Possiamo discutere il cosiddetto “metodo Report”, quello del giornalismo a tesi, per capirci, sostenuto da un uso malizioso del montaggio. Ma è indiscutibile che il programma d’inchiesta di Rai Tre, in un recente servizio sul cioccolato, abbia sconfessato alcune delle 600 cioccolaterie italiane che si definiscono artigianali.
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No, abbiamo scoperto che non sono tutti integerrimi produttori bean to bar, il processo di produzione che parte dalla trasformazione delle fave in massa di cacao, e dalla massa di cacao arriva alla tavoletta finita.
Un processo lento e costoso che è possibile risparmiarsi comprando massa di cacao già pronta dalle grandi industrie del cioccolato. In questo caso però il cioccolatiere non è più un artigiano ma un trasformatore.
Spiegare in dettaglio ogni fase del metodo bean to bar è un rovello che mi porto dietro da quando, anni fa, sono entrato nello stabilimento Domori di None, dove le fave di cacao crude vengono sottoposte a una tostatura leggera per arricchire il bouquet aromatico sviluppato durante la fermentazione, per essere poi frantumate e ripulite dalla buccia, diventando così granella di cacao.
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Oggi ho trovato un spiegazione chiara e appassionata del bean to bar in un capitolo del libro “L’ingrediente della felicità” (Centauria, 180 pag. 11,82 €), dei critici gastronomici Gigi e Clara Padovani, che dividono il processo in 8 fasi.
1. Raccolta
delle cabosse (il frutto della pianta di cacao), nella piantagione.
2. Fermentazione
delle fave di cacao nell’azienda agricola.
3. Essiccazione
delle fave di cacao, nell’azienda agricola.
4. Torrefazione
riduzione in granella, nell’industria e nel laboratorio artigiano.
5. Macinatura e raffinazione
realizzazione della massa di cacao, nell’industria e nel laboratorio artigiano.
6. Concaggio
si crea il cioccolato semi-lavorato, nell’industria e nel laboratorio artigiano.
7. Temperaggio
nascono il cioccolato o la copertura, nell’industria e nel laboratorio artigiano.
8. Modellaggio
si confeziona la tavoletta, nell’industria e nel laboratorio artigiano.
Il capitolo, intitolato “Nella fabbrica di Willy Wonka”, ha per protagonista Guido Castagna, giò noto ai lettori di Dissapore, e illustra il protocollo definito dallo stesso cioccolatiere artigianale di Giaveno, in provincia di Torino: metodo naturale Guido Castagna.
Da “L’ingrediente della felicità”:
“I sacchi di juta da 50 kg. sono ammonticchiati nel piccolo magazzino del laboratorio di Giaveno. Sull’etichetta c’è scritto: Colombia, Saravena 11/13 e Tame2.
In tutto sono una decina, si tratta di due micro-lotti di cacao colombiano che hanno attraversato l’Oceano dal porto di Cartagena a quello di Genova. Sono arrivati in giugno.
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Da dicembre erano stoccati in un magazzino a temperatura controllata di Bogotà, presso il Colaboratorio aperto dal 2015 da un giovane italiano, Manlio Larotonda: un trentenne appassionato di cioccolato che dopo aver discusso all’Università di Scienza Gastronomiche di Pollenzo una tesi sul cacao ha deciso di partire per il Sud America e avviare una piccola impresa che assiste i cioccolatieri italiani e i campesinos colombiani, sia dal punto di vista agronomico sia nelle fasi di fermentazione e essiccazione, al fine di ottenere una migliore qualità di fave da inviare in Italia.
Una start-up di import-export solidale al servizio del buon cioccolato.
Ci spiega Manlio da Bogotà: ‘Noi lavoriamo con piccoli contadini colombiani che hanno convertito la loro attività dai campi clandestini di coca alle piantagioni di cacao, grazie a un piano del governo.
Il nostro lavoro è legato alla fermentazione e degustazione delle fave: in base ai punteggi di analisi sensoriale che il nostro staff ha assegnato in mesi di lavoro e sperimentazioni otteniamo lotti di diversi cultivar, varietà che sono molto vicine al cacao Criollo, ricavate studiando varietà autoctone colombiane e propagandole nelle piantagioni.
