No, non è vero che la “sovranità alimentare” – così come la intende questo governo – è un concetto che la sinistra s’è fatta maldestramente scippare dalla destra. E non è neanche vero – come dice Carlin Petrini – che la sovranità alimentare è un obiettivo da perseguire. Almeno, non nei termini intesi da Giorgia Meloni e Francesco Lollobrigida, e su questo ci saremmo immaginati un po’ più di lungimiranza da un uomo intelligente e misurato come il fondatore di Slow Food. Ma sì, quando Giorgia Meloni ha deciso di essere creativa nel rinominare il Ministero dell’Agricoltura lo ha fatto rappresentando, ancora una volta, la maggioranza degli elettori. Quelli che alle farine di insetti contrappongono la pasta all’uovo della nonna, senza capire qual è il vero punto della questione. Quelli che danno alla carne sintetica un appellativo mostruoso, dimostrando di non comprendere molto né sul tema né sulla letteratura (Frenkestein era un mostro soltanto perché non capito) e dicono che “trovarsela nel piatto fa schifo”.
Se vi riconoscete in queste descrizioni, sappiate che in fondo siete anche voi dei sovranisti alimentari. Ma non abbiate paura: non siete soli. La verità è che alla fine la maggior parte degli Italiani vuole tenersi ben stretta la sua identità primordiale, il suo essere “pizza pasta e mandolino” agli occhi del mondo.
Inutile tentare di fare scelte diverse, insulso pensare di modificare ciò che è perfetto: che senso ha spendere soldi per mangiare porzioni ridicole in un ristorante di lusso e poi uscire con la fame e correre a cercare un kebab aperto? In fondo, mia nonna la cacio e pepe la faceva molto ma molto meglio. E poi, che avranno da parlare mai i Francesi, con i loro formaggi puzzolenti, mentre noi sì che abbiamo l’eccellenza, con le nostre mozzarelle di bufala e la varietà infinita di prodotti caseari. Per non parlare del pane, in ogni città c’è una forma diversa. E la pasta. E la pizza, che con l’acqua di Napoli viene tutta un’altra cosa. Ah già, Napoli: vogliamo parlare del caffè? Vorrete mica paragonarlo a quell’acqua di risciacquo dei piatti che si bevono in tutto il resto d’Europa.
Ecco, l’italiano sovranista alimentare è esattamente questa cosa qua, e vive, tronfio e spalleggiato da tanti suoi simili, proprio intorno a noi.
Quello che per molti è fastidio e in qualche modo simbolo di arretratezza culturale, per altri è orgoglio e tradizione. Come la mafia, verrebbe da dire, se non si rischiasse di mescolare il serio col faceto.
Eppure, la realtà è questa: difendere la sovranità alimentare, per molti Italiani, significa difendere il diritto alla pastasciutta al dente di mammà. Giorgia Meloni lo ha capito, e il nuovo nome del Ministero è esattamente il modo per intercettare l’orgoglio italiano per il cibo della tradizione. Di più, per il cibo di casa propria.
Lo dimostra l’affair che ha coinvolto in questi giorni Barilla, rea di aver aperto (più o meno seriamente) al dialogo in merito alla farina di insetti. Una questione inutile, sterile, relegata ai borbottii sui social. Che però poteva essere uno spunto per parlare seriamente dell’argomento, se anche il produttore nazionalpopolare di pasta per eccellenza mette sul piatto il tema: prima o poi bisognerà rendersi conto che siamo noi la minoranza del mondo, quando si tratta di mangiare gli insetti. E anche tenere presente che le risorse alimentari cosiddette “alternative” non sono un gioco, ma un lusso che non possiamo più evitare di permetterci, visto che stiamo sovrappopolando il mondo e svuotandolo delle sue materie prime.
Invece, i borbottii social sono stati tali e tanti da costringere Barilla a smentire, puntualizzare, rettificare: no, non stavamo per nulla lavorando alla pasta agli insetti, chiedevamo soltanto. Anzi, di più: scherzavamo. Sia mai che il sovranista alimentare medio si arrabbi.