“Vuoi fare un pezzo su cos’è e come si fa il bollito misto?”, mi chiedono dalla redazione. E io: “Certo! Che ci vuole?”.
Ma, ahimè: come sempre, quando si tratta di scrivere di un “argomentone”, e di affrontare la grande tradizione culinaria italiana, comincio a guardare tra i miei libri e devo subire una piccola delusione. Perché trovo tanta tecnica, ma poche informazioni sui tagli.
Dal brodo al bollito
Così, per esempio, Ada Boni sul Talismano della Felicità (prima edizione 1927) parla della bollitura delle carni in un paragrafetto striminzito, dando il suggerimento classico di immergere la carne in acqua già bollente e salata: “si formerà subito uno strato di albumina coagulata intorno alla carne che impedirà la trasfusione dei princìpi sapidi nel brodo”.
Boni riprende il suggerimento di Pellegrino Artusi che, nel 1891, con la ricetta del brodo apriva La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene: “Lo sa il popolo e il comune che per ottenere il brodo buono bisogna mettere la carne ad acqua diaccia… Se poi, invece di un buon brodo preferiste un buon lesso, allora mettete la carne ad acqua bollente senza tanti riguardi”.
Nella mia biblioteca, devo arrivare al Carnacina, inteso come Luigi, cuoco e gastronomo che – spesso insieme al suo omonimo Veronelli – tra gli anni Cinquanta e Settanta dà alle stampe una decina di manuali. Il più famoso resta Il Carnacina (1961) dove riporta due ricette di bolliti misti.
Quello alla francese, il pot-au-feu, oltre a diversi tagli di manzo prevedeva anche spalla di montone, piedino di vitello e lardo di petto magro.
Quello all’italiana sostituiva il montone con un cappone ripieno di prosciutto, rigaglie e fegatini e aggiungeva pure il cotechino. C’era poi il bollito “di famiglia” fatto semplicemente con muscolo di bue e stop.
Le varianti regionali e straniere
Passa qualche altro decennio (sempre nella mia biblioteca, naturalmente!) e, nel 1990, esce la Grande enciclopedia illustrata della gastronomia di Marco Guarnaschelli Gotti. Dove, alla voce “bollito” si parla non solo della storia di questo piatto, nato nelle regioni dove da sempre si pratica l’allevamento, ma se ne elencano anche le principali declinazioni locali, con tanto di tagli e accompagnamenti.
Troviamo il bollito misto piemontese, definito il più ricco, con diversi tagli di manzo e vitello, gallina o cappone, testina e zampetto, lingua e cotechino, accompagnati dai bagnet verd e ross e da “senape di tipo francese”.
C’è la versione lombarda: diversi tagli di bovino adulto fra cui lo scamone, tipicamente lardellato e a volte steccato anche con aglio, testina e lingua di vitello, gallina o cappone anche ripieni (come dice il Carnacina), cotechino e/o zampone o cappello del prete. Accompagnano il carrello la salsa verde, la salsa rossa arricchita dal burro crudo e, soprattutto, la mostarda di Cremona.
Il bollito emiliano sostituisce il vitello con coscia e piedino di maiale e aggiunge alla salsa verde peperone crudo o sott’aceto.
In Veneto, infine, le “solite” carni sono servite insieme alla pearà, ricchissima salsa pepata a base di midollo e pane.
La carrellata si conclude con la citazione delle ricette straniere. In particolare il già citato pot-au-feu francese, dove spicca l’uso degli ortaggi: porri, rape e patate, uniti nell’ultima parte della cottura, così che si insaporiscano e possano essere serviti come contorni.
Mentre il cocido spagnolo aggiunge i ceci, il lardo e il chorizo, la tradizionale salsiccia aromatizzata alla paprica.
Lesso o bollito?
La distinzione sembra non essere solo linguistica. Sempre secondo Guarnaschelli Gotti, il bollito sarebbe la ricetta che si esegue per gustare la carne, il lesso la carne rimasta dopo la preparazione del brodo, in genere più asciutta e anche di qualità inferiore.
