La produzione casearia italiana di paste filate vanta esponenti illustri. Accade spesso, tuttavia, che non sia citato un prodotto unico, il Casizolu, che fa parte dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali della Sardegna e che di fatto potrebbe a pieno titolo essere definito come “una Sardegna che non ti aspetti”. Tradizionalmente associata alla produzione di formaggi di pecora o capra, la Sardegna con il Casizolu dimostra ampiamente di poter giocare in un altro campionato, quello del latte vaccino, ed essere in grado di rivaleggiare con le paste filate più blasonate.
Produzione e caratteristiche del Casizolu
Per spiegare cos’è il Casizolu, bisogna partire dal latte e quindi dalle vacche: la razza infatti è quella sardo modicana, il cui latte viene lavorato seguendo il procedimento classico utilizzato per tutte le paste filate che prevede una doppia lavorazione: prima la formazione della cagliata, scaldando il latte appena munto con l’aggiunta di caglio di vitello e poi, dopo averla fatta riposare e acidificare, la filatura. La cagliata, tagliata in pezzi e sistemata in un paiolo, con l’aggiunta di acqua calda (90° circa), si impasta fino a quando è omogenea, lucida ed elastica: a questo punto si inizia la spezzatura o il taglio, ottenendo porzioni di grandi dimensioni ed un peso attorno ai 2 kg-2 kg e ½.
L’intera lavorazione viene fatta a mano: e proprio a proposito delle mani di chi lavora questo formaggio, Michele Cherchi – titolare di una salsamenteria a Cagliari ed esperto di produzioni casearie – da cui ci siamo fatti raccontare storia e produzione del Casizolu, dice che “sono mani belle calde, toste, abituate alle alte temperature. Quando tu stringi la mano ad una di queste persone, capisci subito com’è abituata a lavorare”. Dall’abilità di queste mani deriva la classica forma a pera e soprattutto la chiusura, che si fa “rimboccando” la parte di impasto eccedente e dando ad esso la forma di peretta.
Ed era proprio la chiusura, in passato, a rappresentare il marchio di fabbrica del produttore o meglio, quella che Cherchi ha definito una sorta di “etichetta ante litteram”: ogni produttore aveva il suo modo di chiudere la forma, rendendola quindi riconoscibile. Una volta modellato, il Casizolu va tuffato in acqua ghiacciata affinché lo shock termico consenta la formazione di una pellicola esterna che poi diventerà la buccia e che dev’esser liscia, lucente e senza rughe.
La successiva salatura prevede che il Casizolu venga messo in salamoia per un tempo che varia a seconda del peso (circa un paio d’ore). Viene quindi legato a coppia e appeso a stagionare a cavallo di pertiche, esattamente come il caciocavallo. Il tempo di stagionatura è variabile e può arrivare anche all’anno. Il risultato è un formaggio dalla pasta leggermente occhiata, dal colore giallo paglierino – che diventa arancione negli esemplari più vecchi – la cui pasta tende alla sfoglia con la stagionatura. Al naso, quando la forma è ben stagionata, odora di erba e di latticello, ma anche di bosco. Al palato ha una buona persistenza.
Casizolu: alle origini del nome
Casizolu significa “piccolo formaggio”: il nome si lega al fatto che il Casizolu era ed è il formaggio delle donne. La lavorazione era compito loro perché, stando tradizionalmente in casa, erano le uniche a poter aspettare e cogliere il momento esatto in cui, aggiunto il caglio e preparato la rottura della cagliata, la fermentazione consentiva di iniziare la fase della filatura. Momento esatto che poteva avvenire in qualsiasi momento del giorno: la sera, la notte, l’alba. Un lavoro faticoso, che richiedeva attenzione, perizia, sensibilità e manualità e che prevedeva che il formaggio venisse curato come un bimbo: ecco il perché del nome.
Dettaglio non secondario è il fatto che una volta conferita la forma a pera, per fare in modo che non si rovinasse, il formaggio veniva sistemato in un canovaccio, suggerendo un’analogia con la culla dei bimbi. Dopo la filatura della pasta, l’acqua calda con cui si lavava la cagliata e che conteneva un po’ di grasso e di siero, non veniva eliminava ma si usava per la preparazione delle minestre: s’abbagasu – “letteralmente acqua di formaggio” – è il brodo per minestre al formaggio.
I produttori: dove acquistarlo
Prodotto tradizionalmente dall’autunno fino all’inizio dell’estate, nel rispetto dei cicli di lattazione delle vacche, il Casizolu si produce nella zona del Montiferru (provincia di Oristano): i paesi vocati sono Paulilatino, Santu Lussurgiu e Bonarcado. I produttori cui fare riferimento sono Giovanni Borrodde, e Giampaolo Piu a Santu Lussurgiu, Giuseppe Sanna a Paulilatino.
Utilizzi in cucina e abbinamenti
Il Casizolu in cucina è versatile come tutte le paste filate: oltre che al naturale accostato a miele locale e a verdure di stagione, dà il meglio di sé in lasagne e sformati – magari con il pane carasau usato a mo’ di sfoglia e bagnato con brodo – specie di verdure; e ancora, nei gateau di patate e gratin e sulla pizza; infine, nel caso di esemplari più stagionati, grattugiato.