Mangiato tutto l’anno ma particolarmente apprezzato nel periodo natalizio, ricco e molto aromatico, consistenza compatta e da leccarsi le dita, poco conosciuto fuori dalla regione d’appartenenza – anzi, fuori dalla provincia originaria: parliamo del Miacetto di Cattolica, un dolce caratteristico molto antico, tutto romagnolo. Oltre ad origini e sapore, ci soffermiamo sugli ingredienti e sulle lampanti similitudini rispetto ad altri dolci tradizionali italiani.
Due cugini mi hanno regalato Il Miacetto con la “M” maiuscola, quello prodotto artigianalmente dalla pasticceria che lo ha reso marchio registrato: Staccoli dal 1952. Questo in particolare, nel 2006 ha vinto a Madrid il “Gran prix della Pasticceria” come miglior dolce da viaggio, e nel 2019 è stato insignito del XXXI Premio “Dino Villani” – da parte dell’Accademia Italiana della Cucina – come prodotto artigianale eccellente. Un peccato non avere modo di paragonare Il Miacetto di Staccoli con quello dei colleghi né casalingo (mi direte voi!).
Miacetto di Cattolica: origini e storia
La sua preparazione (e reputazione) supera di poco i confini di cattolica: il Miacetto è tesoro custodito perlopiù tra il Tavollo a sud e il Conca a nord: “dal porto alle colonie“, dicono. Nell’introduzione ho accennato al premio come miglior dolce da viaggio: non è un titolo casuale, infatti è legato al transito di viaggiatori e pellegrini, ai quali era sempre offerto. L’esistenza del Miacetto è documentata a partire dal Seicento, anche se con molta probabilità esisteva già prima. L’etimologia del suo nome segue interpretazioni diverse: c’è chi la fa risalire a milaceus (ovvero “di miglio”, la stessa radice di altri dolci come il migliaccio campano) e c’è chi lo interpreta come “fatto da mille acini“.
Ingredienti tipici
Nel Miacetto di Staccoli troviamo: farina di grano tenero “0”, uvetta sultanina, mandorle (con pelle, si vede nella sezione del dolce), zucchero, miele biologico italiano, olio extravergine di oliva, pinoli, scorze di limone candite biologiche, scorze di arancia candite biologiche, cacao in polvere, latte scremato in polvere, sale marino integrale, aromi. La prima considerazione da fare è l’assenza di lievito, fattore che accomuna molti dolci tradizionali di questo calibro.
Altro fattore che spicca è l’assenza del “runzòn” ovvero il cruschello, e che teoricamente dovrebbe far parte del Miacetto a prescindere dalle varianti. C’è chi aggiunge anche le noci, chi non mette cacao, chi varia le percentuali per calibrare a proprio piacimento uvetta e frutta secca, chi smorza l’olio extravergine di oliva con una parte di olio di arachidi.
Sapore e consistenza
Come è facile prevedere leggendo l’elenco degli ingredienti, siamo davanti a una torta molto nutriente, che nella confezione sottovuoto rivela già una superficie piuttosto umida. Al taglio rimane compatta e sprigiona immediatamente un profumo quasi di mosto. Risulta come un agglomerato di uvetta e mandorle – entrambe preponderanti – al contempo croccante e morbida.
Superato il primo boccone, molto impegnativo a causa della ricchezza (100 g apportano oltre 430 kcal), è difficile fermarsi. Si rimane stupiti per la dolcezza – conferita praticamente solo da uvetta e miele: affatto spiccata anzi tutto l’opposto, si tratta di un dolce quasi neutro da quel punto di vista.
Se si gradisce invece spingere un po’, allora suggerisco di abbondare con lo zucchero a velo da distribuire sulla superficie (come indica la pasticceria). Le scorze di agrumi si sentono solo marginalmente, ma quel tanto che basta per rinfrescare la “pesantezza” dell’amalgama.
Una sorta di panforte
Impossibile non collegare Il Miacetto con il panforte, il panpepato, certosa: compattezza, tanta frutta secca, aromi, aspetto. A distinguerli nettamente, tuttavia, soprattutto due elementi: il Miacetto è assai meno dolce, e negli altri dolci tradizionali ci sono anche spezie quali cannella e chiodi di garofano a far da padrone.