Agrumi: le 19 varietà da conoscere

Ibridi, incroci e chimere: sono gli agrumi, famiglia vastissima e complicata. Ecco 19 varietà da conoscere, dalle più comuni alle (letteralmente) più bizzarre.

Agrumi: le 19 varietà da conoscere

Finora a Dissapore l’abbiamo toccata piano, dapprima con le arance, poi i limoni e infine i mandarini. Parlare di agrumi però è tutta un’altra cosa: questa famiglia vastissima e altrettanto complicata è formata da innumerevoli ibridi e sotto-ibridi sparsi in tutto il globo, dall’Oceania fino ai giardini italiani specchiati sul mare. Cercare di fare chiarezza è un’impresa che scoraggerebbe anche Linneo (padre della classificazione tassonomica ndr), ma noi ci proviamo lo stesso. O almeno, vi raccontiamo 19 varietà da conoscere: dai tre agrumi capostipiti agli ibridi comuni come pompelmo, lime e chinotto, fino alle curiose specie australiane e alla bizzarria, una vera e propria “chimera” vegetale. Insomma, c’è da divertirsi (e parecchio da impazzire).

Gli agrumi sono piante di origine asiatica, in particolare delle zone subtropicali che si affacciano sull’oceano Indiano. Comprendono alberi e arbusti del genere Citrus appartenenti alla famiglia delle Rutaceae, caratterizzati da foglie sempreverdi e fiori odorosi. Il frutto è un esperidio, ovvero un tipo di bacca costituita da polpa (endocarpo) acida e succosa divisa in spicchi, albedo (mesocarpo) amaro e spugnoso, e buccia (pericarpo) resistente e ricca di olii essenziali. Tutti gli agrumi sono accomunati da alto contenuto di terpeni aromatici, flavonoidi, potassio, acido citrico e ascorbico – l’essenziale vitamina C. Inoltre, soprattutto grazie alla tecnica dell’innesto, sono estremamente (anche troppo) facili da ibridare.

In principio furono tre, le cosiddette “specie ancestrali” da Cina, India e sudest asiatico, rispettivamente mandarino, cedro e pomelo. Da cui tutti gli altri, che possiamo provare a dividere in 8 gruppi a seconda dei “genitori” (che sono sempre almeno due e spesso si ripetono) e della provenienza:

  1. Citrus x reticulataibridi derivati dal mandarino, comprendono clementine, arancia amara, bergamotto, chinotto, pompelmo;
  2. Citrus x maximaibridi derivati dal pomelo, comprendono mapo, pompelmo, arancia dolce;
  3. Citrus x medicaibridi derivati dal cedro, comprendono limone, mano di Buddha, limetta, pompìa;
  4. Citrus x fortunellaibridi derivati dal kumquat, comprendono calamansi, limequat, orangequat;
  5. Papedassottospecie asiatica caratterizzata da crescita lenta e minor palabilità, comprende kaffir lime e yuzu;
  6. Poncirus: genere dell’arancio trifogliato (eventuali ibridi sono denominati citrange) estremamente amaro e utilizzato soprattutto in cosmetica e farmacia;
  7. Microcitrus: specie rare e mini-size distribuite in Australia e Nuova Guinea, comprendono finger lime, desert lime, outback lime;
  8. Citrus giapponesi: gruppo eterogeneo di ibridi nativi del Giappone, comprende amanatsu, dekopon, iyokan, hassaku, arancia koji.

Vi avevamo avvertito, un albero genealogico così assurdo non si vedeva dai tempi di Beautiful (!). Meglio occuparsi di alberi veri, carichi di frutti succosi da sbucciare e spremere: ecco le 19 varietà di agrumi da conoscere.

Mandarini

varietà di mandarini

Quando si parla di agrumi vi è un’unica certezza: partire da dove tutto è cominciato. Facciamo un salto sui monti Nanling nel sud della Cina allora. Qui fu addomesticato per la prima volta il mandarino (Citrus reticulata), uno dei tre patriarchi che ha dato origine al resto del clan. Della sua stirpe abbiamo esempi vicini e lontani: tutti conoscete tangerini e clementine, peraltro a marchio Igp in Calabria e sul Golfo di Taranto, ma che ne dite di  iyokan, dekopon e komikan? Potrebbero benissimo essere nuovi Pokémon, invece parliamo sempre di mandarini, stavolta in salsa giapponese.

