosa che le conferisce il classico aroma insieme a caramello e, occasionalmente, zest di limone. Un dessert molto fresco dunque, perfetto per l’estate.
Kremšnite
Quale modo migliore per definire la kremšnite, se non come la torta kinder paradiso croata? Si tratta di un delicato dolce di crema e pasta sfoglia tipico di Samobor che viene servito nella caratteristica forma a cubo. Due strati di pasta croccante racchiudono una generosa dose di crema pasticciera e, nella parte superiore, un velo di panna montata. Soffice e leggera, sembra di mordere una nuvola o, per restare in tema, assaggiare il paradiso.
Orehnjača e makovniača
Le feste comandate in Croazia non sono tali senza un bel rotolo dolce. Orahnjača e makovnjača in fondo sono due facce della stessa medaglia: entrambi condividono una base di pasta lievitata dalla consistenza spugnosa ripiena di crema preparata con zucchero, latte e cannella. Ciò che cambia è come questa crema viene aromatizzata: nel primo caso si usano le noci tritate (e lì ci siamo quasi con la nostra ricetta di rotolo alle nocciole). La makovnjača invece è caratterizzata dai semi di papavero, ingrediente ricorrente in altri dolci nazionali come međimurska gibanica, sostanziosa “mattonella” a strati tipica della Croazia centrale, e germknedle, una specie di krapfen di origine boema farcito di marmellata. Stavolta è proprio il caso di dirlo: ce n’è per tutti i gusti.
Kukuruzna zlevka
Chi l’avrebbe mai detto che la farina di mais potesse essere resa così golosa: in Croazia ci sono riusciti con la kukuruzna zlevka o zlevanka, torta tipica delle zone centrali e settentrionali dalle umili origini contadine. Ma ehi, noi non ci tiriamo mica indietro! La base per la zlevka è costituita da farina di mais, uova, latte acido, formaggio fresco e burro. Non abbiamo menzionato lo zucchero perché la zlevka può essere tranquillamente consumata in versione salata, a sostituire il pane. Ormai però ci siamo fatti venire voglia di dolce, quindi proseguiamo: una volta reso omogeneo, il composto si versa nello stampo e prima di infornarlo si aggiunge panna montata. Una merenda coi fiocchi che può essere ulteriormente arricchita da noci, marmellata, frutta secca o fresca.
Rabska torta
Terminiamo la carrellata dei dolci croati con una specialità particolarissima dal Golfo di Quarnero. Niente foto stavolta, manteniamo il fattore sorpresa: la Rabska torta è il dolce a forma di spirale tipico dell’isola di Arbe. La ricetta ha origini antichissime e leggenda vuole che sia stato servito per la prima volta nel 1177 a papa Alessandro III, giunto ad Arbe per consacrare la cattedrale appena costruita. Per l’occasione venne creato un dolce a base di ostia, uova e mandorle, ingredienti scelti appositamente per richiamare la pasticceria tipica di Siena, città natale di Alessandro III. Nel corso dei secoli la ricetta è stata gelosamente custodita dalle monache, prima del convento di Sant’Antonio da Padova, poi dell’ordine benedettino. Oggi è giunta fino a noi, sdoganata e arricchita dagli aromi inconfondibili di scorza di arancia, limone e maraschino. Anche se non siete il papa, siamo sicuri che apprezzerete immensamente.