Non ci si può fare niente: anche in cucina la reputazione precede, ahimè, il gusto. Oggi vogliamo parlarvi dell’Inghilterra, il cui patrimonio gastronomico e culinario è diventato suo malgrado lo stereotipo internazionale del “poco invitante”. In effetti a prima vista è difficile farsi venire l’acquolina in bocca con i piatti tipici inglesi (lo avevamo già visto con Londra, ricordate?), ed è più facile che l’unico effetto “positivo” sia quello di riportare alla mente l’atmosfera festosa e affollata da pub che ultimamente ci manca più che mai.
Eppure, nonostante la vocazione prepotentemente carno-centrica delle ricette, il cromatismo spesso monotono e la convivenza forzata di tanti ingredienti sullo stesso piatto, non ce la sentiamo di condannare a priori questa cucina. Anzi, pensiamo che con qualche informazione in più magari vi verrà voglia di prenotare il primo volo (Brexit e Covid permettendo) per provare i piatti tipici locali.
Ecco la cucina dell’Inghilterra da provare, secondo noi.
1. Full English breakfast
Ogni cultura ha la sua colazione dei campioni. In Inghilterra la full English breakfast sbaraglia tutti i concorrenti per stazza e prepotenza. Il piatto unico mattutino è una combo micidiale di bacon, uova strapazzate, funghi e pomodori fritti, fagioli e salsicce (tra cui spicca nero e minaccioso il black pudding, il famigerato sanguinaccio che viene dal nord). Questa banda di individui poco raccomandabili è dotata di un’arma micidiale: una preparazione che prevede la frittura della maggior parte degli ingredienti conquistandosi il titolo di fry-up, l’espressione colloquiale con cui gli inglesi indicano questa bomba di colesterolo.
Occorre aprire una piccola parentesi sul significato duale della full English breakfast che, se oggi indica il piatto unico, un tempo si riferiva addirittura a un intero pasto. Nell’Inghilterra del Diciannovesimo secolo infatti esso comprendeva anche aringhe, insalata di pesce affumicato e uova, selvaggina volatile e interiora di agnello speziate (reni soprattutto). Vi è andata bene, dai. Il moderno fry-up rimane una delle icone locali più amate, soprattutto dai turisti. Non siate sospettosi se siete gli unici a ordinarla: ogni inglese l’ha provata almeno una volta nella vita, solo che si è fermato a quella.
2. Bangers and mash
È stata una dura giornata al lavoro? Siete tornati a casa stanchissimi e senza voglia di mettervi a cucinare pasti elaborati? Giù le mani da quella pizza surgelata! Il bangers and mash è il comfort food che fa per voi: veloce, nutriente, facile da preparare. Ok, magari la pubblicità progresso qui un po’ stona ma in Inghilterra funziona benissimo, tanto che questo piatto è in cima alla classifica delle preferenze per questa categoria. Si parla ovviamente della categoria “cibi da pub”, quelli che servono a buttare giù due o tre pints con gli amici in un piovoso pomeriggio autunnale.
Il bangers and mash semplicemente è costituito da salsicce e purè di patate, accostamento che lì per lì può non impressionare per elaborazione ed estetica del piatto. Nell’atmosfera giusta però (magari il pub di prima) diventa molto più appetitoso: ricordatevi solo che che da queste parti si mangia presto (e la prima volta che ve ne accorgerete sarà già tutto chiuso, garantito). Il nome “bangers” risale alla Prima Guerra mondiale ed è curiosamente un’onomatopeica: il bang! è riferito al rumore delle salsicce che tendevano a esplodere in cottura. Colpa della quantità d’acqua decisamente sproporzionata che veniva usata per preparare l’insaccato e “mascherare” la penuria di carne all’interno.
3. Cornish pasty
In Cornovaglia, regione a sud-ovest dell’Inghilterra, il cornish pasty è una cosa molto seria. Considerato piatto nazionale da tempo immemore, dal 2011 è ufficialmente diventato specialità Igp (da non confondere assolutamente con le empanadas latine!). Come dargli torto: questo fagottino di pasta frolla salata è una D gonfia e dorata, ben farcita con un ripieno pepato a base di manzo, rutabaga (varietà locale di rapa), cipolla e patate. A partire dalla rivoluzione industriale il cornish pasty è diventato il pranzo tipico degli operai, specialmente quelli che lavoravano nelle miniere di alluminio. Questo tipo di consumo ha sancito l’importanza della chiusura della pasta: da una parte, serviva a sigillare il fagottino mantenendo integro l’interno e proteggendolo dalla fuliggine esterna. Dall’altra, aveva una funzione estetica ben precisa: era buona norma decorare entrambe le estremità con le iniziali del destinatario, in modo che egli potesse riconoscere il proprio pasty anche dopo aver cominciato a sbocconcellarlo.
