Cosa mangiare a Londra: 15 piatti tipici locali

15 piatti tipici di Londra: storie, mode e aneddoti sulle specialità della metropoli più British e al contempo cosmopolita della Gran Bretagna. Ovvero, cosa mangiare a Londra per capirne la cultura gastronomica.

Cosa mangiare a Londra: 15 piatti tipici locali

Se viaggiare con l’aereo è (ancora per poco) una faccenda complicata, nulla vieta di farlo con le papille: il nostro giro dei piatti tipici oggi attraversa la Manica e arriva direttamente a Londra. La metropoli inglese è notoriamente la sede della monarchia più chiacchierata del mondo anche se, diciamolo, essa stessa è una regina: spesso definita la più desiderata, costosa, innovativa, sostenibile, cosmopolita tra le città a livello globale, Londra continua ciclicamente a guadagnare la sua serie di più che la rendono unica nel suo genere.

Campionessa di avverbi e trend-setter da secoli – basti pensare alla musica, al teatro, alla letteratura per citare qualche esempio – l’unica categoria in cui non ha mai brillato è proprio la cucina. Il cibo londinese si è guadagnato nel tempo una serie di epiteti poco edificanti – tra i più “delicati” bland, boring and boiled, ovvero insipido, noioso e bollito. La nostra classifica non parte sotto al più roseo degli auspici, tuttavia è anche vero che, rispetto a storia e aneddoti, c’è tantissimo da dire sulla cucina inglese.

Preparatevi a volare su cieli piovosi come dei Peter Pan mangerecci, atterrando di volta in volta su uno dei 15 piatti tipici di Londra da conoscere.

London Dry Gin

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Scandali reali, Brexit, Megxit, funerali improvvisi, gossip selvaggio e implacabili serie tv : non sorprende che, dopo quasi settant’anni di regno, la regina Elisabetta II abbia bisogno di un cicchetto a fine giornata per mandare giù rospi belli amari. È ben nota la passione della testa coronata più longeva della storia inglese per il gin, il distillato aromatico a base di ginepro che Lilibeth ama sorseggiare insieme a Dubonnet, ghiaccio e limone. Tuttavia, appurato che il gin nasce probabilmente in Italia intorno al 1200 e non diventa popolare in Inghilterra prima del Diciassettesimo secolo, cosa lo lega alla città di Londra?

La risposta è già nel nome “London Dry Gin”, che non ne determina tanto l’origine, quanto piuttosto il metodo di produzione e marchio di qualità. Non si tratta dunque di una denominazione geografica (come ad esempio il noto Plymouth Gin che dal 1793 si produce esclusivamente nella città di Plymouth, Devon) ma del come viene prodotto e di quali caratteristiche deve avere. Il London Dry Gin deve la sua nascita all’invenzione della colonna continua o Coffey still nel 1830, metodo che permette una maggiore produzione ad alto contenuto alcolico con sapore neutro. Nel caso del London Dry Gin, lo spirito di base deve avere origine agricola (da cereali), subire una prima distillazione continua fino a 96% vol che lo renda completamente neutro, e una seconda distillazione in presenza di Juniperus communis (ginepro) e altre piante. Il dry indica la percentuale di zucchero nel totale, ammesso fino a 0,1 g per litro. Cheers!

Cockles

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C’era una volta l’East End, quartiere povero e malfamato della Londra di non troppo tempo fa, in cui confluivano i principali flussi migratori, dagli Ugonotti in fuga dalla Francia sino ai bengalesi del Ventesimo secolo. Una zona immensa e sovrappopolata, senza chiari confini se non quelli cultural-identitari della parlata più famosa della città, il cockney: per avere un’idea di questo dialetto, andatevi a vedere la versione in lingua originale di Mary Poppins in cui lo spazzacamino Bert (interpretato da Dick Van Dyke) sfodera lo slang più forzato della storia del cinema tentando di imitare la parlata tipica dei ceti sociali meno abbienti. Fra queste schiere di personaggi poco raccomandabili spiccavano i pescatori, che dal Tamigi e dai canali che attraversano la zona raccoglievano le cockles, lo snack che un tempo era il must-have di tutti i pub dell’East End.

