Ci siamo scordati cosa sono i pancakes

Ormai chiamiamo "pancake" qualsiasi impasto cotto in forma tonda e che rimanga piatto, il perché non si sa, ma mi piace l'idea di analizzare la cosa forte della ricetta originale.

Ci siamo scordati cosa sono i pancakes

Questo non è un articolo che spiega cosa sono i pancakes, ma che propone un interrogativo. Come è possibile che ci arroghiamo il diritto di considerare pancakes qualunque frittella piatta e tonda, ma nel momento in cui si intacca il nome di pietanze nostrane tiriamo fuori le unghie? Non permettiamo quasi mai di chiamare col nome originale nessuna rivisitazione anche minima di ricette tradizionali italiche: se nella carbonara mettiamo la panna scattano i vari “non chiamatela carbonara!“, o “non chiamarlo tiramisù” se metto ricotta al posto del mascarpone (correggo, quello è accettato ma se lo chiamo tiramisù fit…). Invece, riusciamo a banalizzare molto spesso il cibo oltre confine e i pancakes ne sono un esempio – questo atteggiamento si propone anche per altre specialità estere, come l’hummus, il sushi o il porridge.

Che ci si creda o no, il pancake approdato nella storia recente ha caratteristiche ben precise e, visto che pretendiamo che le nostre ricette siano santificate nel loro nome, anche per i pancakes dovrebbe essere lo stesso.

Uno, nessuno, centomila pancakes

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Non è che voglia dimostrare chissà cosa, ma solo accentuare ancora una volta come nell’universo cibo – e nella fattispecie nell’universo cibo italico – ci siano delle contraddizioni davvero strane, che spesso mi lasciano perplessa (ne ho già parlato in uno degli articoli che avete detestato di più, quello sulla pizza con ananas). Perché capita, secondo voi, questa irriverenza nei confronti dei pancakes? Che sia forse perché non è una ricetta complicata e/o non ha una data di nascita né luogo precisissimi? Beh, nemmeno la carbonara li ha, eppure.

I pancakes potrebbero addirittura essere l’evoluzione di una ricetta dell’antica Grecia, esattamente come per la cheesecake. Nel 500 a.C. ci furono due commedianti che descrissero una ricetta da colazione molto simile ai pancakes: frittelle cotte tonde e servite con il miele, che furono chiamate teganites. Dalla Grecia alla Magna Grecia: i latini amavano una preparazione erede ma speziata dei teganites, chiamata alica dolcia. I precursori dei pancakes attraversarono e trovarono successo nel Medioevo, prima nei paesi germanici e poi nelle isole britanniche, che ne coniarono il nome durante il Quattrocento (o si sono ispirati ai pannekoek olandesi?). Vogliamo poi parlare dei dorayaki giapponesi?

Il ruolo degli USA

Gli Stati Uniti entrano in gioco “recentemente”, perché a loro va il merito di aver affinato e consolidato – ad un certo punto e non si sa bene per mano di chi – la ricetta dei pancakes che noi tutti conosciamo e che profaniamo come spiegato nell’introduzione. Se, quindi, la madre dei pancakes ci è abbastanza nota, per il padre non possiamo dire altrettanto. Possiamo, però, partire dalla ricetta originale americana, che mette fine ai dubbi sulla carta d’identità dei pancake, seppur con lontane parentele europee – come Halloween.

Carta (d’identità) canta!

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Farina, zucchero, agente lievitante, bicarbonato di sodio, uova, latticello e burro – sciroppo d’acero per servire, se si vuole: ecco i soli e unici componenti che dovrebbero definire tale la ricetta dei pancake. Anche se ho parlato di recente del reverse creaming, in questo caso vale il “vecchio” metodo degli elementi secchi uniti agli elementi liquidi. Facile, a patto che:

  • gli ingredienti siano tutti a temperatura ambiente (il burro infatti, essendo fuso, reagirebbe male incontrando uova e latticello gelati);
  • non si mescoli eccessivamente l’impasto, che deve rimanere grezzo;
  • si cuociano i pancakes solo quando si è certi di poterli servire immediatamente – non si fa mai, ma dovrebbe essere davvero una regola scolpita nella pietra

Tutto qui, non ci si può girare troppo intorno così come non si può girare troppo intorno al fatto che abbiamo sangue nelle vene.

I falsi pancakes

Il punto della questione è che le varianti personali o quelle che giocano sugli ingredienti appena elencati non v’è ragione di non chiamarle “pancakes”: se ci metto la vaniglia o la cannella, se li faccio integrali, se monto le chiare per averli fluffosi, se li faccio “all’inglese”… il problema è se inizio a chiamare “pancakes” qualcosa che non c’entra assolutamente niente. Nel mondo ci sono tantissime ricette che ricordano, solo nel concetto o solo nell’aspetto o solo negli ingredienti, i pancakes, ma – indovinate? – hanno tutte giustamente un altro nome: dai blinis ai banh xeo, dai kaisershmarrn ai pikelets alle crepes, e così via.

Volete che si rispettino le ricette storiche e che non si chiami dunque “amatriciana” o “gricia” qualcosa che si discosta da esse? A me va bene – non sono certo questi i problemi della vita – ma allora siate coerenti e smettetela di chiamare “pancakes” anche la pastella di ceci solo perché, da cotta, esce piatta e rotonda.