Edie Mukiibi sta simpatico già dal nome – con quella doppia i che non sai come pronunciare – già solo a vederlo, con quella faccia gioviale ma non babbiona, quel sorriso che sembra temperato da un velo di tristezza. Giovane, e dal sud del mondo, cosa desiderare di più? (Una donna, forse, però mo non esageriamo.) Ma chi è davvero il nuovo presidente di Slow Food, il primo presidente di Slow Food potremmo dire, dopo il più che trentennale regno del fondatore Carlo Petrini?
Quando Carlin con altri amici fonda Arcigola a Bra (CN), nel 1986 – è l’anno dello sbarco di McDonald’s in Italia, nonché dello scandalo del vino al metanolo – Edward nasce, in Uganda, in una zona sulla sponda settentrionale del lago Vittoria. Quando l’associazione di buone forchette diventa la più seria e impegnata Slow Food, nel 1989, Edie è un bambino di tre anni che già aiuta la famiglia – “numerosa e a basso reddito” come racconta lui stesso – nei campi. “Invece a scuola l’attività agricola era uno strumento di punizione per chi arrivava in ritardo o parlava lingue locali diverse dall’inglese”. L’agricoltura come simbolo di arretratezza, di un passato da cui emanciparsi – l’abbiamo vista succedere ovunque, dove prima dove poi, questa cosa.
Nel 2006, quando Slow Food festeggia i suoi primi vent’anni ed è già una potente e stimata organizzazione internazionale, che si è inventata kermesse come il Salone del Gusto e Terra Madre, e ha addirittura un’università (Scienze Gastronomiche a Pollenzo, che di Bra è frazione), Edward Mukiibi all’università (di Kampala) ci sta da umile matricola. Ma pieno di buoni propositi, per modernizzare l’agricoltura della sua Africa secondo le più recenti scoperte dell’industria sementiera occidentale: “abbiamo formato gli agricoltori sulle modalità di coltivazione di questa varietà ibrida per ottenere rese più elevate, così come sull’utilizzo dei fertilizzanti sintetici raccomandati. Convinti dalla prospettiva di contrastare gli effetti della siccità, gli agricoltori acquistarono le sementi e i prodotti di sintesi per la successiva stagione di semina, pronti a piantare la nuova varietà che avrebbe reso meglio se piantata in un suolo puro, rinunciando ai sistemi tradizionali di consociazione e agroforestazione. All’inizio della prima stagione vegetativa del 2007 la siccità colpì il raccolto, causando perdite agli agricoltori che avevano coltivato e destinato ampie porzioni di terreno esclusivamente al mais. Tornando nelle comunità per incontrare gli agricoltori, rimasi incredulo dinanzi ai danni che questo sistema aveva causato”. Così il progetto DISC (Developing Innovations in School Cultivation), che l’intraprendente studente aveva fondato per far comprendere alle scuole e alle comunità l’importanza dell’agricoltura, fa una netta sterzata verso la ricostruzione dei sistemi agricoli locali, basati sulle risorse, le conoscenze e i metodi tradizionali.
Nel 2008 le strade di Mukiibi e Slow Food finalmente si incrociano: Edie viene invitato a Terra Madre. Ricorda quel momento Gigi Padovani nel suo libro-intervista a Petrini Slow Food Storia di un’utopia possibile: “… un giovane ugandese di ventidue anni che ha studiato “agronomia moderna”… Quando finalmente Edie entra nell’edificio, è sopraffatto dall’emozione: migliaia di persone… Edie si guarda intorno, stupito e felice”. Non si separeranno più.
Dopo la laurea, nel 2009, Mukiibi lavora come ispettore in enti certificatori del biologico, oltre a fare il consulente per piccole aziende che vogliono operare la transizione verso quel modello agricolo. Nel 2013 entra nell’Executive Board, il consiglio di amministrazione, di Slow Food. Dall’anno dopo è impegnato direttamente nella sua fattoria, in Uganda: “Azienda agroecologica di piccola scala. Produciamo colture come caffè, banane, vaniglia, cacao, ortaggi locali e frutta come il mango, su piccola scala per il consumo domestico e il mercato locale o internazionale. Abbiamo anche alcuni animali come capre, maiali e galline, nonché un alloggio in fattoria pensato per visitatori e volontari”. Così si legge sul profilo LinkedIn di Mukiibi, nel quale sono riassunte anche le successive cariche di una carriera ormai lanciatissima.
Managing Executive Director di Slow Food Uganda dal 2015. Advisory Board member dell’Agro Ecology Fund (AEF) dal 2016, membro dell’Advisory Board del Food Think Tank (US) dal 2015. Ma soprattutto, dal 2014 Mukiibi è vicepresidente di Slow Food: se non un delfino di Petrini, dato che il patriarca non ha mai fatto sospettare di voler passare la mano prima dell’altro giorno, qualcosa che ci si avvicinava. E infatti.
Edward Mukiibi è stato segnalato tra gli educatori nei 50 Next del 2021, cioè i 50 personaggi più influenti e promettenti del mondo gastronomico, una lista stilata dallo stesso ente che nomina i 50 Best restaurants, se pure con criteri diversi. Sotto la sua guida ha prosperato il progetto di Slow Food Orti in Africa; di recente è stato citato in un pezzo del Guardian sul fonio, il cereale africano soppiantato dalle coltivazioni intensive e apparentemente più redditizie, ma in verità deleterie per la biodiversità e la dieta della popolazioni locali: “l’imperialismo coloniale ha imposto all’Africa le monocolture”, ha dichiarato Mukiibi.
Allora, tornando alla domanda iniziale: chi è il presidente di Slow Food e che novità rappresenta per l’associazione del buono-pulito-giusto? Un curriculum del genere disegna il profilo di un uomo di apparato, non certo un giovane agricoltore africano, come ha detto qualcuno con eccesso naif. In questo senso la novità, l’elemento di rottura, sta più nel fatto in sé del passaggio di carica da Petrini ad altri, che nella scelta dell’erede, forse.
Cosa farà Mukiibi? Si trova ad avere in mano il timone di Slow Food in un momento quanto mai delicato: da un lato le istanze e la visione del movimento – mangiare e coltivare come atto politico, l’idea globale e olistica che comprende la tutela dell’ambiente e la salvezza della Terra – sono oggi che la catastrofe climatica incombe, più attuali e necessarie che mai. Dall’altro si tratterà di gestire pressioni interne – durante il Congresso internazionale sono state presentate varie mozioni su problemi che vanno dal razzismo al ruolo delle donne – e riaffermare nel mondo la presenza di Slow Food, con una nuova veste giuridica (il Congresso ha anche definitivamente deliberato il passaggio dalla forma di associazione a quella di Fondazione di partecipazione Ente terzo settore) e nuove possibilità. Noi nel nostro piccolo, e non solo perché ci sta simpatico, non possiamo che augurargli buon lavoro.