Fino al primo Ottocento questi molluschi bivalvi, il cui nome in italiano si riferisce ai cardio o fasolari, si potevano comprare direttamente per strada, venduti da strillanti ragazzini che spingevano le carriole colme di conchiglie. Più tardi le cockles si sono spostate sui banconi dei pub, conservate in enormi barattoli di vetro sotto salamoia – un’immagine che ci fa venire subito in mente le uova sode dei bar di una volta. Pescate dal barattolo, si innaffiavano di pepe e aceto e si buttavano giù in un sorso coadiuvato da una bella ale scura. Oggi, soprattutto per ragioni igienico-sanitarie, la popolarità delle conchiglie da aperitivo è gradualmente calata: rimane tuttavia l’espressione “warming the cockles”, riferito a qualcosa che ci fa “scaldare il cuore” – proprio come questo comfort food dal sapore di mare.

Pie and mash

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Rimaniamo nell’East End e accompagniamo gli operai al luogo di lavoro mentre analizziamo il piatto tipico che da schiscetta è diventato un classico della gastronomia londinese. Il pie and mash nasce in epoca vittoriana con il boom dell’industria: mentre ci appaiono davanti agli occhi immagini scure, piene di nebbia, fuliggine e sfruttamento minorile, potremmo chiederci come facevano i lavoratori delle fabbriche ad assicurarsi un minimo di sicurezza alimentare con tutto l’inquinamento a cui erano continuamente esposti. In un’epoca in cui non esistevano tupperware, la risposta all’esigenza di proteggere il pranzo dalle esalazioni di macchine e persone fu: “E se lo rinchiudessimo in una torta?”.

Così le mogli degli operai, seguite a ruota dai venditori ambulanti che fiutarono subito il business, si inventarono il pie and mash, una torta salata ripiena di carne di manzo accompagnata dal purè di patate. La base della pie viene preparata con un impasto a base di farina e strutto, riempita di macinato e infine ricoperta da uno strato di pasta sfoglia, di modo che, una volta uscita dal forno, faccia una bella crosticina. Tradizionalmente il pie and mash veniva condito dalla salsa acquosa derivata dalla cottura delle anguille (di cui vi parliamo prontamente qui sotto) e per questo chiamata eel liquor. Oggi, per onorare la tradizione almeno in senso cromatico, si usa più comunemente una salsa a base di prezzemolo che dà quel tocco verde e fresco al giallo-carboidrato di torta e patate.

Jellied eels

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Le anguille completano il terzetto dei piatti più diffusi dell’East End. Il Tamigi era letteralmente infestato da questi pesci che oggi definiremmo “dall’ottimo rapporto qualità-prezzo”: estremamente nutrienti per un valore economico vergognosamente basso, le anguille erano popolarissime tra i ceti più poveri. Le jellied eels costituivano l’accompagnamento più tipico del pie and mash, tanto che nell’Ottocento i primi locali dedicati al consumo di questo piatto unico venivano chiamati eel, pie and mash houses. Questo “contorno” così diffuso era costituito da anguille in gelatina: il pesce veniva tagliato a pezzi, bollito in un brodo di acqua, aceto, noce moscata e limone e lasciato raffreddare.

Parte dell’acqua di cottura veniva utilizzata come salsa per il tortino di carne (eel liquor); il resto, solidificato grazie al collagene naturalmente contenuto nella carne di anguilla, formava una patina gelatinosa compatta simile all’aspic. Oggi non si trova più così facilmente, anche perché il Tamigi – nonostante ingenti opere di depurazione – non è esattamente lo specchio d’acqua incontaminato in cui pescare a man bassa. Fatevi un giro nelle peggiori bettole dell’East End per acchiappare questo sfuggente e scivoloso piatto tipico.

London particular

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Cosa c’è di più londinese di un nickname che indica, allo stesso tempo, la nebbia fittissima che caratterizza(va) la città e una densa e corposa zuppa di piselli e prosciutto? Il London particular è figlio del bizzarro descrittore utilizzato dai locals per lo smog “da cartolina” che comunemente veniva associato alla città di Londra. Parliamo al passato perché (come si ricorderà chi ha visto il quarto episodio della prima stagione di The Crown) al Great Smog che nel dicembre del 1952 causò la morte di più di 4.000 persone fra incidenti e crisi respiratorie, seguì nel 1956 il Clean Air Act che ridusse drasticamente l’inquinamento urbano proibendo tra le altre cose l’uso di carbone per il riscaldamento delle case.

