“Con il cibo possiamo condividere e trasmettere le nostre emozioni. Ciò che mangi in effetti è la mentalità del condividere. Non c’è alcuna differenza tra cucinare e perseguire la via di Buddha”. Si apre con queste parole il primo episodio della terza stagione di Chef’s Table, serie Netflix che normalmente segue il lavoro di cucine stellate e all’avanguardia. Stavolta però siamo nel tempio Baekyangsa nell’eremo Chungjinam, Corea del Sud. Protagonista la monaca buddista Jeong Kwan, che con i suoi piatti semplici, vegetali e stagionali ha stregato il mondo gastronomico. E portato alla ribalta la cucina zen coreana, dal palcoscenico internazionale al Masterchef nostrano.
Non va confusa (troppo) con la cucina tipica coreana. La branca zen del buddismo coreano detta Seon adotta una dieta completamente vegana, usa i condimenti in modo parsimonioso ed è basata sulla stagionalità e disponibilità degli ingredienti. Erbe spontanee, radici, funghi, salsa di soia e verdure fermentate ne costituiscono l’ossatura principale. Tutta un’altra storia rispetto all’alimentazione mainstream della penisola, molto carnivora, molto piccante e spesso già pronta in bustina.
Perché ve ne parlo? Ci sono almeno tre motivi. Primo, è un unicum gastronomico che val la pena di approfondire; secondo, l’attenzione mediatica ne conferma l’appeal, in termini compositivi, tecnici, etici. Terzo, beh l’ho assaggiata. Nel 2018 ho partecipato a un incontro con Jeong Kwan all’Università di Scienze Gastronomiche a cui è seguito un buffet memorabile. Vi posso assicurare (e con me concordano giornalisti, critici e chef internazionali) che si tratta di un’esperienza tanto cerebrale quanto corporea.
Oggi vi racconto la cucina zen coreana di Jeong Kwan a partire dai suoi principi, passando per caratteristiche, ingredienti, tavola zen e dove provarla.
Lo zen e l’arte della cucina
Partiamo dal presupposto che il buddismo non è tanto una religione, quanto uno stile di vita. Tutte le attività del tempio sono preposte al raggiungimento dell’illuminazione, e anche il cibo diventa studio e miglioramento di se stessi. Non solo in cucina, ma anche nell’orto e a tavola. Quali sono i capisaldi della cucina zen?
- Principio di non violenza, ovvero bando a tutti i prodotti di origine animale;
- Gratitudine per il cibo lasciando andare il desiderio e l’ingordigia;
- Gioia nell’esperienza del cibo e della sua condivisione.
La cura riservata alla preparazione del cibo parte dal seme, cui viene conferito amore, compassione ed energia positiva. Fra le pratiche comuni vi è assenza di interventi chimici o meccanici, rispetto delle stagioni, raccolta spontanea. Elemento fondamentale è il tempo, continuum tra passato presente e futuro che convivono in ogni essere vivente. In cucina questo concetto si traduce nell’attesa (del raccolto, della fermentazione) e nell’eredità (delle ricette, degli ingredienti).
Chi è Jeong Kwan
“Non sono uno chef, sono una monaca”, dice di sé Jeong Kwan. Sorridente, minuta, la testa rasata e le vesti minimaliste è diventata negli ultimi dieci anni la portavoce del temple food o cibo del tempio coreano. Quinta di sette fratelli, nasce a Yeongju in una fattoria e fin da piccolissima dimostra passione per la cucina. A 17 anni sua madre muore improvvisamente, e la giovane Jeong Kwan decide che per lei sarebbe inammissibile dare un dolore così grande ai figli. Si reca al tempio e nel 1974 lascia definitivamente la famiglia per prendere i voti.
Una monaca è la madre di tutti, e il cibo per Jeong Kwan rappresenta il suo amore da condividere. Dall’orto del tempio, dove raccoglie ciò che la natura dispone, ai vasi di fermentazione in cui affonda le mani per capire quando kimchi e pasta di soia sono pronti. Dalla cucina pulita e minimale dove con abilità taglia, versa, mescola e dispone piatti che non sfigurerebbero sulle tavole stellate, fino alla tavola comune dove il cibo è accolto e celebrato a ogni singolo pasto.
Periodicamente Jeong Kwan si reca a Seoul per insegnare arte culinaria all’Università di Jeongju, occupandosi principalmente di cucina vegetariana e tecniche di fermentazione. Il suo stile e la sua filosofia (con un aiutino mediatico) l’hanno portata in tutto il mondo per parlare di buddismo, etica e naturalmente sfamare gli astanti.
Cucina zen: caratteristiche principali
Il cibo del tempio è estremamente semplice, connesso alla natura e all’energia spirituale. Ecco quali sono le caratteristiche principali:
- Mangiare carne è proibito, e farlo andrebbe contro alla natura compassionevole e amorevole del Buddha e dei suoi seguaci;
- Ci sono 5 ingredienti da evitare: aglio, porro, cipollotto, erba cipollina, assafetida. I bulbi odorosi e la spezia infatti sono considerati troppo pungenti e rappresentano una distrazione che impedirebbe il raggiungimento dello stato di calma.