Il frutto si distingue per le piccole dimensioni, la buccia sottile e particolarmente facile da staccare, l’alto contenuto in olii essenziali. D’altronde ci si accorge subito se qualcuno ha mangiato mandarini, anche a distanza di spazio e tempo: se ne gradite l’aroma inconfondibile, ecco alcuni consigli per riciclare la scorza dalla cucina alla cura della casa.

Pomeli

pomelo

Il secondo patriarca non potrebbe essere più diverso dal primo e lo chiarisce subito, a partire dal nome. Il pomelo è Citrus maxima, l’agrume più grande di tutti che può raggiungere i 30 cm di diametro e i 2 kg di peso. Comparso per la prima volta nel sudest asiatico, il suo contributo principale al clan agrumi è il pompelmo che, oltre al nominativo (almeno in italiano), gli somiglia in aspetto e sapore.

Il frutto è caratterizzato da buccia liscia e pallida, albedo molto spesso e polpa divisa in 11-18 spicchi di sapore amaro, tendente al dolce con la maturazione. La scorza viene consumata candita o usata come zest per cocktail fatti in casa, mentre polpa e succo sono ingredienti ricorrenti in insalate, piatti a base di pesce marinato e centrifughe.

Cedri

cedro

Il terzo patriarca è il più confuso di tutti, specialmente a livello fonetico. Il cedro (Citrus medica) a quanto pare dà un sacco da pensare a traduttori e interpreti: per noi italiani è sinonimo dell’albero tipico libanese; l’inglese citron è un “false-friend” (parola la cui forma scritta significa qualcosa di completamente diverso dall’idioma di provenienza) dal francese, in cui però indica il limone; nelle lingue farsi significa letteralmente “arancia dolce” con l’unico scopo di distinguerlo da quella amara. Possiamo risolvere il qui pro quo internazionale con una citazione colta (insieme a quelle da Levitico e Plinio il Vecchio) del filosofo greco Teofrasto, che definì il cedro “mela persiana”. Peccato che il cedro sia originario dell’India, ma a questo punto al diavolo storia, geografia e linguistica e saltiamo direttamente alla botanica che è meglio.

Il cedro ha forma ovale, buccia gialla liscia o rugosa e albedo molto abbondante, talmente spesso che a volte la polpa risulta non pervenuta, come nel caso del cedro yemenita o del mano di Buddha diviso in lunghe estremità (tranquilli, ci torneremo). Se presente, può essere acida e poco succosa, buona al massimo per farne marmellata come accade alle varietà fiorentina, greca e israeliana; o più dolce, come negli esemplari corsi e marocchini. La scorza è ricchissima di olii essenziali e usata, a seconda della cultura di riferimento, come farmaco, cosmetico e feticcio religioso. Il cedro (etrog in ebraico) è infatti uno dei quattro simboli vegetali legati al Sukkot o Festa dei Tabernacoli, uno degli eventi più importanti del calendario ebraico. Fun fact: a Santa Maria del Cedro (Cosenza) non è raro imbattersi in gruppi di rabbini che si aggirano tra i frutteti intenti a scegliere l’esemplare perfetto di Diamante, varietà dalla buccia liscia considerata perfetta per il rituale.

Arance

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Dal felice incontro tra pomelo e mandarino nasce l’arancia, in versione dolce (Citrus sinensis) e amara (Citrus aurantium). Felice e fortunato: l’arancia è infatti l’agrume più diffuso al mondo con varietà per quasi tutte le consonanti dell’alfabeto (abbiamo controllato: mancano solo Y e Z più, curiosamente, tutte le vocali) ed eccellenze che ci riguardano da vicino, in primis le rosse siciliane caratterizzate dalla presenza massiccia di antocianine antiossidanti. Dell’arancia non si butta via niente: dai fiori cui si ricava l’olio essenziale a Presidio Slow Food, alla buccia per aromatizzare grappa e cocktail, al succo per marinare il tacchino, alla polpa da spiluccare o come guarnizione della torta rovesciata. Persino i semi che, nel caso della varietà amara Sevilla, sono inclusi nella marmalade, termine che in inglese viene distinto da jam e jelly e designa esclusivamente la marmellata di arance.

