“ E quando l’acqua bolle, buttate la pasta” — “Perché?” — “Perché sì, perché da che mondo è mondo si è sempre fatto così, perché mia nonna faceva così, io faccio così e quindi è giusto così!”
“Ah, ecco. Ma poi, a quanti gradi bolle l’acqua?” — “A 100 gradi, è ovvio, lo sanno tutti anche senza cercare su Google…”
Provate.
Provate a dare questa serie di risposte a qualsivoglia fisico, chimico o matematico, e di sicuro ci guadagnerete come minimo un’occhiata di accademico disgusto.
Se poi andrete a raccontarle a Dario Bressanini, il chimico prestato alla gastronomia più popolare del web, l’immediata cancellazione dalla lista dei suoi follower sarà inesorabile.
E a ragion veduta, bisogna dire.
Troppe volte ripetiamo gesti meccanici senza chiederci quale sia la vera ragione, e il campo gastronomico non fa eccezione. A volte ci imbrocchiamo, altre no. A volte, cioè, questi gesti si rivelano leggende perpetrate nel tempo senza alcuna motivazione o giustificazione scientifica.
Meno male che c’è Bressanini, appunto.
Che proprio in questi giorni ha pubblicato un interessante articolo sulla cottura della pasta, sul rito di buttarla quando l’acqua bolle, sulla questione della salatura e anche sulla presunta necessità di coprire la pentola con un coperchio.
E abbiamo così scoperto, ma sarebbe meglio dire “ricordato”, che forse, finora, abbiamo sempre sbagliato. O comunque compiuto dei gesti in parte inutili. A cominciare dall’acqua in cui bolliamo la nostra pasta.
A che temperatura bolle l’acqua della pasta?
A cento gradi.
Certo, questa risposta, che abbiamo diligentemente imparato a memoria così come la somma degli angoli interni di un triangolo, non è del tutto sbagliata. Ma non è nemmeno del tutto corretta, se non si aggiungono alcune precisazioni che tutti dovremmo ricordare dai tempi della medie.
L’acqua infatti bolle a 100 gradi solamente al livello del mare, come l’astronomo svedese Anders Celsius stabilì convenzionalmente.
Ma il punto di ebollizione dell’acqua non è uguale a tutte le latitudini, e soprattutto non è un parametro fisso, ma dipende dalla pressione atmosferica, che a sua volta varia con l’altitudine: minore sarà la pressione atmosferica esterna, come in montagna, minore sarà la temperatura di ebollizione.
A Sestriere, ad esempio, a 2000 metri di altitudine, l’acqua bollirà a circa 93 gradi. A 3000 metri di altezza, poi, l’acqua bollirà ad una gradazione ancora minore.
E viceversa, maggiore sarà la pressione atmosferica, come al livello del mare, maggiore sarà la temperatura di ebollizione. A Portofino, infatti , l’acqua bollirà ai canonici 100 gradi.
La conclusione è che quando buttiamo la nostra pasta nell’acqua bollente a Sestriere, in realtà stiamo cuocendo i nostri spaghetti non a 100 gradi ma a 93.
Eppure, cuociono lo stesso. Coma mai?
Perché la nostra pasta cuoce anche a temperature inferiori a quelle di bollitura?
La risposta è semplice. Perché la cottura della pasta non dipende affatto dal grado di bollitura dell’acqua, così come siamo abituati a pensare, bensì dalla sua temperatura. Dal calore, cioè.
O meglio, per essere precisi, dalle reazioni che il calore riesce a innescare sulla nostra pasta tramite l’acqua calda. Senza addentrarsi troppo in reazioni e dettagli, la pasta cuoce quando l’acqua calda (anche quella fredda, ma impiega più tempo), penetrando nei nostri spaghetti, causa una gelatinizzazione dell’amido contenuto e una denaturazione (una variazione della struttura interna) delle proteine –ovvero il glutine– presenti.