Un’altra versione vorrebbe il lesso quello che si ripropone nelle numerose ricette di recupero. Come i lessi “rifatti” di Artusi, avanzi ripassati in sugo di pomodoro o semplicemente nel brodo, finiti con prezzemolo e succo di limone.
La Confraternita è in Piemonte
Se, da milanese, mi sentirei di eleggere quella lombarda a mia ricetta di bollito del cuore (soprattutto per la gallina ripiena e la mostarda), è fuori discussione che il misto più sontuoso resta il piemontese.
La regola è custodita nientemeno che dalla Confraternita del Bollito, nata nel 1984 a Guarene d’Alba, in provincia di Cuneo, patria della Razza Piemontese, sottorazza Albese, ritenuta dai confratelli la migliore – o meglio, l’unica – per questa preparazione (oltre che per la battuta cruda al coltello).
La ricetta storica piemontese prevede sette tagli di manzo: scaramella (biancostato di reale, parte alta del reale), la punta di petto, il fiocco di punta, il cappello da prete (parte superiore della scapola con muscoli), la noce (muscolo della coscia), il tenerone (muscolo lungo della spalla traversato da cartilagine) e la culatta (parte superiore della groppa tra sottofiletto e coscia).
A questi si affiancano sette “ammennicoli” (che, secondo il dizionario, sarebbero “oggetti di poco conto”!): gallina, testina, zampino (da disossare prima di servire), lingua, lonza (petto sottile e un po’ grasso, da scottare prima al forno con aromi e rosmarino), coda e cotechino.
Le salse tradizionali sono il bagnetto verde, il bagnetto rosso di pomodoro e acciughe, la salsa alla senape, la mostarda d’uva (sugo di pere Martin sec, noci, cannella e garofano) e la salsa delle api (miele, noci, brodo e senape in polvere).
In più, si riprende la moda francese di accompagnare il bollito con diversi contorni: cipolline, zucchine e finocchi ripassati al burro più patate, rape, foglie di verza e carote lessate.
Come si fa un buon bollito
Se le norme sancite dalla Confraternita vorrebbero che ogni pezzo si cuocesse separatamente dagli altri, per praticità si possono usare “solo” quattro pentoloni: uno per manzo, vitello e pollame (a meno che cappone o gallina non siano ripieni alla lombarda, in tal caso vanno cotti da soli), uno per la lingua, uno per la testina e uno per i salumi (cotechino, zampone o cappello del prete).
Ogni brodo si aromatizza con sedano, carota, cipolla steccata con chiodi di garofano, alloro o prezzemolo, pepe in grani.
Il liquido non deve bollire violentemente ma solo fremere: per questo, la fiamma deve essere tenuta bassa e il coperchio un po’ scostato. Una regola inderogabile per i salumi, altrimenti la pelle (da bucherellare con uno stecchino) si lacera e lascia fuoriuscire la polpa.
Schiuma e grasso che salgono in superficie vanno eliminati di frequente con un mestolo forato.
Io, a differenza di quel che consigliava Ada Boni, preferisco non mettere sale, perché la sapidità naturale della carne si concentra durante la cottura. Che è lunga, intorno alle tre ore, tre ore e mezza per il manzo, almeno un paio per i tagli di vitello e il pollame, circa un’ora per i salumi.
Piuttosto, mi piace servire i diversi tagli con qualche granello di sale grosso e un filo di brodo bollente, per scioglierlo.
A proposito: fino al momento di servire, e anche dopo quel che è avanzato, il bollito si deve mantenere sempre coperto dal suo brodo.
Come vuole la tradizione, alla fine del banchetto (che di questo si tratta, quando si fa il bollito) si può predisporre lo stomaco alla digestione (!) gustando una tazza di brodo ristretto, magari impreziosito da grana o da un cucchiaio di vino rosso. Mi raccomando, attenti al rapporto solido/liquido: come indica il Vascello d’Oro, punto di riferimento di Carrù, per ogni chilo di carne ci vorrebbero non più di due litri di acqua.
Per il resto, vigono i diktat della Confraternita: “non si mischino i bagnetti, non si beva acqua specie in principio, si morda piccolo nel pane e grosso nella carne, è un mangiare da signori!”
[Immagini: Trattoria Vascello d’Oro]