Limoni

limoni

Un altro fortunato per uso, diffusione e versatilità lo conosciamo molto bene. Il limone (Citrus limon) sembra essere un antico ibrido di cedro e arancia amara comparso per la prima volta in India settentrionale. Oggi però lo colleghiamo subito ai bellissimi paesaggi da cartolina di Campania, Sicilia, Calabria e Puglia, perdipiù tutti a marchio Igp. Caratterizzato da colore giallo e spiccata acidità, il limone è il sous chef più affidabile dall’antipasto al dopocena: non solo per il gusto capace di esaltare qualsiasi cosa dal risotto alla ciambella, ma anche per le sue proprietà antiossidanti e anticoagulanti che ad esempio preservano la frutta tagliata e non fanno impazzire la maionese. E infine, per non farci mancare niente, un bicchierino di limoncello rigorosamente con il Sorrento Igp dalla buccia spessa e ricca di olii essenziali.

Pompelmi

pompelmo

Il pompelmo (Citrus x paradisi) è il “pomelo junior” della situazione, ingentilito dall’incrocio con l’arancia dolce. Si difende con dimensioni di tutto rispetto (tra i 10 e i 15 cm di diametro) e all’interno presenta diversi gradi di colore e dolcezza della polpa, mantenendo tuttavia un costante retrogusto amaro. La regola generale è: più è rosso, più è dolce. Se non siete fan di note astringenti e acidule, virate sulle varietà americane come Ruby Red e Star Ruby che utilizzano la tecnica dell’irraggiamento per aumentare la pigmentazione. Altrimenti sentitevi liberi di esplorare le tonalità pastello del giallo e del rosa, così come tutti i modi per usarlo in cucina. Attenzione a non abusarne: a causa dei composti organici furanocumarine, il pompelmo rischia di interagire con i farmaci inibendone il metabolismo.

Lime

lime

Chi di noi non ne ha morso intensamente una fettina dopo lo shot di tequila e sale? È fin troppo facile associare il lime (Citrus x latifolia) al distillato d’agave made in Messico, nazione che peraltro ne detiene il record di produzione (di entrambi, frutto e spirito). L’origine di questo ibrido tra limone e key lime è tuttavia l’antica Persia – da cui il nome inglese Persian lime – corrispondente agli odierni Iran e Iraq. Il lime, caratterizzato da buccia verde, assenza di semi e acidità meno spiccata rispetto ad altre varietà, è un ingrediente chiave della cucina persiana: viene utilizzato in forma essiccata come spezia per tè, zuppe e stufati. Per la cronaca comunque, oltre ai cocktail, esiste un universo di ricette con lime da provare soprattutto in versione tex-mex, dai tacos al guacamole.

Sempre per la cronaca, ricordiamo che con il nome generico lime si indicano una miriade di piante distribuite in tutto il globo e spesso incrociate con il Citrus hystrix var. michranta, specie selvatica e amara del genere asiatico Papeda. Alcune di queste le vedremo tra poco, come kaffir lime, calamansi e finger lime.

Bergamotti

bergamotto

Andare a caccia di agrumi in giro per il mondo può essere sfiancante: fermiamoci in Italia dove ci attende un frutto davvero speciale. Il bergamotto (Citrus x bergamia) è un ibrido tra limone e arancia amara che ha trovato la sua terra di elezione sulle coste ioniche della provincia di Reggio Calabria con le cultivar femminello, castagnaro e fantastico. Il frutto, dalla forma leggermente a pera con buccia liscia e sottile, è estremamente amaro e dunque consumato soltanto previa trasformazione. I suoi usi tuttavia sono disparati, a partire dall’olio essenziale Dop senza il quale acqua di colonia e eau de toilette non avrebbero senso di esistere. Questo ingrediente infatti non è solo in grado di fissare i profumi, ma anche di armonizzarli tra loro: insomma, senza il bergamotto puzzeremmo un po’ di più.

A seconda del suo grado di maturazione, possiamo individuare tre categorie di destinazione: frutto maturo di colore giallo per olio Dop e aroma alimentare, ad esempio in dolci e tè Earl Grey; frutto immaturo verde per canditi e olio essenziale da profumeria; frutto verde cinerino per liquori (uno su tutti: il Bergamino reggino PAT) ed estrazione di fragranze. E ancora succhi, bevande gassate, caramelle, digestivi, tabacco da pipa e aromaterapia per gustare il bergamotto prima di tutto con il naso.