- Il cibo del tempio ha proprietà terapeutiche oltre che meramente nutritive. Ogni ingrediente è scelto e utilizzato in modo da apportare benefici all’organismo.
- Si utilizzano esclusivamente condimenti naturali come alghe, soia, funghi, semi.
- I piatti devono seguire le stagioni accogliendo ciò che la natura offre. Ogni tempio si riserva di conservare come meglio crede alcuni ingredienti utilizzando soprattutto la fermentazione.
Secondo il Nirvana sutra, i piatti del tempio devono avere sei sapori (amaro, acido, dolce, speziato, salato, neutro) e tre virtù. Queste sono rispettivamente morbidezza e leggerezza, al fine di non sovraccaricare lo stomaco; purezza, che si traduce in pulizia e nell’uso di tecniche non invasive; aderenza al Buddha-darma, ovvero il mantenimento dell’equilibro dal campo alla cucina.
Ingredienti tipici
A questo punto vi starete chiedendo cosa si mangia. Ingredienti tipici comprendono funghi, germogli, radici, spezie, tofu, erbe spontanee, verdure cotte e fermentate. Il divieto dei sapori pungenti pone un ostacolo non indifferente all’insaporimento dei cibi. Fra gli aromi naturali più utilizzati ci sono curcuma, pepe di Sichuan, pepe marrone, shiso, polvere di funghi e semi. Il più importante è probabilmente la salsa di soia, definita “base dei condimenti” il cui invecchiamento va dai cinque ai cento anni.
Altra componente fondamentale è la fermentazione. Il lungo processo trasformativo di verdure e legumi li arricchisce in texture, sapore, aroma, valore nutritivo. Alcuni esempi sono tojang (pasta di soia), jaepi jang (pasta di foglie di frassino), makjang (pasta di soia e orzo). Fra tutti spicca il kimchi, cavolo coreano fermentato. La sua preparazione invernale collettiva detta gimjang è uno degli eventi immancabili del tempio coreano.
Infine l’importanza del tè nella dottrina buddista, raccomandato per le qualità medicinali e per il suo ruolo nel raggiungimento dello stato sublime. La cerimonia del tè tradizionale coreana si chiama gujeunggupo, in cui le foglie vengono arrostite ed essiccate nove volte. Fra le ricette signature di Jeong Kwan c’è il tè di fiore di loto che simboleggia la fioritura dell’illuminazione del Buddha.
La tavola zen
Il pasto formale monastico si chiama barugongyang, dove baru indica le tipiche scodelle di legno che contengono il cibo. Il set tipico comprende 4 pezzi, ognuno con grandezze diverse. Si parte dal più largo eosibaru (o baru di Buddha) per il riso, seguito dal gook-baru (o baru del Bodhisattva) per la zuppa. Contorni e condimenti sono contenuti nel cheonsu-baru e banchan-baru.
Cosa ho trovato io sulla tavola, o per meglio dire buffet preparato da Jeong Kwan? Piatti buoni da non credere, vista la limitatezza di mezzi e ingredienti. Ecco quali:
- Zuppa di riso affumicato con funghi
- Noodles e cetrioli con sciroppo di lamponi neri coreani
- Funghi shiitake e oyster glassati con sciroppo di riso
- Tofu fritto in padella con pepe nero creano
- Patata dolce al vapore con sesamo nero
- Radice di loto sottaceto con alghe e kiwi
- Caco semi disidratato condito, sciroppo di arancia trifogliata e gochujang
- Gelatina di ghianda e castagna d’acqua cinese
- Torta di patate al vapore
Dove provarla?
Se vi state chiedendo dove provare la strabiliante cucina di Jeong Kwan beh, le risposte sono tre. La prima è tenere d’occhio le manifestazioni gastronomiche in giro per il mondo, banalmente partendo da Slow Food. Può capitare che la monaca venga invitata a presentare i suoi piatti in ristoranti (come accadde una decina di anni fa al Le Bernardin di New York) o nel corso di conferenze tematiche.
La seconda e la terza risposta implicano un viaggio in Corea del Sud. A Seoul ci sono tre indirizzi per immergersi nella cucina zen: Dipartimento della cucina buddista monastica, visitor centre divulgativo sugli aspetti culturali; Barugongyang, ristorante specializzato in cucina zen; Hyangjeoksegye per workshop e corsi di cucina.
Infine la risposta migliore, ovvero visitare direttamente il tempio di Baekyangsa e includerlo nell’itinerario di viaggio. La struttura offre soggiorni dedicati (templestay) non solo per assaggiare la cucina ma anche per fare esperienza di una “giornata tipo” buddista compresa meditazione, preghiera e cerimonia del tè.