La tradizione del bollito misto ha solide radici nella nostra cultura culinaria. Come spesso capita con i piatti tipici italiani (e come raccontato in questo lungo spiegone), ne esistono diverse declinazioni.
La più celebre è forse la piemontese, tutelata dalla sua Confraternita, poi ci sono la lombarda, la veneta, l’emiliana.
Più le infinite versioni di casa. Chiunque si cimenti con questa ricetta, ha i suoi tagli preferiti, i migliori del macellaio di fiducia. E anche le sue tecniche. Non sempre corrette e non sempre al riparo da errori più o meno gravi che possono compromettere il nostro bollito.
1. Calcolare male l’acqua
Come ci hanno spiegato, da Pellegrino Artusi in poi, per fare un buon bollito la carne deve essere immersa in acqua già bollente. Per inciso, non solo acqua, ma questo te lo racconto al punto successivo. Tornando al liquido di cottura, deve coprire la carne ma non essere troppo abbondante da lasciarla galleggiare.
La regola d’oro arriva dalla trattoria Il Vascello d’Oro (appunto!) di Carrù, patria del bue grasso: occorrono due litri d’acqua ogni chilo di carne.
Poi c’è il caso che l’acqua, durante la cottura, evapori e si presenti la necessità di allungare. Questo sia fatto solo con altra acqua già bollente. Se non hai un fornello libero, perché stai cucinando diversi tagli e hai occupati tutti i fuochi, la soluzione smart è tenere nel microonde un bricco d’acqua da portare a bollore, all’occorrenza, in pochi minuti.
2. Sottovalutare gli aromi
L’acqua, si diceva, non è semplice acqua, ma – di fatto – un leggero brodo vegetale in cui aggiungere sedano, carota e una cipolla bianca o dorata (non rossa, che tinge) steccata con qualche chiodo di garofano: io in genere ne uso tre che, infilati nella polpa della cipolla, evitano di disperdersi e, magari, insinuarsi tra le fibre di un pezzo di carne, e poi fra i denti di un commensale.
Un mazzetto di prezzemolo più una o due foglie di alloro aiutano a equilibrare il gusto inevitabilmente grasso delle carni. Qualche grano di pepe nero, leggermente pestato, aggiunge aroma e pungenza.
3. Salare (troppo)
E il sale? Io non lo metto per due motivi. Il primo è che la carne (e anche il sedano, a ben guardare) ha una sua sapidità naturale che in cottura si concentra.
Il secondo è che, nonostante le aggiunte, anche il liquido di cottura si concentra. Insomma: il rischio è di ottenere un tutto troppo salato.
Se proprio vuoi mettere una manciatina di sale grosso, uniscila solo negli ultimi 15-20 minuti di cottura (o al momento di riscaldare le carni, se hai fatto il bollito in anticipo).
Meglio ancora, servi la carne al naturale: in tavola ci saranno le salse di accompagnamento (vedi punto 10), quelle sì saporite. E anche una coppetta di sale grosso, o fleur de sel, da cui ognuno potrà prelevare qualche granello da aggiungere alla carne e sciogliere con un filo di brodo, anche questo a disposizione in un piccolo bricchetto o in una salsiera con un mestolino.
4. Gettare il brodo
Ora, ci hanno insegnato che per un buon brodo la carne si mette a freddo. Ciò non significa affatto che quello in cui ha cotto il bollito non sia buono, anzi!
Soprattutto, se lo hai trattato bene, schiumandolo spesso durante la cottura ed eliminando, così, le parti coagulate e il grasso in eccesso. Terminato di gustare il bollito, non ti resterà che filtrare una parte del brodo, regolare se occorre il sale e servire il pregiato liquido in tazza, come ottimo digestivo.
Oppure, conservarlo e usarlo per un risotto sopraffino o un bel piatto di tortellini o cappelletti.
Si devono gettare solo i brodi in cui hai cotto i salumi (cotechini e compagnia) e la testina, troppo grassi, oltre a quello della lingua, eccessivamente forte.
Perché lo sai, sì, che le carni… no, dai, te lo spiego al punto successivo!
5. Cuocere tutto insieme
Secondo la Confraternita, come ti racconto nel post citato all’inizio, il bollito deve contare sette tagli di manzo più sette “ammennicoli” tra frattaglie, cotechino e gallina.
Considera che nel pentolone principale puoi mescolare solo le parti di bovino e il pollame. Tutto il resto, per i motivi di cui sopra (quantità di grasso e/o sapore molto intenso), necessita di una marmitta singola. Per cavartela con tre, quattro pignatte puoi rivedere parzialmente la regola piemontese e limitarti a due o tre tagli fra manzo, vitello e pollame (pentola uno), una lingua (pentola due), un cotechino (pentola tre) ed eventualmente una testina (pentola quattro).
6. Limitare le varietà di carne
La quantità di pentole non ti inquieti! Se si chiama bollito misto, misto deve essere. Sebbene, come già detto, le 14 parti indicate dal disciplinare della confraternita possano essere ridotte, non dovresti scendere sotto le 6-7.