Ci sarebbero tante cose da raccontare sul cornish pasty. Ad esempio che è passato dalle stelle alle stalle, ossia dalle tavole regali alle mense sotterranee. Oppure che il suo consumo è legato a una serie di superstizioni, la più famosa delle quali coinvolge gli spiritelli delle gallerie, i cosiddetti knockers: i minatori lanciavano l’ultimo pezzetto di pasty nell’oscurità sperando di ingraziarsi questi folletti dispettosi, che avevano la cattiva abitudine di spargere malattie e far crollare le strutture sotterranee. Il dubbio è che in malattie e incidenti i folletti c’entrassero poco, e che in realtà le ultime briciole di pasta frolla venissero scartate per diminuire il rischio di avvelenamento da arsenico e metalli pesanti che i minatori si ritrovavano sulle dita, le stesse con cui afferravano le gustosissime (e oggi igienicamente sicure) mezzelune ripiene.
4. Bedfordshire clanger
Ingredienti e forma saranno un po’ diversi, ma in fondo la funzione è sempre la stessa. Proprio come il cornish pasty infatti, anche il Bedforshire clanger nasce come schiscetta portatile degli operai o contadini al lavoro nei campi. Questo rotolo salato a base di sego e farina viene preparato dal Diciannovesimo secolo nelle contee di Bedfordshire, Buckinghamshire ed Hertfordshire, tutte nell’est dell’Inghilterra. La pasta esterna, nonostante l’alto coefficiente nutritivo, non era propriamente intesa per il consumo: serviva più che altro come involucro (idealmente da scartare) per proteggere il ripieno dalle mani sporche di terra dei lavoratori. A proposito di ripieno, il clanger si presta a parecchie combinazioni: fegato e cipolle, bacon e patate oppure maiale e verdure, spesso con l’aggiunta di elementi dolci come frutta cotta e marmellata e tutte caratterizzate dall’aroma di salvia.
In effetti l’etimologia di “clanger” potrebbe rimandare proprio all’accostamento di due ingredienti diversi tra loro. Altri ipotizzano una derivazione dal dialetto del Northamptonshire, in cui “clang” indica l’atto di mangiare voracemente; o ancora da “clung”, ovvero pesante e difficile da digerire. Viaggiando attraverso le numerose contee inglesi se ne trovano di tutti i tipi: divertitevi a sceglierli in base al nome più curioso tra dog-in-blanket, bacon badger e flitting pudding.
5. Potted shrimps
Tapas in Inghilterra?! Parrebbe di sì con i potted shrimps, curiosa preparazione a a base di gamberetti e burro chiarificato da spalmare sul pane. La materia prima sono i gamberetti di Morecambe Bay nel Lancashire, che vengono bolliti in acqua salata, cotti lentamente nel burro e infine aromatizzati con noce moscata e pepe nero. Si dice siano ottimi anche come condimento per la pasta, ma su questo punto noi italiani potremmo dissentire. Molto più interessante invece la loro notorietà letteraria: pare infatti che i potted shrimps fossero particolarmente amati dallo scrittore Ian Fleming, il quale decise di renderli a sua volta il piatto preferito dello 007 James Bond. Licenza di uccidere? Sì, ma solo dopo un lauto stuzzichino di gamberetti e Vodka Martini (agitato, non mescolato).
6. Pork pie
Le pies in Inghilterra sono uno dei cibi più amati, quindi mettetevi comodi perché ne sta per arrivare una bella carrellata. Partiamo dalla più antica: la pork pie, una torta ripiena di maiale in gelatina la cui ricetta è rimasta sostanzialmente invariata dai tempi di Riccardo II. Siamo nel Trecento, periodo storico in cui le “torte” in realtà indicavano il ripieno, mentre la pasta svolgeva la mera funzione di un moderno tupperware. Per questo motivo le pies erano particolarmente in voga tra i viaggiatori, cacciatori o mercenari, gente che si spostava spesso e aveva bisogno di un pasto pronto sempre a portata di mano da consumare all’occorrenza anche freddo.
Da qui la popolarità della versione a base di grasso e prosciutto di maiale stagionato, ingredienti facilmente reperibili nelle campagne post peste nera, la pandemia d’altri tempi che quasi dimezzò la popolazione europea assicurando, paradossalmente, più cibo per tutti. Dopo averlo cotto nel forno, nel tortino ripieno veniva inserita una piccola quantità di brodo che serviva, una volta raffreddato, a riempire le parti vuote all’interno e prolungarne così i tempi di consumo (la shelf-life diremmo noi oggi).
In Inghilterra due sono le versioni di pork pie più tipiche. A Melton Mowbray nel Leicestershire è specialità Igp dal 2008: si distingue per l’uso di carne non stagionata, forma orizzontale, pasta rigorosamente fatta a mano e consumo a freddo. Nello Yorkshire invece il tortino si gusta caldo accompagnato da purea di piselli e salsa alla menta, ed è tradizionalmente associato alla Notte dei Falò (V per Vendetta vi dice qualcosa?) che in Inghilterra si celebra il 5 novembre.
