Era da tanto che avevo questo post in penna. Lo buttavo giù, lo cancellavo, lo riscrivevo. Timorosa di sbagliare, io per prima, a raccontarvi la ricetta della cotoletta. Di più, della cotoletta alla milanese e nello specifico degli errori da evitare.
Certa che le mie indicazioni avrebbero trovano tanti lettori d’accordo quanti no. E scatenato dibattiti infiniti, come già avvenuto per le 10 cotolette migliori di Milano, su dettagli, tecniche e possibili uscite dal seminato.
Come quel di cui parlo al punto 5, che già so mi attirerà gli strali dei puristi.
Ma – insomma – questi sono gli errori che io ho personalmente verificato sia preparando che mangiando cotolette alla milanese cucinate da altri.
Forse non sarò esaustiva. La cotoletta è la costoletta di vitello. Ricavata dal carré. Con l’osso. Alta. Questo dice la tradizione e, nonostante “innumerevoli tentativi di imitazione” (cit.), a onore del vero non tutti disprezzabili (vedi punto 5), è questo il taglio per la cotoletta alla milanese che promette e mantiene risultati impeccabili. Per i puristi non è concepibile neppure togliere l’osso, che regalerebbe alla carne gusto in più. A me sembra un po’ un’esagerazione e confesso che il manico lo mantengo più per una questione estetica. Poi ci sono gran maestri, come il sommo Gualtiero Marchesi che ne fa una faccenda pratica di cottura e presentazione ottimali: quindi l’osso lo stacca, la carne la taglia a grossi cubi, poi impana e frigge agevolmente tutto, ricreando nel piatto un puzzle di bocconi al centro rosati e tenerissimi, con l’osso anch’esso ben dorato lì accanto, a conferma del fatto che di costoletta si tratta. Piccola notazione tecnica: eliminate il grasso esterno visibile e incidete in 2-3 punti il bordo per evitare che la fetta si arricci in cottura. Sugli ingredienti della panatura per la cotoletta alla milanese non starei neppure a dilungarmi, ma ve li riassumo, nel caso non vi fossero chiari: uovo e mollica di pane grattugiata. La mollica si ottiene dal pane fresco spezzettato, seccato in forno e sminuzzato finemente. Oppure dal pane raffermo frullato. Uovo non salato (come anche la carne cruda), altrimenti si forma condensa e il rivestimento si stacca. Fine. Niente mandorle, niente semi di sesamo, niente – dio non voglia! – corn flakes o altre diavolerie. Ovvero: in una ricetta di fantasia siete liberi di impanare con quel che più vi aggrada, aggiungere grana o pecorino, erbe aromatiche o pistacchi. Insomma, di sbizzarrirvi. Ma non se state facendo la Cotoletta, con la C maiuscola. E nemmeno, se è per quello, nelle versioni economiche di cui vi parlo al punto 5. Tornando all’impanatura, la tecnica è importante. Lavorate una cotoletta per volta. Passatela nell’uovo da entrambi i lati, poi sollevatela e lasciate sgocciolare l’eccesso (altrimenti, rischia di sapere troppo di uovo). Quindi, trasferitela in un vassoio su uno strato generoso di pane grattugiato, copritela con altro pane e premete bene entrambi i lati con i palmi delle mani. Non dimenticate di impanare il bordo, soprattutto se alto, e persino l’osso. La panatura deve essere uniforme e integra, altrimenti in cottura Per lo stesso motivo, attenzione al momento di girarla in padella: agite con delicatezza con un paio di pinze facendo attenzione a non rompere il rivestimento. Personalmente non amo la doppia panatura, troppa crosta, a scapito della carne. La cottura è la chiave di volta della ricetta della cotoletta alla milanese perfetta. Sbagliarla significa servire una cotoletta cattiva o pessima, quando non buttarla direttamente nel secchio dell’umido. Prima cosa: il grasso. Che deve essere burro chiarificato. Non olio di semi. Men che meno olio di oliva. Ne va di aroma e fragranza del piatto. Quindi, vorrei