Chinotti

chinotto

Alla voce “chinotto” ci viene in mente il repertorio di bevande gassate vintage, non possiamo farci niente. Se però è vero che per fare un tavolo ci vuole un fiore, per fare un soft drink ci vuole un frutto, ed eccolo qua. Il chinotto (Citrus myrtifolia) è una varietà di arancio amaro coltivata (quasi) esclusivamente sulla riviera ligure di Ponente in provincia di Savona, dove peraltro è Presidio Slow Food. La pianta del chinotto ha un animo particolarmente gentile: si tratta infatti dell’unico agrume completamente privo di spine. I frutti sono piccoli e arancioni leggermente schiacciati ai poli, e hanno sapore molto acido e amaro. Non si mangia, ma si trasforma: in bevanda, canditi, sciroppo, liquore.

Mapi e lipi

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Mapo e lipo, ovvero le crasi succose del clan agrumi che si fondono in senso lessicale e anche botanico. Mapo (Citrus x tangelo) deriva da mandarino e pomelo, mentre lipo (Citrus limon x Citrus paradisi) è un misto tra limone e pompelmo. Tra i due il mapo è decisamente più diffuso: in inglese è conosciuto anche come honeybell per la sua forma a campana con pronunciato “ombelico” sulla sommità. Ha polpa dolce e succosa e numerose sotto-varietà: Orlando, Minneola, Sunrise, Seminole, Thornton. La più interessante è il Jamaican tangelo o ugli, nome che fa poco onore ma esprime la nuda e cruda verità di frutto brutto (ma brutto davvero: rugoso, verdastro e molle) che fortunatamente recupera alla grande in sapore.

Kumquat e limequat

kumquat

Se siete di quelli che “una ciliegia tira l’altra”, aspettate di posare gli occhi sul kumquat. Dimensioni di un’oliva, sapore piacevolmente acidulo, buccia edibile: i kumquat (plurale per forza, non sarà mai uno soltanto) si mangiano interi e vanno giù come le caramelle. Questo curioso esemplare di Citrus japonica fa un po’ categoria a sé, e infatti i suoi incroci sono denominati Citrus x fortunella. Fra questi ricordiamo Meiwa, Hong Kong, Jiangsu, Malayan, tutti distribuiti fra Cina e Giappone. Un posto d’onore spetta però al limequat (Citrus x floridana), incrocio “occidentale” – tutte le cultivar prendono il nome da città della Florida – tra kumquat e key lime con sapore più acido.

Yuzu

yuzu

Tanti cibi giapponesi – specialmente aceto e salsa ponzu – non avrebbero lo stesso sapore senza lo yuzu. Questo esemplare di Citrus junos è un ibrido tra mandarino e limone di Ichang, specie selvatica del genere Papeda diffusa nella provincia cinese di Hubei. Ultimamente adoratissimo anche dagli chef nostrani, assomiglia a un piccolo pompelmo, con forma sferica leggermente schiacciata e buccia verde o gialla molto aromatica. Scorza e succo sono alla base di molti piatti tipici dell’estremo Oriente: dalle bevande coreane a base di tè e frutta come yuja-cha e yuja-hwachae, al condimento giapponese yuzukoshu con peperoncino, sale e zest di yuzu grattugiato. Troppo difficile? Provatelo in versione fredda e dolce nel sorbetto, o salata e umami nella zuppa di miso per il ramen.

Kaffir lime

kaffir-lime

Il kaffir lime o combava (Citrus hystrix) è apprezzato tanto per il frutto, quanto per le foglie. E le spine, visto che il nome latino “istrice” la dice lunga. Un ibrido non del tutto certificato tra cedro e limetta, il kaffir lime è un arbusto spinoso e folto con frutti verdi a forma di fico. Il gusto estremamente aspro non ne permette il consumo da fresco: poco male perché, soprattutto nel sudest asiatico dove è largamente diffuso, è protagonista in cucina con l’aroma di foglie e scorza. Va d’accordissimo con il latte di cocco e con zuppe e stufati, come la tom yum thailandese a base di gamberi e la soto ayam indonesiana con pollo e pesce.

