I gourmet si dividono in 2 categorie: quelli che mangiano il Risotto con la Foglia d’Oro di Marchesi e quelli che leggono resoconti di chi ha mangiato il Risotto con la Foglia d’Oro di Marchesi ingozzandosi di cibo spazzatura sul divano. Io appartengo alla seconda. Ma così come “le persone di gusto sanno vestirsi bene anche comprando al mercato” — ©Giorgio Armani — gli scaffali dei supermercati sono ricolmi di delizie sottovalutate, autentiche nella loro sofisticazione alimentare. “Comprato e Mangiato” proverà a dimostrare che sono Troppo Buone per Essere Finte.
Le caramelle godono di uno statuto speciale nel junk food. Mentre alcuni alimenti sono composti da ingredienti salutari e altri meno, alcuni naturali e altri meno, le caramelle, in genere, semplicemente non contengono niente che meriti la qualifica di “cibo”. Parafrasando il concetto di non-luogo, sono un non-cibo: tipicamente non sono altro che un agglomerato di sciroppo di glucosio, aromi artificiali e coloranti artificiali tenuto insieme da addensanti di dubbia provenienza, forza centripeta e buona volontà.
In linea teorica, io conduco una strenua e perdente battaglia contro gli oli vegetali e gli aromi artificiali –unica eccezione la Coca Cola light, non potrei vivere senza nemmeno scoprissi che la fanno con una specie animale in via di estinzione. In una generica golosità, un solo ingrediente fuori posto basta per raffreddarmi. Ma con le caramelle mi scopro inevitabilmente indulgente: “Con succo di frutta, ottimo!” giubilo tra me e me mentre consulto la lista degli ingredienti, quasi tutti E+ un numeretto, come le scorciatoie da tastiera di Windows. “Almeno il 4 per cento del totale, che salubrità!” mi congratulo interiormente con gli assennati produttori. “Bene, così anche oggi potrò assumere la mia RDA di CARRAGENINA!”
Negli anni, ho frequentemente peccato con un po’ tutte le caramelle industriali. Sì, ero consapevole che il Frutteto (mio guilty pleasure supremo da Autogrill) contenesse frutta più o meno nella stessa misura in cui i Coccodrilli Haribo contengono coccodrillo, ma questo non mi ha mai impedito di arraffare copiose manciate di entrambi al cinema (fuori tema: perché le caramelle al cinema costano come pepite d’oro? Sono seria) senza pormi troppe domande.
Ma poi ho scoperto Michael Pollan e le sue Food Rules, e “Non mangiare niente che tua nonna non riconoscerebbe come cibo” è diventato un Vangelo per me (TRANNE la Coca Light. Mia nonna del resto lo saprà cos’è una Coca Light). E inevitabilmente il mio zelo fanatico in direzione del cibo sì dolce, sì calorico, sì industriale MA perdonabile dal punto di vista della lista degli ingredienti si è propagato anche alle caramelle. Esistono alternative plausibili? Più o meno.
Una soluzione piuttosto ovvia e sempre popolare, che peraltro amo molto, sono le Galatine (ingredienti: zucchero, latte, miele), ma dubito che qualcuno di voi non le abbia mai assaggiate, e il valore aggiunto di questa rubrica sta nella RICERCA, diamine!
Quindi oggi vi propongo le deliziose caramelle Mou Kuhbonbon, esoteriche a partire dal nome: sulla confezione italiana, infatti, esso semplicemente non compare. C’è scritto “Cream Fudge” “Original” “Traditional”, e c’è l’immagine di una mucca, ma nessuno di questi segni è il brand. Se non ci fosse stato l’indirizzo del sito ufficiale stampigliato sulla caramella, avrei ancora dubbi sul loro nome.
(La verità è che ho dubbi sul loro nome anche ora).
Le Kuhbonbon garantiscono, per qualcosa più di 2 Euro all’Esselunga, un’ingestione di caramelle rispettosa – se non altro – delle Food Rules di Pollan. Gli ingredienti sono zucchero, glucosio, latte e burro: la mancanza di addensanti è percepibile e dà alla Mou una consistenza vagamente farinosa che non piace a tutti, ma io volentieri sacrifico la gommosità in cambio di ingredienti meno zozzi. Certo, se per voi l’esperienza di mangiare caramelle Mou è inscindibile dal staccarvele dai denti per ORE dopo l’ingestione, allora le Kuhbonbon* potrebbero non fare al caso vostro.
*nome da confermare