Siamo giunti a quel momento li, quello dei buoni propositi per il 2023. Ho stilato una lista personale, e una che condivido qui sperando che sia presa sul serio dai diretti interessati: le manie che non voglio più vedere tra i foodblogger. Parlo di manie – in molti casi si parla di vere e proprie fissazioni, a volte fastidiosissime – ma dovrei scrivere anche vizi (eticamente scorretti).
Potrei evitare di specificarlo, ma ovviamente mi riferisco a tutti e a nessuno. I Social network per me sono – soprattutto da qualche anno – l’equivalente della Palude della Tristezza in cui però al posto di Artax annegano la creatività, l’impegno e la dignità personale. Contemporaneamente, per lavoro vivo il resto del web da vicino e percepisco (e subisco) dinamiche al degenero anche qui. Insomma, a mio modesto parere c’è ampissimo margine di miglioramento.
L’#foodporn
Ve li taglio quei polpastrelli intenti a digitare l’hashtag più insopportabile di tutti i tempi, il #foodporn. Lo giuro. Per qualche motivo ha funzionato per un paio d’anni attirando l’attenzione nelle ricerche su Instagram, e c’è da dire che era espressione associata a cibi peccaminosi per davvero. Ora si vede solamente lo strascico disperato di quell’ondata, soprattutto quando si vede #foodporn anche sotto l’immagine di un’orata al forno.
La leggerezza sulle adv
Questione annosa, quella delle “marchette” dei foodblogger. Ora esiste una legislazione in merito, ovvero l’obbligo di dichiarare una partnership sponsorizzata tramite tale dicitura oppure “advertising” (abbreviato “adv”). Peccato che in moltissimi ignorino la cosa, soprattutto su tik tok: i giovani o giovanissimi ottengono in un batter d’occhio un’incredibile visibilità e non sanno gestirla, né conoscono le regole etiche relative alle pubblicità su web. I foodblogger navigati, comunque, sono ben peggiori: troppi, ancora, quelli che nascondono un timidissimo #adv in mezzo ad altri 30 hashtag, e che dopo filippiche intime ed emotive d’amore e sentimenti piazzano li il prodotto come se nulla fosse. Legalmente ineccepibili, ma moralmente disgustosi.
Vendersi al migliore offerente
A proposito di advertising, ormai in molti casi non c’è più vergogna. Tratti di cibo? Bene. Vuoi essere associato al cibo? Bene. Riesci bene nel comunicare le tue ricette? Bene. Allora perché diamine mi propini una sponsorizzata sugli occhiali da vista? E non mi si dica che è perché i foodblogger sono imprenditori e debbono vedere meglio gli schermi del pc mentre montano video e scrivono copy.
Contraddirsi
Una cosa che mi fa salire la carogna è la sponsorizzata che contraddice completamente la comunicazione di anni e anni. Un esempio? Anni a scassare le anime su come sia banale fare il pesto in casa o i ravioli ripieni, e poi – toh – pubblicare contenuti col pesto in barattolo e i ravioli del Rana nazionale. Oppure, insistere su stagioni e ambiente ma pubblicare, per le Feste di dicembre, la cheesecake con le fragole dell’Aziendataldeitali. Cose così.
Arrampicarsi sugli specchi
Le mie sponsorizzate preferite sono quelle dei foodblogger che si arrampicano sugli specchi, pur di rendere la pubblicità attinente al proprio contesto. Weekend sponsorizzato alle terme… ma focalizzandosi sull’inutile amuse bouche d’accoglienza perché è l’unico elemento legato al cibo. Outfit super trendy… perché i foodblogger devono essere comodi mentre scattano le foto ai piatti. Linee di gioielli… perché il ciondolo è a forma di briochina o forchettina. Orologi con biscottini sullo sfondo sfocati perché “wow è l’ora della merenda“.
Dar precedenza a impiattamento e foto
Conosco benissimo l’importanza di una foto scattata a regola, l’importanza dei colori, della presentazione: mai messi in dubbio questi ruoli, a meno che non siano protagonisti solisti dell’insieme. Mi spiego meglio, perché questo punto è legato ad un ampio concetto: il fatto che il web e la tv consentano solo di guardare e non di assaggiare, cosa che ha palesemente preso il sopravvento su tutto quanto. La scelta delle ricette è spesso determinata dall’effetto estetico che si vuole ottenere, non dalla ricetta in sé e dagli ingredienti: un bel grazie anche all’industria degli stampi in silicone, che fanno sentire pasticceri anche quelli che – nello stampo – ci mettono ricotta e basta, ma sformano un capolavoro stupendo.
Le ricette scritte malissimo
Una foto meravigliosa ad una pietanza non non giustifica né compensa mai – ma proprio mai – la ricetta scritta con i piedi. Non tutti i foodblogger si ricordano che c’è ancora gente che si fida dei suggerimenti elargiti, e che le ricette propinate le prova per davvero. C’è chi non si lascia conquistare da una foto ma, di quella pietanza ritratta, vuol sapere tutto nel dettaglio. Mi auguro un maggiore rispetto per l’utente, insomma: perché c’è un investimento di soldi e tempo per acquistare gli ingredienti dichiarati, e cucinarli. Invece si ha il vizio di scrivere male, spiegare in modo approssimativo, fare errori grossolani.
Curare il feed ma abbandonare il sito web
Un’altra grave cosa che sta accadendo è l’abbandono dei siti web a favore del feed Instagram o Tik tok. Parlo di pagine web simili a cloache piene di bug, 404 e aggiornamenti risalenti al 2005, di funzioni non funzionanti, di cookies non aggiornati, di privacy assente, disarmonia nel menu di navigazione. L’algoritmo dei social è effimero, il sito web no e deve essere trattato come la colonna portante di un progetto.
Prendersi meriti senza dare i giusti crediti
Sarcasmo e opinioni personali a parte, la cosa di “fregare” le idee attingendo dal web e spacciandole per proprie deve finire immediatamente. Anche tacere sulla fonte di ispirazione o rispondere “grazie!” a chi ti scrive “geniale!” equivale a prendersi meriti non appartenuti. Quindi, equivale a mentire. Non è un disonore taggare la fonte o dichiarare che il contenuto pubblicato è frutto di ispirazione dal tal sito, dal tal magazine, dal tale soggetto. Quindi, meno “grazie” e più “grazie, anche se l’idea non è mia“, per il 2023.