Che le brioches facessero politica ce lo insegnò Maria Antonietta, ma chi se lo aspettava da una fetta di torta? I detentori del celebre marchio austriaco hanno aperto il Caffè Sacher a Trieste, primo e unico (per ora) in Italia: arredamento lussuoso, Sachertorte originale a fette o intera, caffè e altri prodotti. Com’è andata l’inaugurazione? Diciamo che ci si poteva aspettare due reazioni: la polemica per i prezzi alti, o il successo da code e tutto-esaurito. Ebbene, si sono verificati entrambi gli scenari tra scontrini sul web condannati in maniera lapidaria e la chiusura anticipata del locale che deve già rifornire le scorte andate a ruba in poche ore. Mi soffermerò, tuttavia, sulle parole del sindaco di Trieste e il vespaio che queste hanno suscitato: “se hai i soldi vai, altrimenti guardi“.
L’affermazione del primo cittadino triestino Roberto Dipiazza è volata come un manifesto politico un po’ ovunque, approdando soprattutto nelle sinapsi del giornalista Massimo Gramellini del Corriere della Sera. E, lui, nella sua puntuale rubrica “Il caffè di Gramellini”, ha reagito definendo il messaggio di Dipiazza sintomo di un’egemonia culturale che si chiama “cattivismo“, lo ha associato a un “disprezzo per chi non può permettersi una merenda di lusso ai figli“, lo ha definito un atteggiamento “amorale e stupido“. Riteniamo interessante e doveroso ragionarci su.
La politica nella polemica
Sulle parole del sindaco Dipiazza c’è poco da dire, perché sono molto semplici – quasi banali, oseremmo dire: chi può fa, chi non può guarda e basta. Una triste verità vecchia come il mondo, poco interpretabile. Per Gramellini e molti altri, invece, il sindaco avrebbe dato uno schiaffo offensivo e snob a coloro che possono solo stare col naso attaccato alla vetrina, e vedono nell’uscita del primo cittadino un commento rude e non necessario. Ma da quando è diventato offensivo affermare che esistono beni che non tutti possono permettersi? Toni a parte (forse un po’ perentori, quelli del sindaco), c’è da pensare che insegnare a odiare qualcosa che non si ha (e qualcuno che “ha”) sia sbagliato tanto quanto ostentare in modo gretto ciò che si ha (e qualcuno che “non ha”).
La Sachertorte come le brioches dell’Ancien Régime
Sembra proprio che si stia andando ben oltre, con le polemiche alla mera fetta di torta e caffè costosi: il sindaco, tramite la sua banale seppur vera massima di vita, dimostrerebbe di disprezzare chi non arriva a fine mese. Insomma, per Gramellini “chi può si sforza di condividere con chi non può” e il sindaco Dipiazza non solo non lo avrebbe fatto, ma avrebbe persino sfottuto i più sfortunati. Peccato che, qui, la fortuna e la sfortuna così come la ricchezza o la povertà non c’entrino assolutamente nulla. Ah no, un momento: “un sindaco democristiano del secolo scorso avrebbe usato formule ipocrite ma rispettose”, e Dipiazza è di Forza Italia. Ma davvero questa questione è così complessa come si vuol far credere? Apre un locale, è una novità di lustro per una città italiana, ha successo, in molti fortunati se lo possono permettere e in molti altri no: stop, è solo questa la questione. A meno che non ci si metta di mezzo un’allusione politica.
E a me sono tornate tutto d’un tratto in mente le polemiche di poche settimane fa, di quando si associò al gastrofighettismo una spesa meno economica e al ribasso di altre (ma magari più etica); di quando si associò il cibo “povero” a una lotta di classe; di quando si inneggiò una sinistra italiana rappresentata dalla sfoglia confezionata e dal tonno in scatola. Stupida io a pensare che un locale o un negozio siano solo tali, ovvero luoghi per acquistare o assaggiare cibo, e non seggi elettorali.
Un’attività commerciale come altre
Qui siamo al livello di chi racconta l’esperienza in uno stellato ed è tacciato di ostentazione e schiaffo alla miseria da chi non può permettersi (o, leggittimamente, non vuole spendere quelle cifre, preferendo fare altre scelte) Villa Crespi o Massimo Bottura o la pizza di Carlo Cracco in Galleria. Forse siamo arrivati al punto in cui i mezzi creati per far vedere qualcosa e condividerla al mondo stanno iniziando a provocare, più che a mostrare.
Il caffè che costa troppo… poco
In tutto ciò, mettiamo da parte la polemica e la polemica della polemica e la politica nella polemica, per mettere i puntini sulle i. Alla base di tutto c’è un rancore per i prezzi alti nel Caffè Sacher di Trieste, dove una fetta di Sacher originale costa 8,90 € e, soprattutto, un espresso costa 3,50 €. Ci siamo mai chiesti perché, in Italia (visto che mediamente il caffè ha un costo più alto, all’estero), il caffè costi mediamente solo 1-1,30 €? Ci siamo mai chiesti se sia giusto o no pagare così poco per un caffè? Ci siamo mai chiesti se un prezzo così basso sia, piuttosto, sinonimo di una qualità notoriamente bassa nei bar italiani- dove è spesso bruciato o sa di rancido? Di conseguenza, ci siamo mai chiesti quale sarebbe il giusto prezzo per un caffè (davvero) di qualità? La meccanica di costo/chilo/qualità è già stata ben spiegata su queste pagine, in più di un articolo.
Ma nello specifico, poniamo la domanda delle domande: perché una fetta di torta e un caffè in un locale storico e di lusso nella parte più bella di Trieste possono (e devono) costare di più rispetto a quello che ti serve il “bar sotto casa”? Lasciando stare un attimo la qualità del prodotto (volutamente non citata): c’è un affitto, c’è un personale formato, c’è un marchio prestigioso di mezzo, c’è un servizio di alto livello e dettagli che hanno un costo. É matematica, non ostentazione.