A sentirlo nominare, i puristi del cioccolato storcono il naso: per loro, infatti, il cioccolato bianco – semplicemente – non è cioccolato. Diversamente stanno le cose, invece, non solo per la legge ma anche per il mercato. Se sul cioccolato fondente e su quello al latte sappiamo (quasi) tutto, quello del cioccolato bianco è un mondo ancora poco conosciuto e sul quale merita di fare un po’ di chiarezza.
Cos’è il cioccolato bianco e come si produce
Per legge, si definisce cioccolato bianco il prodotto ottenuto da burro di cacao, latte (o derivati del latte) e zuccheri, e che contiene non meno del 20% di burro di cacao e del 14% di sostanza secca del latte ottenuta dalla disidratazione parziale o totale di latte intero (o di latte parzialmente o totalmente scremato, o di panna, o di panna parzialmente o totalmente disidratata, o di burro o di grassi del latte). I grassi del latte devono essere presenti in quantità pari almeno al 3,5%.
Il burro di cacao può essere di due tipi: deodorizzato e sbiancato o naturale (monorigine o meno). Il primo è di fatto un grasso che non ha più le caratteristiche aromatiche iniziali (e perde di fatto l’identità del cacao da cui deriva) e che vengono quindi conferite nel corso del processo di produzione, dal latte, dal siero di latte o dalla vaniglia. Rappresenta il 90% del mercato del cioccolato bianco. Il burro naturale non è invece sottoposto a trattamenti deodorizzanti e sbiancanti, mantenendo pertanto le componenti aromatiche. Può essere monorigine (esattamente come il cioccolato fondente) o frutto di un blend, con una composizione che richiama diverse caratteristiche aromatiche. Ciò che “manca” al cioccolato bianco, quindi, è la polvere di cacao.
Storia del cioccolato bianco
Al cioccolato bianco si arriva per gradi ed è curioso come il fatto di essere oggi considerato un sottoprodotto si leghi in qualche modo alle sue stesse origini. Nel 1828 l’olandese Van Houten brevetta il metodo per separare il burro di cacao e il cacao in polvere, estraendo il grasso dall’interno dei semi di cacao. Nel 1847 i fratelli Fry di Londra realizzano la prima barretta di cioccolato, segnando una vera rivoluzione nelle modalità di consumo. Nel 1867, in Svizzera, il farmacista Henri Nestlè sintetizza il latte in polvere, procedimento che verrà sfruttato sapientemente da Daniel Peter nella realizzazione del cioccolato al latte.
Queste innovazioni gettano le basi per quello che avverrà tra la fine della Prima Guerra Mondiale e gli anni ’30. Nonostante le versioni divergano, alla base della nascita del cioccolato bianco c’è di fatto un problema di avanzi e scorte: alcuni sostengono che Nestlè avesse un eccesso di burro di cacao derivante dalla preparazione di cioccolato al latte e fondente, altri invece ritengono che l’eccesso riguardasse il latte in polvere, prodotto per il sostentamento dei bimbi durante la Prima guerra mondiale. Anche se non abbiamo dei riferimenti certi circa la paternità dell’idea, quello che conta è che dall’unione di latte in polvere, burro di cacao e zucchero, nacque il cioccolato bianco.
Il primo prodotto di cioccolato bianco viene posto in commercio in Europa nel decennio che precede la Seconda guerra mondiale ma è nel periodo postbellico che si assiste ad una vera spinta produttiva. Ovviamente è Nestlè a firmare la prima tavoletta, lanciata sul mercato con il nome di Alpine White Chocolate Bar, (e aggiungendo mandorle al prodotto per migliorarne la consistenza), antenata di quella che nel 1967 diverrà la notissima Galak, con un evidente richiamo all’impiego del latte nel nome (in greco γάλα significa latte).
Consigli per riconoscere un cioccolato bianco di qualità
Se per il cioccolato fondente e quello al latte i criteri per riconoscere un prodotto di qualità sono noti, più difficile è definire quali sono quelli che ci permettono di riconoscere un buon cioccolato bianco. Andrea Mecozzi, esperto di filiera, selezionatore e formatore del cacao ci ha aiutato. “Senza dubbio porre l’attenzione sulla lista di ingredienti è indicativo: un buon segnale è dato dal fatto che il primo ingrediente sia proprio il burro di cacao e non lo zucchero. Le componenti aromatiche sono inoltre fondamentali e se in un cioccolato bianco che utilizza burro di cacao deodorizzato o sbiancato sono assenti, compaiono invece in un prodotto con burro monorigine.
Il migliore è quello derivante dal Sambirano, varietà del Madagascar. I due produttori migliori sono Akesson’s e Menakao, che impiegano un cacao, e quindi un burro, molto aromatico e complesso”. Attenzione anche al ruolo giocato dalla vaniglia (naturale, e non dagli aromi o dalla vanillina): “C’è chi sceglie di non usarla, chi ne usa una non definita e chi invece sceglie di usarne una specifica, come Tahiti o Bourbon, più intense e capaci di giocare con il livello aromatico”.
Ulteriore aspetto su cui porre l’attenzione è l’eventuale aggiunta di grassi vegetali: fino al 2000 in molti paesi europei il cioccolato non poteva contenere nessun grasso che non fosse burro di cacao ed eventualmente grassi del latte, nel cioccolato al latte. In alcuni paesi invece (Danimarca, Gran Bretagna, Irlanda, Svezia, Portogallo, Finlandia e Austria) era possibile aggiungere fino al 10% di altri grassi. La direttiva (Ce) 2000/36, recepita in Italia nel 2003 e volta ad armonizzare il settore, consente ora in tutti i paesi della UE l’aggiunta di altri grassi vegetali oltre al burro di cacao, entro un limite massimo del 5% del prodotto finito. Colore e profumo, infine sono ulteriormente utili: un buon cioccolato bianco non è mai realmente bianco ma color avorio, con sfumature che possono variare dal giallo al color sabbia. E il profumo deve rimandare a buone note di latte e di vaniglia. E’ bene inoltre ricordare che mentre il burro di cacao naturale ossida più facilmente, quello deodorizzato ha una shelf life più lunga, con conseguenze sulla conservazione della tavoletta.
Differenze nutrizionali tra cioccolato bianco, al latte e fondente
Il cioccolato bianco è un prodotto abbastanza calorico: 100 grammi di prodotto apportano contengono apporta 530 calorie, più del fondente (520 calorie) e vicino a quelle del cioccolato al latte (550 calorie). Non ha tuttavia molecole nervine, e può quindi essere consumato da chi è maggiormente sensibile alla teobromina. La componente più elevata di zuccheri lo rende inadatto a chi soffre di ipertrigliceridemia, mentre i grassi saturi contenuti non sono idonei a chi soffre di colesterolo alto.
Uso in cucina e tendenze
Se l’uso in classiche ricette di dolci è scontato, decisamente più interessanti sono le tendenze di un uso più ampiamente “gastronomico del cioccolato”, che lo vede abbinato – come ganache o mousse – a crostacei (gamberi, per esempio) e verdure (una su tutte il cavolfiore).