Guido Castagna è molto esigente, lavoriamo fianco a fianco per sviluppare i profili aromatici che più gli piacciono.
Gli abbiamo proposto due lotti che secondo le nostre valutazioni sensoriali erano perfetti per lui, un lotto di Saravena e uno di Tame. Gli abbiamo inviato dei campioni: li ha provati e dopo il suo parere positivo abbiamo spedito i sacchi via Cartagena.
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Saravena e Tame sono venduti a 8,50 euro al kg., quattro volte il prezzo medio del cacao, con soddisfazione per i campesinos e anche per i cioccolatieri, che sanno di avere un prodotto certificato e sano’.
Dopo essere stati essiccati nella piantagione, i semi devono maturare perché siano pronti per la tostatura. Per questo stanno nel magazzino di Bogotà per qualche tempo, prima di essere caricati sul camion che, dopo un giorno di viaggio su strade impervie, li porterà a Cartagena.
Via nave, in due settimane, arrivano a Genova. Una volta sdoganati, proseguono per l’ultimo tratto del loro lungo viaggio con destinazione il laboratorio del cioccolatiere, dove ha inizio la sua alchimia.
Nel caso di Guido Castagna è un sistema di produzione meticoloso, dall’acquisto delle fave di cacao in cooperative e aziende certificate, fino al confezionamento dei prodotti in pack made in Italy. Il suo metodo di produzione si dipana durante un intero anno, per dare il tempo agli aromi naturali del cacao di svilupparsi al meglio.
Il laboratorio di Castagna è uno dei pochi in Italia che parte dalle fave di cacao per arrivare alla tavoletta: si dice, in gergo, bean to bar.
La maggior parte dei pasticcieri e maestri cioccolatieri compre il “liquore di cacao”, cioè la massa già pronta delle grandi aziende –come Barry Callebaut o Valrhona– oppure lavora la “copertura”, cioè il cioccolato grezzo in grandi pani da due o tre chilogrammi o in sacchetti di comode pastiglie pronte da inserire nella temperatrice.
Dopo la selezione a mano per eliminare le fave che possono aver sofferto durante il viaggio, piccole pietre, foglie, bucce che si sono staccate, si parte con la torrefazione. Il “tostino” per il cacao è simile a quello che si usa per il caffè, soltanto un po’ più grande, con un diametro di circa due metri.
La cottura dipende dalle singole partite di fave che il cioccolatiere riceve, ma in genere dovrebbe avvenire a una temperatura non superiore ai 110°C. per circa un’ora.
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Quindi avviene la decorticazione, si toglie cioè la pellicola esterna, e si forma la granella.
Ma la fase meravigliosa per un appassionato di cioccolato, è quella della raffinazione. Castagna come altri cioccolatieri, utilizzano un moderno mulino a sfere, chiuso, dove la massa viene girata a 50°C. per quattro ore circa.
Segue il momento più delicato, considerato decisivo per ottenere un buon cioccolato fondente: il concaggio. Il termine è preso a prestito dallo spagnolo concha, che significa guscio o conchiglia: si tratta di grandi recipienti in cui il cioccolato viene “massaggiato” per circa due giorni con un ricircolo forzato, alla temperatura di 45°C.
L’ultima fase è quella del temperaggio, che grazie a un apposito macchinario “tempera” il cioccolato facendolo passare da 45°C. a circa 30°C. affinché la cristallizzazione del burro di cacao diventi stabile.
L’artigiano attento al suo prodotto, invece di procedere alla modellazione finale delle tavolette, crea blocchi di cioccolato da 3 kg. circa, che lascia maturare in un ambiente climatizzato a 18-20°C. a bassa umidità per sei mesi. L’accortezza serve ad attenuare l’aggressività del cioccolato e il gusto acerbo tipico del prodotto naturale.
Questa “specifiche” di produzione non possono essere applicate dall’industria, che per ragioni economiche ha tempi di lavorazione molto più stretti.
[Crediti | L’ingrediente della felicità di Clara e Gigi Padovani, immagini di Guido Castagna: Nimium]