Considerato che l’amido del frumento gelatinizza tra i 60 e i 70° C e che il glutine, la proteina del grano, denatura tra i 70 e gli 80°C, ecco la risposta alla nostra domanda: la pasta cuoce anche a temperature inferiori a quelle della bollitura, a patto di raggiungere almeno la temperatura in cui avvengono le reazioni chimiche sopra descritte.
Quindi sì, si può benissimo cuocere la pasta quando l’acqua raggiunge soltanto gli 80° C, anche se occorrerà un minimo di tempo in più – nell’ordine di solo un minuto, nell’esperimento di Bressanini – perché l’acqua leggermente meno calda penetrerà più lentamente nella pasta.
Il sale va aggiunto quando l’acqua è già calda?
Sì e no.
O meglio, è vero che il sale, come qualsiasi sostanza disciolta nell’acqua, innalza il punto di ebollizione, ma è anche vero che per aumentare di un solo grado il calore di un litro d’acqua occorre aggiungere ben 58 grammi di sale da cucina.
E considerando che la dose media impiegata per salare l’acqua di cottura è di circa 5 – 10 grammi per litro, possiamo concludere che la piccola manciata di sale aggiunta all’acqua di bollitura non incide di molto sul tempo necessario per riscaldare l’acqua. Tanto vale quindi mettere subito il sale e non pensarci più.
Il coperchio serve?
Anche chi non è attratto dalla fisica o dalla chimica sarà d’accordo: il coperchio serve. Trattenendo il vapore nella pentola e riducendo la dispersione termica velocizza il riscaldamento dell’acqua. Sì, ma di quanto?
Bressanini ha fatto l’esperimento, arrivando alle conclusioni che per arrivare alla temperatura di 90°C. senza coperchio impieghiamo ben il 14% di tempo in più (circa 4 minuti), mentre se vogliamo portarla a 96°C., senza coperchio ci mettiamo il 20% del tempo in più (circa 6 minuti).
Meglio allora mettere il coperchio, almeno per riscaldare l’acqua. Se invece non vogliamo avere l’acqua sparsa per tutto il fornello, dimentichiamo il coperchio una volta messa la pasta a cuocere.
Come cuocere la pasta anche se l’acqua non bolle risparmiando energia e gas.
Non solo non è necessario che l’acqua bolla, ma nemmeno è indispensabile che continui a bollire per tutto il tempo in cui la pasta vi è immersa dentro. Anzi, una volta raggiunta la giusta temperatura, possiamo anche permetterci di chiudere il rubinetto del gas, con conseguente risparmio, e ciononostante permettere alla pasta di continuare la cottura.
Basta portare l’acqua al punto di ebollizione, spegnere tutto e buttare la pasta nell’acqua. Una leggera mescolata e poi coprite la pentola per non far raffreddare troppo l’acqua.
Nell’esperimento di Bressanini, la pasta era pronta dopo 12 minuti di cottura –solo uno in più di quanto indicato dalla confezione– perché la temperatura dell’acqua era rimasta comunque di 86 gradi, cioè al di sopra della soglia di gelatinizzazione degli amidi e coagulazione delle proteine.
Oppure, potete provare un altro metodo, ma vi servirà un termometro da cucina: sarà quello a dirvi quando avrete raggiunto gli 80 gradi necessari a far gelatinizzare gli amidi della pasta.
Dopodiché buttate la pasta e continuate a scaldare solo fino a quando l’acqua arriverà a bollore (servirà a non farla raffreddare al di sotto degli 80 gradi una volta spento il fuoco) e spegnete. In sette minuti la pasta dovrebbe essere cotta, risparmiando tutta l’energia e il gas che avreste impiegato per continuare a cuocere la pasta in acqua bollente.
E ora, non avete più scuse. La prossima volta che continuerete a cuocere la vostra pasta ininterrottamente in acqua bollente, pensate a quanto sopra, alla vostra bolletta del gas, alla lotta agli sprechi di Bottura e spegnete subito quel fornello!
[Crediti | Link: Bressanini]