Se uno dice Forlimpopoli (Fc) pensa a Pellegrino Artusi. È in fatti in questo paese della pianura romagnola che il 4 agosto 1820 nacque quello che può essere considerato il “padre” della cucina italiana, l’uomo più citato nella storia della nostra identità culinaria anche da chi, in realtà, non ne conosce più di tanto la biografia.
E allora proviamo a capire perché questo uomo riveste un ruolo così importante proprio oggi, in una data tutt’altro che casuale, in cui cade la ricorrenza dei 112 anni dalla sua morte avvenuta a Firenze.
Come è nato La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene
Nato da una famiglia di commercianti che contava tredici figli, Pellegrino Artusi divenne un uomo di cultura che ricevette una formazione idonea a occuparsi dell’attività del commercio. Nel 1851, in seguito a una incursione della banda del brigante Passatore nella loro abitazione, la famiglia si trasferì a Firenze dove Pellegrino proseguì nell’attività di commercio vivendo una vita agiata.
Autore di saggi, gastronomo, appassionato fautore dell’unità d’Italia e amante del Risorgimento restò scapolo e all’età di 61 anni iniziò a raccogliere le ricette che aveva raccolto durante i suoi viaggi. Ad aiutarlo ci furono la fedele cuoca Marietta Sabatini e il cuoco Francesco Ruffilli: così prese forma il manuale che cambiò per sempre la gastronomia italiana. Finito il lavoro (inizialmente composto solo da 475 ricette) Artusi fece fatica a trovare un editore interessato alla sua pubblicazione e così nel 1891 decise di stampare il volume a proprie spese per i tipi dell’editore Landi vendendone in poco tempo mille copie ed esaurendo così la prima edizione.
Fu un successo: ci furono 15 ristampe e revisioni che si susseguirono fino al 1911 quando il libro aveva già venduto 1 milione e 200 mila copie. Dalla sua morte (30 marzo 1911) le ristampe continuarono e continuano ancora oggi senza alcuna modifica al testo, ma con traduzioni in sette lingue; nel 1931 le edizioni erano giunte a 32 e questo libro era tra i più letti dagli italiani insieme a I promessi sposi e a Pinocchio.
La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene (con 790 ricette totali) fu un volume storicamente fondamentale per l’unione culturale (e gastronomica) del popolo italiano e per la diffusione della sua lingua. In quel periodo i libri di cucina erano pochi e prevalentemente tradotti dal francese con ricette spesso complesse da riprodurre.
Va anche detto che la popolazione era analfabeta in modo ancora molto diffuso e non era per nulla abituata a scrivere o a leggere le ricette che di norma venivano tramandate oralmente. Facevano eccezione i cuochi personali di nobili e famiglie facoltose che scrivevano i propri ricettari o seguivano quelli di altri come nel caso dei volumi in lingua francese. L’unità d’Italia avvenne nel 1861 e, seppur passarono trent’anni prima della pubblicazione del libro dell’Artusi, il campanilismo culinario tra territori e regioni differenti era ancora molto forte e radicato nella popolazione che in gran parte non conosceva piatti e tradizioni di luoghi unificati sotto lo stesso regno.
Fu la borghesia il primo pubblico dell’Artusi: alfabetizzato e curioso di conoscere, di aumentare la propria cultura in tutti gli ambiti, anche a tavola. Furono loro i primi lettori del volume che divenne una novità dirompente (come testimoniano le copie vendute) e un libro di ricette facile e comprensibile poco per volta da tutti. In librò fu poi anche il primo esempio di unificazione culinaria della nuova Italia poiché al suo interno vennero inserite ricette (anche dolci) provenienti da quasi tutte le regioni italiane.
La Festa Artusiana
Dal 1997 ogni anno a partire dal penultimo sabato di giugno e per nove giorni consecutivi Forlimpopoli omaggia il grande gastronomo con una serie di eventi e incontri in “un paese che si trasforma da chef” e che ospita sempre anche Casa Artusi, il primo centro di cultura gastronomica dedicato alla cucina domestica italiana.
Un omaggio a Pellegrino Artusi
Per ricordare l’Artusi nel giorno della sua scomparsa e l’importanza che il gastronomo e scrittore ebbe nell’evoluzione della cucina italiana, c’è anche chi ha deciso di proporre in queste settimane nel menù del proprio ristorante alcuni suoi piatti. È il caso di Cubique di Torino guidato da Pierluigi Consonni e Alain Spanu: “Se siamo qui a raccontare, a parlare di cibo come rivoluzione culturale – spiegano – lo dobbiamo anche a lui. La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene-Manuale pratico per famiglie dovrebbe essere in ogni libreria, in ogni cucina di casa dove si ha a cuore una certa cultura del buon mangiare.
C’è così tanta Italia in questo volume da far venire voglia di aprire il libro a caso e scegliere una ricetta diversa ogni giorno”. Ed ecco che in carta sono comparsi due omaggi al suo genio e al suo testamento gastronomico: la Spoja Lorda e il Dolce Torino. La Spoja Lorda è un primo piatto della provincia di Ravenna che nasce come portata di recupero della sfoglia avanzata per la preparazione dei cappelletti. In dialetto significa sfoglia sporcata: si preparava una sorta di primo piatto con i ritagli di pasta all’uovo, sporcati di ripieno.
La versione di Spoja Lorda di Cubique è sontuosa: viene servita come un grande raviolo ripieno di ricotta vaccina ad accompagnare il ragù di cervo. Il Dolce Torino è invece una sorta di zuccotto al cioccolato fondente, con savoiardi inzuppati nell’alchermes e rosolio e decorato con nocciole tritate. Consonni e Spanu hanno rivisitato il Dolce Torino proponendolo con una namelaka al cioccolato al 70%, savoiardi più sottili simili a un bisquit e imbevuti nell’alchermes e creando un guscio croccante glassato con cioccolato e, come vuole la ricetta, cosparso di granella di nocciole e pistacchi.