Carne succulenta, speziata, affumicata, racchiusa in due fette di pane di segale, un accenno di senape, sottaceti a corredo e tanta gioia. Il ricordo del pastrami sandwich mi sveglia nel mio primo giorno di dieta altrimenti chiamata:
“sensi di colpa per tutto quello che ho mangiato in vacanza”.
Colta dalla follia di chi ha assaggiato uno di quei sapori che cambiano la vita, passerò la notte a interrogarmi sul perché in Italia non abbiamo ancora deciso di importarlo seriamente.
Eppure il nostro cibo, soprattutto quello di strada è contaminato in ogni piega e aroma da altre culture e sapori: il kebab o i falafel nelle nostre abitudini maniache da street foodies; il sushi o l’hummus in quelle casalinghe e quotidiane, per citarne solo alcuni. Mentre il bistrattato pastrami giace nelle nostre foto sorridenti o finto-orgasmiche seduti allo stesso tavolo di Meg Ryan da Katz’s a New York.
Trattasi di flussi migratori? Gli ebrei rumeni che a fine Ottocento si sono spostati in massa negli Stati Uniti e non in Italia, hanno irrimediabilmente compromesso la possibilità di successo del pastrami anche da noi? A onor del vero a Milano, ma anche a Roma, qualche folle che ci prova c’è.
Perché non esistono almeno 100 luoghi italiani dove poter mangiare pastrami? Mi appello agli aspiranti hamburgerai, ma anche ai tanti colonizzatori da polpetta già avviati: regalateci il pastrami, oltre all’hamburger variante cipolla caramellata, di coniglio, al coltello, al macello, blue cheese, matriciano, essiccato, avocado o tartufo. Regalateci una gioia nuova e succulenta.
Non sentiamo il bisogno di un’altra hamburgheria, sentiamo l’impellente necessità di un luogo dove si possa mangiare un buon pastrami sandwich. In fondo vi si chiede poco.
Andate dal vostro fornitore abituale di carne. Chiedete punta di petto di manzo, non sperticatevi chiedendo il beef brisket che poi non vi capisce. Spiegate bene, volete il taglio che parte da sotto il collo e finisce sulla pancia, non vi arrabbiate se all’inizio il pezzo vi verrà fornito addobbato anche dal biancostato, vi toccherà imparare a trimmare la carne e ricavare solo la parte che vi interessa.
Lo pagherete relativamente poco, chi lo vuole un pezzo di carne povero e ricco di tessuti connettivi? Avrete solo una tiepida concorrenza: gli appassionati di bbq e le nonne che ci fanno il brodo.
Passate in salamoia, essiccate parzialmente, affumicate, quindi aromatizzate con aglio, coriandolo, pepe nero, paprika, chiodi di garofano e pepe della Giamaica, infine cuocete al vapore. Tagliate a fette, procuratevi o fate del buon pane di segale, spalmate un sottile velo di senape farcite con moltissime fette di carne e siate pronti alla lacrima di gioia del carnivoro davanti a voi.
In un solo panino tutto il potere evocativo delle domeniche italiane di arrosti, condite dal mistero dell’affumicato e l’esotico delle spezie.
Eppure il fatto che nessuno davvero si sia dedicato alla riproduzione di cotanta bontà, mi porta alla riflessione pessimista tipica delle notti insonni: vuoi vedere che i fulminati sulla via di Damasco non esistono? Che poi il pastrami sandwich ha fatto battere il cuore a me e pochi altri?
Cercherò di dormire leggendo “La versione di Barney”, pensando a Barney Panofsky e al suo pastrami sandwich o guardando “Broadway Danny Rose” di Woody Allen, godendomi le numerose scene girate al tempio del manzo speziato Carnegie Deli, che celebrano degnamente il pastrami. Aspettando la luce del giorno e le vostre risposte.
Perché in Italia non abbiamo ancora deciso di importare seriamente il pastrami?
[Crediti | Immagini: Flickr/Adventurefood]