Le modalità di utilizzo in cucina del tartufo nero sono meno conosciute o meno visibili di quelle del bianco. Che sostanzialmente non si cucina, è semplice. Per farci dare qualche consiglio, abbiamo chiesto allo chef Fabio Cappiello, alla guida della cucina del ristorante Vespasia di Norcia, di darci le sue dritte.
E non è un caso se ci siamo rivolti lì: come riportato dalla legge, il tartufo nero pregiato si può denonimare anche tartufo nero di Norcia e di Spoleto, mentre il nome scientifico è Tuber Melanosporum. Norcia è una città molto importante per il tartufo, soprattutto quello nero, sia nella varietà pregiata, che quella uncinata, che in quella estiva (lo scorzone).
Due parole sul ristorante vanno dette, se non altro per rendere omaggio alla storia. La famiglia Bianconi che ha aperto Vespasia si occupa di ristorazione dal 1850 proprio nel cuore di Norcia (il ristorante si trova all’interno di un hotel, Palazzo Seneca). L’attività ha resistito al tempo e, da ultimo, anche al terremoto del 2016, che ha impresso una ferita notevole sulla cittadina. Nonostante il Covid poi, la risposta è stata quella di non mollare. Allo chef Cappiello nel 2021 si è affiancata anche la chef Fumiko Sakai. Il menu è dunque firmato congiuntamente e tutte le indicazioni che mi vengono fornite da Cappiello sono condivise da entrambi.
Vivere in un territorio come quello di Norcia può certamente facilitare nella ricezione del tartufo, che viene selezionato direttamente da Carlo Bianconi. Questo non significa che tutta la materia prima sia ineccepibile “qualche volta abbiamo dovuto rimandare i tartufi indietro” racconta Cappiello. Inoltre è anche una scelta di campo: in questa terra il bianco non regge il confronto in termini di qualità con il nero, quindi sarebbe inutile metterlo in menu. Un primo suggerimento è quindi quello di guardarsi intorno e pescare direttamente dal proprio territorio.
Il tartufo nero, che è quello che viene utilizzato maggiormente nel menu, è presente in tutte e quattro le proposte di degustazione grazie alla sua versatilità. Viene dunque proposto dall’entrée fino ad arrivare al dolce, in un gioco di equilibri molto sottile che si può apprendere con una certa esperienza. Certo stare a Norcia aiuta: “io sono pugliese, ho imparato qui a trattare e conoscere questa materia prima”.
Veniamo a noi: in cinque punti salienti, come si cucina il tartufo nero.
Sia cotto che crudo
A differenza del tartufo bianco, il tartufo nero pregiato (ma vale anche per quello estivo) si può usare sia cotto che crudo. Sopporta infatti lo sbalzo termico, purché non sia eccessivo. Mai friggerlo nell’olio bollente ad esempio. Se bruciato, il tartufo tira fuori l’amaro, cosa che accade anche quando la qualità non è delle migliori, perché il prodotto non è giunto a maturazione.
Gli abbinamenti
Il mix tra tartufo nero e ingredienti si apre a moltissime opportunità. Patate, verdure, carpacci, uova, pasta (come l’umbricello al tartufo che è un piatto tipico dell’Umbria e perfetto per questo abbinamento) carni, e anche dolci.
Per quanto riguarda il pesce, siamo in Umbria, quindi nel menu troviamo solo pesce di lago e di fiume. “Ma sul pesce il tartufo è sprecato” sostiene lo chef. Poi c’è la carne: meglio scegliere l’agnello o il piccione, e lasciar perdere il maiale. Questo perché è consigliabile preferire ingredienti che non abbiano un sapore tanto deciso da andare in contrasto con il tartufo. Idem per il cioccolato dei dessert: se è fondente, non deve superare il 70%, altrimenti il tartufo scompare. Nella proposta del ristorante, è stato usato uno stampo ad hoc per ricreare la forma del tartufo e farla con il cioccolato.
Le quantità e il servizio
Il tartufo va lamellato o grattugiato davanti al cliente, anche per una questione di trasparenza. Nel caso del Vespasia, il tartufo viene grattugiato secondo la tradizione umbra, lamellato solo in qualche caso e mai nel caso del tartufo scorzone, che avendo una parte esterna resistente, si presta meglio alla grattugia. Le quantità sono variabili e dipendono dalla tipologia dei piatti. Ma si assestano sui sei/sette grammi di tartufo per pietanza. Anche perché, come raccomanda lo chef “quando è troppo può risultare anche stucchevole”.
L’importanza del prodotto fresco
Stare in una città famosa per il tartufo dove questo prodotto costituisce una leva turistica vuol dire due cose: la prima è che c’è molto tartufo buono, la seconda è che c’è anche tartufo pessimo. Sempre che sia tartufo. “Per noi è inconcepibile usare o oli, creme o altre cose chimiche. Le persone sono talmente abituate a questi sottoprodotti che ogni tanto qualcuno viene e dice che nel piatto il tartufo non sa di tartufo per via dell’odore. Che è il vero profumo del tartufo”.
L’abbinamento con l’olio
Storicamente l’abbinamento con il tartufo, qualsiasi esso sia, è con il burro, che tra calore e grassezza, aiuta il tuber a prigionare aromi e sapori. Tuttavia, parola di chef, l’abbinamento con l’olio umbro oltre ad essere inaspettato potrebbe essere addirittura migliore. In particolar modo perché quando il burro è di qualità e quindi ha un sapore molto deciso, tende a coprire troppo il tartufo.