Calamansi

calamansi

Nessun piatto filippino è completo senza una spruzzata di calamansi: dal sinigang, zuppa di pesce dal sapore aspro, al kinilaw, pesce marinato, alla salsa sawsawam per inzuppare involtini e spiedini di tutti i tipi. Così piccolo eppure così essenziale, il calamansi (Citrus x microcarpa) è un ibrido di kumquat e mandarino da cui ha preso rispettivamente dimensioni e colore della polpa. Il frutto è una sfera piccina picciò di colore verde scuro che contrasta con l’arancione intenso dell’interno agro e succoso. Date una bella occhiata a qualche mercato etnico: potreste trovare un tesoro di sapori racchiuso in una biglia, ottimo per aromatizzare i vostri prossimi noodles.

Mano di Buddha

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Lo abbiamo nominato poco fa, ma non potevamo non dedicargli una sezione tutta per sé. Il cedro mano di Buddha (Citrus medica var. sarcodactylis) non avrà polpa, ma in compenso ha parecchie dita: a causa di una mutazione genetica infatti, il frutto si sviluppa con diverse ramificazioni che ricordano la forma di una mano, più o meno aperta o chiusa a seconda delle varietà. Il nome in omaggio al Buddha è tradotto in tutte le lingue dell’estremo Oriente, e il frutto stesso viene considerato un’apprezzata offerta ai tempietti votivi. I suoi usi sono soprattutto cosmetici e medicinali, mentre sono limitatissimi quelli culinari a causa dell’assenza di polpa e succo.

Pompìa

pompia

La pompìa (Citrus medica tuberosa) è una varietà di cedro più unica che rara. Cresce soltanto in Sardegna e, nonostante sia praticamente immangiabile a causa del sapore eccessivamente acido, si può dire che sia rimasta in vita grazie al suo (unico) uso culinario. Sa pompìa intrea è infatti il dolce tipico di Siniscola, comune della Baronia dove questo agrume cresce spontaneo: il frutto viene accuratamente svuotato di polpa e scorza cercando di mantenere integra la parte bianca sottostante, dopodiché viene lessato, immerso nel miele e fatto sobbollire per almeno tre ore. Una volta raffreddato completamente, può essere riempito di mandorle tritate (in questo caso si chiama sa pompìa prena): in tutto il processo prende circa sei ore, giusto il tempo di catapultarsi in Sardegna per assaggiare questo fenomenale Presidio Slow Food.

Finger lime

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La famiglia dei lime australiani è più pazza che mai. Appartenenti al genere Microcitrus per evidenti questioni di dimensione, ne troviamo di tutti i tipi: round lime, desert lime, Mount White lime, Russell River lime. Cioè, “troviamo” è una parola grossa, visto individuarli non è così semplice. Specialmente se, come nel caso del curioso finger lime (Citrus australasica), la domanda schizza alle stelle. Il motivo? La sua polpa a “sfere” o perle, una sorta di vescicole acide e scoppiettanti che fanno figo su qualsiasi piatto di ristorante stellato. Niente diavolerie di cucina molecolare, nessuna crudeltà sugli storioni e tanta vitamina C: chi non vorrebbe un caviale (vegetale) così?

Aranci trifogliati

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“Io ballo da solo”, deve essersi detto l’arancio trifogliato (Poncirus trifoliata), unico rappresentante della sua specie originario di Cina e Corea. Può star felice però grazie all’alto contenuto di auraptene, sostanza organica delle cumarine che lo immunizza al citrus tristeza virus, patologia che provoca letteralmente la “tristezza degli agrumi”. Non rischia nemmeno di essere mangiato, visto il suo forte sapore amaro: è usato perlopiù come pianta ornamentale e nella medicina tradizionale cinese.

Bizzarrie

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Chiudiamo questa caotica rassegna degli agrumi con l’esemplare più bizzarro di tutti. Ma dove sarà questo strano ibrido, che di nome fa bizzarria e sembra un Frankenstein fruttifero in cui due esemplari sono attaccati (male) insieme? Come dite, Cina, Barbados, Papua Nuova Guinea? Macché, siamo nei giardini di Villa di Castello a Firenze, di poco spostati rispetto al suo luogo di nascita, nel 1664, presso i terreni dei marchesi Panciatichi. Il nome gli venne conferito dall’allora direttore dell’Orto Botanico di Pisa Pietro Nati: una chimera vegetale che presenta le caratteristiche di due piante (arancio amaro e limone cedrato) contemporaneamente. E così una volta capita un’arancia, una volta un limone, una volta tutti e due ma in modo irregolare, strano, insomma: bizzarria!