Prima della tragedia e di tutti i sacrosanti miglioramenti che ne derivarono, la curiosa espressione per definire consistenza e colore dei suffumigi che avvolgevano la città a partire dal Diciannovesimo secolo era proprio pea soup fog, nebbia giallognola e fitta come una zuppa di piselli. Talmente peculiare che si trovava solo a Londra, da cui London particular. Oggi per fortuna di tipico è rimasto solo il piatto: una minestra di piselli spezzati in brodo denso arricchito con bacon e prosciutto affumicato, da gustare al meglio, indovinate un po’, in una di quelle nebbiose, fredde e lugubri serate londinesi….

Fish and chips

Arriviamo al cuore della gastronomia inglese con questo classico per tutte le occasioni, dalla friggitoria al banco dei surgelati. Ordinare un fish and chips (o più semplicemente chippy se volete mimetizzarvi tra i londinesi duri e puri) rientra di diritto nella classifica delle cose da fare a Londra, insieme a una visita al British Museum e a un selfie davanti al Big Ben. Il pesce fritto con patatine è un piatto talmente iconico e identitario della cultura inglese che, durante la Seconda Guerra mondiale, fu uno dei pochi alimenti non sottoposti al razionamento: guai a togliere il chippy patriottico! La prima attestazione la troviamo nell’Oliver Twist di Charles Dickens del 1838; più tardi, nel 1860, aprì a Londra il primo take-away specializzato, gestito da tale Joseph Maley, e nel 1896 Samuel Isaac inaugurò ufficialmente il primo ristorante a Whitechapel – un distretto nell’East End, tanto per cambiare. Il motto di Isaac per lanciare la sua catena è un piccolo gioiello di marketing delle origini: This is the Plaice, gioco di parole tra “posto” e “platessa”.

La platessa, insieme a merluzzo, sogliola ed eglefino, è uno degli esemplari più utilizzati. Di solito la panatura è composta da farina, acqua, bicarbonato di sodio e aceto; il veicolo di frittura tradizionale sarebbe il lardo, mentre oggi quasi ovunque si usa l’olio di arachidi. Il pesce si fa una nuotata nell’olio per circa 6-7 minuti insieme alle patate, aggiunte in dirittura d’arrivo affinché tutto sia pronto allo stesso momento. Una spruzzata di aceto e sale e il vostro chippy è pronto da gustare, magari in un cono da passeggio che una volta si realizzava incartando il tutto nei fogli vecchi di giornale.

Beef Wellington

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Cambiamo drasticamente livello qualitativo e classe sociale con questo piatto dal sapore aristocratico. Il filetto alla Wellington, specialità signature di quel finto-cattivone di Gordon Ramsay, vuole fare il verso al filet de boeuf en croûte francese. Il nome scelto per questa complicata prova del nove per tutti coloro che amano definirsi grandi chef è infatti un omaggio ad Arthur Wellesley, primo duca di Wellington e fautore di una famosa sconfitta a Napoleone. Inglesi vs francesi: alle solite, anche in cucina.

Il beef Wellington è un filetto di manzo in crosta: la preparazione prevede di arrostire la carne, coprirla di uno strato di duxelle di funghi o foie gras e prosciutto, e avvolgere il tutto in pasta sfoglia. Il tempo e la temperatura di cottura nel forno sono il segreto di questa elaborata composizione, in cui la carne deve risultare ancora rosea e succosa e la crosta croccante e fragrante. Una ricetta complicata che tuttavia, dopo le innumerevoli e sempre avvincenti sfuriate televisive di Gordon, tutti noi abbiamo imparato virtualmente ad eseguire.

Jerk chicken

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Londra è famosa per essere una città estremamente cosmopolita con un tasso di immigrazione (Brexit permettendo) altissimo. Le etnie che risiedono in città provengono da tutto il mondo, soprattutto da quei Paesi che fino alla metà del secolo scorso costituivano le ex colonie dell’Impero britannico. È questo il caso della Jamaica, l’isoletta dai rilassati ritmi reggae e colonia inglese dal 1655 al 1962. La maggior parte degli immigrati giamaicani si è stabilita a sud di Londra nella zona di Brixton, portando con sé ingredienti e ricette tipiche della cucina caraibica.

Il piatto più rappresentativo di Little Jamaica è il jerk chicken, spiedini di pollo il cui nome designa sia il metodo di cottura, sia il tipo di condimento. La carne viene infilzata (jerking) affinché possa assorbire al meglio il mix di spezie piccanti in cui è marinata e che quasi sempre prevede allspice e peperoncini Scotch Bonnet. Poi viene cotta alla brace e affumicata: il risultato è un bocconcino molto appetitoso che stuzzica il palato con il suo sapore piccantino e aromatico.