Secondo me, sono imprescindibili il biancostato, con la sua parte di osso e cartilagine, e il cappello da prete, con la sua vena di grasso, che donano entrambi rotondità al gusto complessivo del bollito. Un pezzo di noce, o altro taglio della coscia, farà felice chi non ha voglia di spiluccare tra ossi e cartilagini di cui sopra.
A Milano si usa lo scamone che è molto magro, ma si rimedia con una bella lardellatura: come dice il nome, filetti di lardo infilati nella carne tramite un apposito ago o, più semplicemente, all’interno di incisioni praticate con la punta di un coltello sottile.
Oltre alla classica gallina, non disdegnare altre varietà di pollame come il nobile cappone o persino l’umile pollo, magari ruspante.
La testina è ormai un taglio da intenditori, ma la lingua e un salume (oltre al cotechino, anche cappello del prete o zampone) non dovrebbero mai mancare.
7. Disinteressartene
Delle ricette a lunga cottura, si dice spesso che “vanno da sole”. Nel casso del bollito, non è del tutto vero.
Prima di tutto, occorre regolare la fiamma: se in principio deve essere media perché, aggiunta la carne, il brodo riprenda presto a bollire, poi deve essere ridotta al minimo e, se occorre, anche di più, per esempio utilizzando una retina spargifiamma. Il liquido deve solo fremere, altrimenti le carni si stracciano.
Ho accennato alla schiumatura: anch’essa è indispensabile, soprattutto all’inizio quando, sulla superficie del brodo, si formano isole unte e coagulate che è necessario eliminare. O, fatalmente, velerebbero le carni al momento di scolarle da un brodo fin troppo ricco di impurità.
Infine, se cuoci insieme diverse varietà, dovrai tenere d’occhio i tempi e procedere per aggiunte successive: partirai con i tagli di manzo più coriacei, che hanno bisogno di circa tre ore o tre ore e mezza di cottura. Proseguirai con il pollame (un paio d’ore per la gallina, poco meno per il cappone, circa un’ora per il pollo) e nel frattempo metterai su anche lingua e salumi.
Insomma, fare il bollito è un lavoro!
8. Avere fretta
Va da sé che la preparazione deve essere programmata. C’è chi ama fare il bollito un giorno per l’altro, lasciandolo riposare nella marmitta anche diverse ore prima di riprenderlo e scaldarlo.
Tecnica da adottare solo se hai una cucina veramente fresca (meglio ancora, d’inverno, un angolo riparato in balcone), per evitare una temperatura ambiente troppo alta che potrebbe far inacidire il brodo.
L’anticipo ideale è quello che fa venire pronto il bollito un paio d’ore prima di andare in tavola.
Riposando nel loro brodo, le carni avranno modo di rilasciare le fibre, intenerirsi e assorbire il liquido di cottura, che non si raffredderà eccessivamente e, poco prima di andare in tavola, potrà essere riscaldato velocemente.
9. Cuocere le verdure dall’inizio
Un conto sono gli ortaggi che usi per aromatizzare il brodo. Altro quelli che vuoi servire in tavola come contorno. La carota spappata che va da tre ore insieme alla punta di petto sarà anche saporita, ma inevitabilmente inzuppata e stracotta.
Se, quindi, vuoi – come sarebbe d’uopo – accompagnare il bollito con verdure lesse, hai due strade.
La prima: a un’ora da fine cottura, scola e getta le verdure iniziali e aggiungi qualche carota nuova, due o tre grosse patate pelate, un paio di rape bianche ben raschiate.
La seconda: preleva qualche mestolo di brodo dal pentolone delle carni, allungalo in una casseruola con acqua calda, regola di sale e lessa in questo liquido le verdure indicate, ma anche finocchi in quarti o cuori di verza a spicchi.
10. Lesinare sulle salse
Per quanto la cottura sia stata sapiente, ognuno dei tagli che presenterai in tavola avrà bisogno di una salsa: vuoi per la natura intimamente asciutta di alcuni (è spesso il caso del biancostato o della noce), vuoi per la spiccata grassezza di altri (vedi alla voce testina o cotechino).
Le salse hanno perciò compiti articolati: quello di insaporire, quello di ammorbidire, quello di equilibrare.
I “bagnetti” piemontesi, ovvero la salsa verde e quella rossa, hanno entrambi la punta di acidità necessaria a sgrassare.
Le salse a base di senape e rafano, con la loro piccantezza, sposano a meraviglia la dolcezza di fondo delle carni. Stesso meccanismo (equilibrio fra dolce e piccante) regola l’abbinamento con la pearà veronese preparata con midollo, brodo e tanto, tanto pepe.
Sempre seguendo la regola della Confraternita di non mescolarle tra loro. E se avanzano… scarpetta!
Infine: non è una salsa, ma la mostarda di Cremona è irrinunciabile accanto ai bolliti serviti fra Lombardia ed Emilia Romagna. Ai quali, con i suoi frutti lucidi e colorati, il ricco sciroppo zuccherino, le pungenti note senapate, riesce persino ad aggiungere un inaspettato twist croccante.