Ci sono ingredienti da usare in piccole, piccolissime dosi. Nel mondo della mixology, uno dei più celebri è l’Angostura, irrinunciabile in tantissimi cocktail, a partire da classici come Old Fashioned e Manhattan. E, a sorpresa, può passare dal bar alla cucina ed essere aggiunta in ricette “mangerecce” con risultati più che apprezzabili.
Prima di inziare a cucinare con l’Angostura, però, ti racconto cos’è.
Che cos’è
L’Angostura è un amaro amarissimo, supera i 44° ed è racchiusa in una bottiglina mignon dall’etichetta extralarge. Il nome deriva dalla città venezuelana dove, nei primi dell’Ottocento, un medico tedesco elaborò questa miscela alcolica di erbe, agrumi e spezie per uso medicinale.
Fu forse un qualche sconosciuto inglese ad aggiungerne – chissà perché, ma gli inglesi son fatti così! – qualche goccia ai liquori, soprattutto gin e whisky. Decretandone il successo.
La storiella si conclude con l’etichetta, sovradimensionata rispetto al flacone, nata da un errore in tipografia ma subito amata dai consumatori per il tocco di originalità che dava al packaging, e quindi mai più cambiata.
Ancora oggi, l’Angostura si produce nei Caraibi con una formula in cui compaiono genziana, china, chiodi di garofano, arance amare insieme a una trentina e più (si dice) di ingredienti segreti.
Come usare l’Angostura
Immagino che, se apri l’armadietto dei liquori dei tuoi – o magari anche il tuo -, sul fondo puoi scovare l’iconica bottiglietta. E usarla per uno dei drink più celebri, o per dare un twist a qualche tua creazione personale.
Meno scontato, ma stimolante, l’uso in cucina. Il mix aromatico particolarissimo dell’Angostura, che non è solo amara, ma complessa e ricca di sfumature, ispira chef professionisti e cuochi amatoriali amanti del gusto bitter.
Un bell’esperimento, in quel di Treviso, sono i tortellini di Francesco Brutto all’Undicesima Vineria con tamarindo fermentato (dolce), doppia panna (grassa) e Angostura. Una ricetta che è un paradigma perfetto dei possibili abbinamenti.
L’Angostura secondo Alberto Gipponi
Sono tanti, si diceva, gli chef con la passione per il gusto amaro. Uno di loro, Alberto Gipponi del ristorante Dina di Gussago (BS), ha un ricordo preciso della prima volta che è stato “folgorato” dall’Angostura: “Il mio primo barista aggiungeva questa magia amara al Cubino: una bomba con una nota amaricante spintissima. Ero giovane e forse oggi nella mia percezione sarebbe molto meno amara, ma ricordo perfettamente la sensazione al palato come qualcosa di nuovo”.
Sull’onda dei ricordi, Gipponi cita la crema pasticcera “rinforzata” dall’Angostura di Ivan Gorlani, pizzaiolo (anche lui bresciano) con la passione per i dolci.
Gli abbinamenti
L’uso in pasticceria è il tipico esempio di abbinamento per contrasto. Se poi si aggiunge una componente grassa, ecco il match perfetto.
Qualche goccia di Angostura può essere perfetta per “tirare su” una crema al burro ma anche, passando alla cucina salata, per una salsa a base di panna con cui condire un’insalata anch’essa amara, per esempio di tarassaco. “L’amaro porta intensità, poi il grasso resetta tutto”, la spiegazione di Gipponi.
“Il gusto amaro è reso più accessibile non solo dal contrasto con il dolce, ma anche dal salato e dall’umami”, continua lo chef. Che si spinge a suggerire una marinata per la carne di maiale a base di colatura di alici e Angostura.
Del resto, lo stesso bitter è già costruito come una marinatura, con tanto di parte alcolica. Che si può conservare, usando l’Angostura in purezza a freddo, o far sfumare aggiungendola in cottura e lasciando evaporare l’alcol.
Tornando agli abbinamenti per affinità, e quindi per portare alle stelle le note amaricanti dell’Angostura e degli altri ingredienti scelti, perché non provare ad aggiungerla ai cibi affumicati?
Un babaganoush di melanzane “bruciate” sul barbecue, una crema di peperoni arrostiti o di pomodorini infornati, una salsa da abbinare al salmone affumicato, dove ritrovi anche dolcezza, grassezza e sapidità: sono solo esempi, ma il meccanismo è chiaro.
Quanta ne uso?
Per evitare di invadere la bocca e coprire tutti gli altri sapori presenti nel piatto, è fondamentale individuare la dose giusta. Sembra banale, ma non c’è come la sperimentazione per calibrare questo gusto al tuo personale.
“L’amaro è l’ultimo dei sapori che percepiamo”, ricorda lo chef. “D’istinto, tendiamo a respingerlo. Ma, via via che il palato ricerca nuovi stimoli, alla fine dà un piacere speciale”.
Poche gocce sono comunque già sufficienti per dare carattere a una salsa o al condimento di un’insalata. Un cucchiaio nell’impasto delle polpette le rende subito molto interessanti ed è la dose ideale per le marinate di gamberi e scampi, costine e arrosti, speciale per il rub del pulled pork cucinato sia sul BBQ che nella slow cooker.
Se, infine, vuoi osare, prova con la crema della crème caramel, dove l’amaro dell’Angostura farà l’amore con quello del caramello.