che su questo non ci fossero discussioni. Parliamo di tecnica, piuttosto. Il burro, dopo chiarificato, alza il suo punto di fumo, quindi brucia meno facilmente. Certo, aumenta esponenzialmente la quantità di grassi saturi del piatto. Ma vi ripaga spandendo per casa un delizioso profumino. Se, appunto, non lo fate bruciare, che è l’errore più grande. Quindi, fate sciogliere il grasso a fuoco vivace ma friggete tenendo costantemente monitorata la fiamma e abbassandola all’occorrenza. Per darvi un metro, io friggo sul fornello medio regolando continuamente da minimo a massimo. La cotoletta con l’osso, alta, ha bisogno di circa 15-20 minuti perché risulti cotta in modo uniforme, tempo più che sufficiente a far bruciare il pane, se la fiamma è violenta. A proposito di osso: la carne all’attaccatura potrebbe non cuocere bene e risultare fastidiosa per chi la mangia. Vale sempre il trucchetto di raccogliere cucchiaiate di burro fuso bollente e versarle sul punto critico. Dovete friggere più cotolette in sequenza? Se non volete, come sarebbe giusto, buttare il grasso e ricominciare daccapo, almeno schiumate il burro raccogliendo e gettando le bricioline di pane residue. Carta da fritti o carta paglia. Sì, anche la normale carta da cucina, ma più fogli sovrapposti. Sgocciolatevi sopra la cotoletta alla milanese e premetela con altra carta in superficie. La cotoletta deve essere asciutta. Se deve aspettare (ora vi spiego come) non salatela e non lasciatela coperta da nulla, nemmeno dalla carta, altrimenti diventa molliccia. Se, per esempio, ne state friggendo un’altra, disponete quella pronta su un piatto caldo e tenetela nel forno portato a 100° e poi spento (naturalmente, questo va fatto in anticipo, non mentre state già friggendo), lasciato con lo sportello aperto di un palmo. A Milano ha un nome orrido, orecchia d’elefante, e una storia che ha un che di leggendario. È la cotoletta larga e sottile, spesso disossata, che si narra sia stata inventata dal fu Alfredo al Gran San Bernardo negli anni del boom economico quando i milanesi, “ciapàti” (traduzione: presi) fra mille impegni, a pranzo non potevano stare lì venti, venticinque minuti ad aspettare venisse cotta e servita la cotoletta alta con l’osso. Ora, so bene che c’è chi la aborre. Io personalmente non la disprezzo. A patto che non me la ricopriate con un inutile, quello sì, strato di rucola e pomodorini, che rendono la panatura molliccia. Così come non trovo scandalose le cotolettine di fesa di vitello e quelle di pollo che nella cucina casalinga si friggono a decine per la gioia dei bambini (senza che i grandi disdegnino), salvaguardando anche il portafoglio. Senza contare che se avanzano, fredde, sono buone anche nel panino. Per non dire della bontà infinita delle cotolettine di agnello. Insomma, partendo dall’assunto che tutto ciò che è fritto è buono, lavorando a regola d’arte e usando carne di qualità, tenera, senza grasso in eccesso e non acquosa (evitate di impanare e friggere carne scongelata) il risultato è comunque delizioso. Non siete d’accordo? Per voi la cotoletta alla milanese è solo alta, con l’osso, bene di lusso da concedersi voluttuosamente? A casa o al ristorante? Oppure, così buona e facile da fare che da voi non passa settimana senza friggere? E con quali accorgimenti? Insomma, com’è la vostra cotoletta perfetta? E nel caso servisse, ecco con quale vino abbinarla. [Crediti | Link: Dissapore, immagini: Trattoria Brunello, Milano, Al Garghet, Milano]Impanare male
l’olio il burro si insinua al di sotto e invade la cotoletta, che al primo taglio sprizzerà letteralmente unto.Friggere con leggerezza
Sgocciolare frettolosamente (e salare troppo presto)
Snobbare le alternative, più o meno economiche