Chicken tikka masala

pollo al curry

Rimaniamo in tema di cucina migrante con questo piatto che in realtà di etnico ha ben poco, piuttosto è il risultato dell’incontro tra gusto inglese e ingredienti esotici. Questo compromesso culinario ha il profumo e il sapore dell’India, l’immenso gioiello del Commonwealth da cui proviene la fetta più sostanziosa dell’immigrazione londinese. Il chicken tikka masala, che significa letteralmente “piccoli pezzi di pollo in salsa gravy”, è un’invenzione recente, nata e cresciuta in terra britannica non si sa bene se in un ristorante bengalese di Londra o in una cucina di Glasgow in Scozia. L’origine poco importa: quello che davvero sorprende è il successo strepitoso di questo piatto, più volte definito “Britain’s true national dish”, il vero piatto nazionale della Gran Bretagna.

Non c’è una ricetta di riferimento per questa preparazione, che potremmo tradurre banalmente con pollo al curry. Il pollo viene servito su un letto di riso o naan, la tipica ciabatta indiana, e irrorato generosamente da una salsa densa i cui ingredienti cambiano costantemente: ci potete trovare salsa di pomodoro, latte di cocco, yogurt, paprika, curcuma, spezie più o meno piccanti e più o meno esotiche – insomma, ognuno fa quello che gli pare. Come lo metti lo metti, gli inglesi vanno matti per questo piatto, simbolo della diversità culturale e ancor più di quella culinaria.

Kedgeree

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Un altro erede culinario del colonialismo inglese è il kedgeree, altrimenti conosciuto come kitchari o khichuri. Il piatto deriva direttamente dalla dieta ayurvedica, il khichri della cucina indiana e del sudest asiatico che consiste in un salutare mix di riso e legumi come fagioli mungo e dhal di lenticchie. Una volta importato in Inghilterra, è diventato essenzialmente un piatto svuota-frigo a base degli ingredienti tipici (e comodi) della madrepatria: riso bollito, pesce bianco e uova sode, più una spruzzata di curry e cardamomo per i più temerari ai fornelli. Un must della colazione in epoca vittoriana, oggi è la schiscetta perfetta da ufficio, semplice da preparare e completa a livello nutrizionale. Enjoy!

Scotch egg

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Fortnum & Mason è un noto grande magazzino di Londra, situato nel cuore della città a due passi da Piccadilly Circus. Dentro ci trovate soprattutto signore elegantissime che prendono il tè, macarons che costano tanto quanto quelli di Ladurée a Parigi e tutto lo scibile in materia di cibo di lusso: insieme ad Harrods, fa parte di quelle mete da vedere-ma-non-toccare che sono un must per i turisti in visita a Londra. In questo caso è doveroso farci un salto per poterci occupare dello scotch egg, specialità abbastanza curiosa che (a detta degli interessati) sembra sia stata inventata proprio a Fortnum & Mason nel 1738.

Di cosa stiamo parlando? Lo scotch egg ha il cuore di uovo alla coque incastonato in una salsiccia che viene poi impanata e fritta. La preparazione è tutt’altro che semplice: la frittura deve essere abbastanza prolungata per cuocere la carne senza intaccare la consistenza semi-solida dell’uovo al centro. Alla sua inaugurazione nel 1707, Fortnum & Mason era concepito come una specie di supermercato in cui soprattutto i viaggiatori si fermavano per fare provviste e ristorarsi. Lo scotch egg nacque proprio a questo scopo, in quanto poteva facilmente essere consumato take-away. Oggi la tradizione a Londra si protrae attraverso i pic-nic di cui questa polpetta con sorpresa è un po’ il santo patrono.

High tea

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Fancy a cuppa? A Londra e in tutto il Regno Unito la tazza che vi offrono non può essere altro che quella del , punto. Sì, lo sappiamo che qui l’argomento riguarda tutta una nazione e non una sola città ma, detto fra noi, vi vengono in mente posti più fighi di Londra per concedersi il proverbiale tè delle cinque? La risposta molto probabilmente è no, quindi procediamo. Innanzitutto specifichiamo subito che a quell’ora a Londra è già troppo tardi per questa merenda importante: probabilmente il fraintendimento nasce dal fuso orario, visto che le 17 italiane corrispondono alle 16 inglesi. L’high tea, non c’è neanche bisogno di dirlo, non è un piatto tipico ma un vera e propria istituzione. Questo rituale sociale per convenzione si fa risalire alla Duchessa di Bedford, dama di compagnia della regina Vittoria che trasformò una tazza fra amiche in un pasto canonico dalle regole ben definite.

