Viaggio all’inferno e ritorno, potrei commentare così la reazione al post di Dissapore sui 10 piatti più sopravvalutati. All’ironia su pane fatto in casa, birre artigianali e altre sovrastime, sono seguiti zilioni di insulti dai lettori, nemmeno avessi punzecchiato un parente prossimo. Ieri lo ha fatto La Stampa, partendo dal fatto che l’aragosta a New York si vende a prezzi da fast food causa pesca abbondante. Non sono esattamente piatti sopravvalutati, direi più un chi scende e chi sale nella classifica dei cibi che attizzano. Buttate l’occhio, ditemi se l’elenco è fatto a capocchia, e cosa aggiungere (o levare) dall’elenco dei cibi attizzanti o non più attizzanti.
Chi sale
⇑ (1) PESCE AZZURRO.
In pescheria, accostandoci al banco del pesce azzurro, io e la mia carta di credito sussultiamo dalla gioia. Il pesce cosiddetto povero non ci impoverisce, anzi, sgombri, acciughe e sardine ci arrischiscono di principi nutritivi. E se sono freschi, il sapore non ha rivali.
⇑ (2) BROCCOLI.
È la rivincita dello snobbato, oggi al mercato per procurarseli bisogna combattere. In particolare per il broccolo fiolaro di Creazzo, un signor broccolo, rilanciato da famoso chef Carlo Cracco.
⇑ (3) FAGIOLI.
Assistiamo a un rovesciamento curioso, il lusso si sposta nei fagioli: di Lamon, soranini, risina di Spello. Oggi dicono che siano “snobissimi”, sta di fatto che ci vuole un leasing per comprarli.
⇑ (4) CICERCHIA.
Erano un’eredità del dopoguerra, legate a doppio filo al ricordo della fame. Adesso, nonostante contengano la latirina, sostanza tossica che può danneggiare il sistema nervoso (ma una quantità limitata e l’ammollo di 24 ore evitano il problema), le cicerchie sono presidi, roccaforti di vita bucolica da difendere.
⇑ (5) BACCALA’.
Ovvio, non è il primo che trovate in pescheria, casomai quello chicchettino delle isole Lofoten. Sta di fatto che il baccalà ormai fa bella mostra di sé sulle tavole di ogni ristorante stellato. E pochi ricordano che un tempo, il panino del muratore era riempito con cicoria, broccoli e baccalà fritto.
⇑ (6) POLLO.
C’è stato un periodo in cui non potevamo neanche nominarlo. A parte la tradizione cheap, gli allevamenti erano spesso terrificanti. Oggi parliamo di polli bio superiori senza che i nostri interlocutori ci prendano per decerebrati. Peccato solo che i prezzi siano saliti.
⇑ (7) PATATE.
Discutere di una varietà di patate? Un tempo era impensabile. Oggi le conversazioni tra reginette del foodblog sono tutto un: “e senti, ma preferisici le ratte o le viola?”
⇑ (8) LENTICCHIE DI VENTOTENE.
Rare, esclusive e sfacciatamente care. Non fate sapere al vostro direttore di banca che ne siete ghiotti.
⇑ (9) FARINE DOC.
Richiamate alla memoria l’idea di farina che avete sempre avuto, fatto? Bene, cancellatela. Oggi una non vale l’altra, senza conoscere il W di una farina (il parametro che ne definisce la forza) nemmeno andiamo all’alimentari. Le nostre case sono ormai succursali di un forno invase da farine Caputo o Mulino Marino.
⇑ (10) PASTA DEL SENATORE CAPPELLI.
La pasta è diventata chic, dice La Stampa che il grano Senatore Cappelli “è venerato come una reliquia”.
Chi scende
⇓ (1) ARAGOSTA.
I mutamenti ambientali rimescolano il Pianeta. Per i pescatori di aragoste del Maine le stagioni non sono mai state tanto generose, per contro i prezzi sono passati da 4,63 dollari per mezzo chilo nel 2009 a 2 dollari la scorsa estate. Di questo passo troveremo l’aragosta nel ripieno del Big Mac.
⇓ (2) SALMONE.
Certo, c’è salmone e salmone, rosa e meno rosa, selvaggio o bio, ma l’appeal ormai è perso. Ieri era una delizia rara, il simbolo del pranzo di Natale borghese, oggi affolla il banco frigo del supermercato come qualsiasi affettato in busta.
⇓ (3) RUCOLA.
Per una breve stagione abbiamo consumato un solo tipo di insalata, la rughetta a Roma, anzi la rucola, perché il fenomeno veniva dal Nord. Chi voleva essere à la page la infilava ovunque, 8 su 10 a sproposito. Oggi nemmeno i più reazionari di noi riescono a recuperarla. Dove c’è la rucola c’è una ragnatela.
⇓ (4) MAIONESE.
Prendete il prototipo del cibo moderno, ecco, la maionese è l’esatto contrario: grassa, eccessiva, americanizzante. Non c’è verso di salvare la storia tra gli italiani e la mayo, un amore che si è chiuso, punto.
⇓ (5) INSALATA RUSSA.
Nel tempo è stata il piatto dell’aristocrazia russa, poi di quella genovese. Mangiarla oggi, dopo che è stata sepolta da eoni di squallide copie, significa aprire la porta alla preoccupazione perpetua.
⇓ (6) PROFITEROLE.
Flop! Si è sgonfiato.
⇓ (7) SCAMPI.
n un amen, dal delirio di emozioni che rappresentava una scorpacciata di scampi freschi, siamo passati alla routine. Il congelato di serie ha privato del suo appeal un altro must della tavola borghese.
⇓ (8) BRANZINO.
La verità è semplice: per quanto buono, il branzino d’allevamento non fa più status.
⇓ (9) GAMBERETTI.
La differenza ètutta qui: un tempo i gamberetti erano il simbolo di quei pranzi domenicali dai genitori, terribilmente meravigliosi. Oggi ci chiediamo come abbiamo fatto a sfangare lo zilionesimo tagliolino zucchine e gamberetti.
⇓ (10) CAVIALE.
Le quotazioni del nostro amore per il caviale sono in ribasso, oggi lo troviamo eccessivo, ultracostoso, la Paris Hilton degli ingredienti. Urge rifondazione cavialista .
[Crediti | Link: Il Post, Dissapore, La Stampa. Immagini: Caccamo, Lori_NY, Florian Plag, ryPix, La Catholique, Andrew Michaels, Bramus, Synaethesia, Buttalapasta, Misterjncks, Spigoloso, Sapori Tipici, Alimetipedia, Boca Dorada, Meringhe alla panna, I cavalieri di Arianna, Freshloaf, Clara, My Luxury]