Una settimana fa ho partecipato a quello che si è rivelato il più irriverente appuntamento del programma collaterale del Salone del Gusto: la serata organizzata dalla pagina Facebook “Cibotriste.”
Di Cibotriste già scrissi qua: è uno sparuto ma appassionato gruppo di individui capitanato da Anna Grendele che pur riconoscendo il valore del cibo buono, pulito e giusto dà spazio a quello triste che ci capita di mangiare tutte le volte che torniamo a casa tardi e dalla dispensa esce un würstel che ha appena superato la scadenza, una scatoletta di tonno, una fetta di pan carrè un poco muffita.
[Perché il #cibotriste ci fa sentire meno soli]
Questi goliardi mesti hanno organizzato una sorta di Masterchef in cui tre coppie si sfidavano per realizzare il piatto più triste possibile, composto con una spesa casuale fatta al discount.
Il risultato, come si poteva prevedere, sono stati tre piatti orribili e con un ventaglio gustativo dal mediocre al disgustoso. E fin qui era tutto prevedibile.
La cosa incredibile, invece, è che alla fine hanno passato questi piatti orribili a due fotografi avvezzi al food design che li hanno velocemente sistemati e fotografati. In questa pagina dunque vi mostro sei foto: quelle amatoriali fatte ai piatti originali e quelle professionali fatte ai piatti messi a posto.
Vedete? Quelle dei piatti messe a posto sono belle! Sembrano ricette invitanti, golose, divertenti! E invece l’occhio inganna: del gusto non è cambiato niente, così come facevano schifo i primi tre piatti, facevano schifo le loro versioni pimped.
[Ecco perché ti chiediamo, caro lettore, di disinstallare Instagram]
Qual è la morale?
La morale, ancora una volta, è che un piatto non si giudica dall’impiatto. Meno che meno dalla fotografia. C’è solo una cosa da fare per capire se un cibo è buono o meno, anche nel terzo millennio: assaggiarlo.