Ne citiamo giusto un paio: sorseggiare rumorosamente (slurp!) è categoricamente vietato anche nel caso la vostra bevanda sia bollente, risultereste dei cafoni malvisti dall’intera sala, telecamere comprese. Un divieto meno ovvio invece è quello del mignolo alzato, che nella nostra immaginazione fa tanto posh e invece è considerato di cattivo gusto: tenetelo a bada attaccato al manico della vostra tazza. Una regola non scritta è quella di bere il tè con il latte, non certo un obbligo ma un modo per immergersi completamente nelle usanze inglesi. Di sicuro, guai a chiedere il limone! L’high tea non è solo da bere, anzi: il tè è una scusa per ingozzarsi di piccoli sandwich salati dai sapori rigorosamente delicati (cream cheesecetriolo, salmone affumicato), torte e pasticcini di ogni tipo (su tutti gli scones da spalmare di burro e marmellata). Tutti sistemati graziosamente sulle classiche “alzate” a più piani, da cui l’aggettivo high. Se volete fare le cose per bene e sentirvi delle Very Important Persons almeno per un’ora, prenotate il vostro tè delle 15.30-16.00 in uno dei lussuosissimi grand hotel del centro.

Victoria sponge

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Abbiamo parlato del tè e dei suoi alimenti accessori: a Londra quello più iconico è forse il dolce dedicato a Sua Maestà la regina Vittoria, che tanto amava accompagnarlo al suo afternoon tea. La Victoria sponge cake è una torta a base di pan di Spagna la cui consistenza particolarmente soffice è dovuta all’aggiunta di lievito chimico. L’impasto prevede burro, farina, uovo, zucchero in parti uguali con cui vengono preparati due dischi di pan di Spagna, poi farciti da marmellata di fragole e panna. La Victoria si presenta come un sandwich dolce che fa da contraltare ai cugini salati che affollano i ripiani bassi dei vassoi a più alzate, tipici degli high tea più ricchi e golosi. Per un’esperienza veramente regale ricordate di ordinare una fetta o una mini versione di questo dolce vittoriano.

Chelsea bun

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Un po’ cinnamon roll, un po’ pane con l’uvetta, il Chelsea bun è stato il lievitato più trendy della città, almeno fino a duecento anni fa. C’era una volta la Chelsea Bun House, storico panificio in attività dagli inizi del 1700 frequentato e sovvenzionato dai sovrani del Casato di Hannover, dai Giorgio II e III fino alla regina Carolina moglie del IV. La proprietà era della famiglia Hand, il cui capostipite Robert si era guadagnato il nickname di “Capitain Bun”: il panificio era infatti famoso per i suoi hot cross bun di Pasqua, panini dolci e speziati caratterizzati dalla fantasia a croce per celebrare la resurrezione di Cristo. Purtroppo l’estinzione della famiglia coincise con la demolizione definitiva del negozio nel 1839. Oltre alle memorie proustiane dei panini pasquali, sono rimasti i Chelsea bun a tramandare le leggendarie creazioni degli Hand: una spirale di pasta lievitata aromatizzata con zest di limone e cannella e arricchita da uva sultanina e sciroppo di zucchero.

Treacle tart

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I fan più accaniti di Harry Potter si ricorderanno dei leggendari banchetti di Hogwarts, soprattutto la parte in cui Albus Silente schioccava le dita e sui tavoli della Sala Grande sparivano le portate principali per fare posto a infiniti tipi di dolci. Fra di essi spicca la treacle tart, tradizionale dessert inglese che prende il nome dal suo dolcificante: il treacle infatti è lo sciroppo di zucchero non cristallizzato ricavato dalla raffinazione, una sorta di melassa di colore dorato. E la torta si presenta proprio così, una dorata pasta frolla ripiena di sciroppo, pangrattato e zest di limone o arancia. Di solito viene servita con un panna montata, crema o gelato: non ci resta che dire Accio torta!