Se consideriamo la comunicazione come un sistema complesso, lo è specialmente quella del e sul cibo che, soprattutto negli ultimi anni, ha preso una posizione centrale nelle vite di tutti. Oggi il “food” è cultura, immagine e status. Lo è per tutti: per i giornalisti, che si trovano subissati di informazioni troppo spesso retoriche, ridondanti, inconsistenti, quando non addirittura mendaci; e lo è per i consumatori, che subiscono lo stesso bombardamento senza però, ahimè, avere gli strumenti per filtrare le informazioni.
Eppure sembra semplice: lo fanno tutti. Basta qualche immagine, la foto-ricetta giusta nel posto giusto o il reel che, come di consueto, ci racconta l’opulenza e l’estetica dell’ultimo frutto esotico che compare su una carne cruda: là dove le abusate “innovazione e tradizione” si incontrano. Sembra facile ma non lo è. Anzi, è difficile pure per chi il cibo lo produce o il cibo lo racconta: gli imprenditori da un lato e le agenzie di comunicazione dall’altro. I primi che, spesso, non sanno a chi rivolgersi, o cosa vogliono e che cosa possono ottenere dalla comunicazione o nemmeno quali strumenti utilizzare. I secondi che si barcamenano per conquistare la fiducia dei clienti, dei giornalisti e dei consumatori facendo un lavoro il più possibile creativo, intelligente, efficace per soddisfare ogni esigenza.
Come si può, quindi, scegliere l’agenzia giusta? Probabilmente esiste una regola non scritta, che ora scriveremo noi e che racchiude il segreto di un buon rapporto professionale: la migliore agenzia è quella con cui si riesce a siglare un patto di affinità elettive, come succede tra anime gemelle. Oltre a questa, ci sono alcune buone pratiche che rendono un’agenzia una buona agenzia e che aiutano a costruire una comunicazione del cibo efficace. Eccone cinque da seguire con attenzione, perché spesso le agenzie non lo fanno ed è un peccato.
A suggerircele è Agricola Multimedia, piccola agenzia di comunicazione in Alta Langa. Tra i loro clienti, aziende e cantine che sono rappresentazioni di filiere o denominazioni.Luciano Sandrone come Giovanni Rosso tra i barolisti, Mulino Sobrino se si pensa all’arte molitoria, Casa di Langa con Fàula per il settore dell’hospitality, Vignola se si parla della filiera del riso e così a seguire. Il loro punto di forza è l’empatia, la comprensione e la connessione negli intenti, che inevitabilmente porta alla creazione di contenuti, video, immagini e post migliori. Autentici e, anche per questo, originali, oltreché di brillante qualità.
Comunicazione personalizzata
Una comunicazione sartoriale, profilata sul cliente, è sempre la scelta migliore. Per questo, e non solo, la partecipazione dell’imprenditore alla creazione del progetto di comunicazione è fondamentale per la sua buona riuscita. L’imprenditore è la bussola, non tanto perché gli si chiede di essere in prima linea – anche se ad alcuni riesce benissimo – ma perché a tutti gli effetti è il patrimonio genetico della marca, il cuore dell’impresa e il più profondo conoscitore di ogni elemento chiave dell’attività. È a lui, dunque, che si richiede – in un buon lavoro di comunicazione – di essere interprete e garante di un articolato asset valoriale.
Empatia con il cliente, anche nella scelta dell’agenzia migliore
Il mondo della comunicazione vive di emozioni (non è così per qualsiasi dimensione, dopotutto?): funziona così per il cliente che va, metaforicamente, mosso verso la marca attraverso catalizzatori emotivi; ma funziona così anche nel rapporto tra agenzia e imprenditore. Non è facile individuare il professionista ideale per le proprie esigenze, anche perché spesso non si conoscono fino in fondo le dinamiche della comunicazione: certo, si possono osservare competenze o il portfolio clienti (sono ottimi parametri di valutazione) ma, esattamente come accade per il cliente che rimane colpito da una comunicazione efficace, bisognerebbe sentirsi conquistati. Non solo nella testa, ma anche nel cuore. La comunicazione, in fondo, è tutta una questione di empatia.
Strategia e concretezza nei risultati
La comunicazione non è vendere, almeno non sempre. A cosa mi servirà un buon progetto di comunicazione? A far crescere il mio marchio, certamente. Ma i risultati diretti di questo obiettivo sono misurabili in mille modi diversi, a seconda della realtà che si ha di fronte. Per questo è importante chiarirli fin da subito, spiegando all’imprenditore che non sempre il rapporto di causa-effetto tra la comunicazione fatta e l’aumento delle vendite è immediato e perfetto. La concretezza, in questo senso, serve a tutti: al professionista – che deve avere l’onestà di spiegare quali sono le priorità e le scelte di un piano di comunicazione personalizzato – e all’imprenditore, che avrà un’idea più chiara degli obiettivi e dei risultati raggiungibili, nonché al consumatore finale, che si troverà di fronte una comunicazione più chiara, riconoscibile e diretta.
Originalità e visione
Basta con la solita retorica! Il mondo della comunicazione del cibo ne è inutilmente pregno. Gli stessi concetti ripetuti allo sfinimento, le stesse identiche frasi descrittive, le idee spremute fino all’osso perché ritenute in qualche modo efficaci. È vedere il futuro anziché guardarsi intorno e, quando possibile, anticiparlo.
Verità significa autorevolezza
In ogni progetto, l’obiettivo primario è acquisire autorevolezza nei confronti del consumatore finale. Il metodo migliore e più efficace – anche se non il più semplice – per ottenere questo risultato si chiama verità. È con la trasparenza che si conquista credibilità. Questo, ancora una volta, vale sia per l’imprenditore sia per l’agenzia: la comunicazione non può essere la promessa di un mondo dorato, se quel mondo dorato non esiste.