E’ curioso come una discussione attorno alle cose del cibo possa prendere delle direzioni inaspettate, e portare del tutto altrove. L’Argomento è: quanto dobbiamo tenere in conto il giudizio dei critici se poi il gradimento popolare avrà un segno differente se non addirittura opposto? L’ interrogativo può essere esteso a quasi tutti i campi dell’espressione umana. Arte, Letteratura, Musica. In altri termini, a tutte quelle forme di espressione che possono ricadere sotto un metro di valutazione non del tutto – o per nulla – oggettivo. Laddove entra in campo l’ interpretazione, la lettura, la questione si complica assai.
Qualche anno fa era semplice, e il meccanismo era chiaro: il critico gastronomico, l’ispettore della guida andava (quando andava) e giudicava (quando giudicava). Era non dico facile ma possibile restare anonimi, e tutto avevo un suo moderato tran tran più o meno accettato, più o meno accettabile. I giudizi in fondo erano vicini, se non omologati: si discuteva di un punto di quà di una forchetta di là; di una stella di su e di un polpo scotennato di giù. Trovavi il tuo nido tra le pagine di questa o di quella guida, quella che aveva un sistema di riferimento gustativo più o meno uguale al tuo e te la trattavi per un annetto, con una certa serenità.
Poi è arrivata la Rete, e ognuno di noi può dire Il Re E’ Nudo: se a torto o a ragione è fomento di lunghe discussioni, ma di certo non c’è più identità di vedute su chi può giudicare chi, con quale competenza, con quale esperienza e con quale bagaglio critico. Con il rischio, anzi la probabilità che i giudizi degli “esperti” si discostino in modo rilevante da quelli del pubblico che poi tutti i giorni alza il telefono per le prenotazioni. Non so più quante volte mi è capitato di sedere, uno con me stesso nella sala vuota, in Case osannate dai gurmé e di faticare a trovare posto in locali tutt’altro che convincenti: non dico al mio indegno giudizio, ma a quello di ben altri e più autorevoli pareri.
Certo, scrivendo le parole “esperto” e “competente” mi formicolavano i polpastrelli, perchè poche cose al mondo sono più complicate di definire la competenza gastronomica. Ne capisce di più il mio amico ricco da mille ristoranti ma con il palato di ghisa o il proletario fine esteta che si permette un ristorantone un anno sì e uno no? Non ne sono mica sicuro.
Allora di chi ci dobbiamo fidare? Del “televoto” o delle classifiche di gradimento degli “esperti”? Una cosa è certa, che la ricerca sperticata del consenso prevede – certo come il telegiornale delle otto – il rischio di una deriva livellata verso il basso, e vado a dimostrarlo. Se gli insegnanti a scuola insegnassero solo le materie “popolari” tra i ragazzi e non frangessero le gonadi con la trigonometria, saremmo presto regrediti all’età del bronzo.
Dunque una qualche elite si dovrebbe fare carico della selezione, dell’incitamento, dello sprone a far meglio, e questo al sistematico prezzo dell’impopolarità.
Chi si fa avanti?