7. Shepherd’s pie
Saliamo a nord dell’Inghilterra, al confine con la Scozia. Intorno a noi una moltitudine di greggi di pecore che, insieme alla loro lana, hanno dato il via alla Rivoluzione Industriale, evento che ha favorito l’imperialismo britannico e che infine ha portato al trionfo del Capitalismo. Queste pecore pensavano in grande. Noi tuttavia vogliamo esulare dai massimi sistemi e preferiamo concentrarci sul dettaglio: in questo caso guardiamo oltre la lana e andiamo più in profondità con la sheperd’s pie. Questa “torta del pastore” viene assemblata con macinato di agnello cotto in un gravy di verdure (cipolla, piselli, sedano, carota) e ricoperto da uno strato di purè di patate prima di essere infornato. Il risultato è un ottimo pasticcio scuro di carne dalla crosticina sottile, croccante fuori e soffice dentro.
8. Fish pie
Non pensate al familiare strudel di pesce: la fish pie (o fisherman pie) inglese assomiglia decisamente di più alla torta del pastore di cui sopra. Si tratta infatti di una preparazione “aperta”, senza un involucro di pasta a sigillarla. E già da qui capiamo molte cose, ovvero la destinazione più “altolocata” di questo piatto: la prima versione a base di lampreda infatti venne ideata per la mensa del re Enrico I (anno 1100), evolvendosi poi in concomitanza dei gusti regali nei secoli successivi. La troviamo con le carpe sulla mensa di Enrico VIII (1530), con le anguille per Giorgio II (1752) e per la longeva regina Vittoria, notoriamente una buona forchetta. Oggi la fish pie viene preparata con pesce bianco (merluzzo, eglefino, halibut) in salsa a base di latte e uova. Al posto della pasta si usano le patate (in purea o al gratin) per ricoprire il composto, che viene cotto al forno in casseruola. Il risultato è una sorta di shepherd’s pie alla marinara da mangiare con piselli, purè e verdure al vapore.
9. Stargazy pie
Li vedete quegli occhi spiritati? Immaginateveli mentre vi fissano dalle loro piccole testoline che sbucano a mo’ di Alien dalla superficie di una torta. Ecco, questa è in sostanza la stargazy pie, una pasta sfoglia ripiena di aringhe e sardine che letteralmente “ammirano il cielo stellato”. Il nome probabilmente fa riferimento a tutte quelle preparazioni ricoperte di sfoglia di cui si riescono a intravedere gli ingredienti interni. Questi pescetti così invadenti però, nonostante il rimando poetico al dantesco “e quindi uscimmo a riveder le stelle”, non rendono il piatto proprio invitante: va bene tutto, ma anche l’occhio vuole la sua parte (e non ci riferiamo a quello del pesce!).
Sembra che la stargazy pie sia stata inventata in Cornovaglia, precisamente nel villaggio di Mousehole – del resto, cos’altro ci si poteva aspettare da una “tana di topo”? Giochi di parole a parte, questo trionfo di pesci (almeno sette tipi fra sardine, sgombri, aringhe e anguille) venne assemblato per celebrare lo straordinario bottino del pescatore-eroe locale Tom Bawcock. Costui, il 23 dicembre di un anno non meglio precisato nel Sedicesimo secolo, sfidò la furia del mare pur di sfamare il villaggio che era sprofondato in una profonda carestia. Miracolosamente tornò vivo e con le reti piene di pesci salvando il popolo dalla fame. Da quel giorno, la notte del 23 dicembre si festeggia la Tom Bawcock’s Eve, a suon di stargazy pie naturalmente.
Prima di essere infilati nella torta, i pesci vengono squamati ed eviscerati, mentre testa e coda sono lasciati integri per l’effetto “estetico” di cui sopra. Gli altri ingredienti fissi del ripieno sono latte cagliato, uova e patate bollite, tutti ricoperti da uno strato di pasta sfoglia o frolla. C’è chi, non contento, ci ficca dentro anche bacon, senape, cipolle o uova sode. Tanto ormai lo avete capito: le pies inglesi sono l’involucro di un mondo di gusti tutto (o quasi) da scoprire.
10. Yorkshire pudding
Il termine pudding in inglese fa sempre venire qualche dubbio: si usa per indicare un budino oppure un soufflé? È dolce o salato? Si mangia solo a Natale o anche in altre occasioni? In realtà è tutto giusto: pudding si riferisce a qualsiasi preparazione lievitata al forno o al vapore che abbia come base farina o uova. Fra tutti i tipi in circolazione, quello più conosciuto e diffuso è lo Yorkshire pudding. Friendzonato dal resto delle ricette, questo lievitato a base di farina, latte e uova non è mai stato protagonista, e fin dalle origini ha fatto da spalla ad altri piatti. Intorno al Settecento era uso comune fra più poveri posizionarlo sotto agli spiedi dei ricchi e usarlo come raccoglitore di succhi, per assaporare il “tutto fumo niente arrosto” della carne che raramente riuscivano a procurarsi. Ancora oggi lo Yorkshire pudding costituisce la base o l’accompagnamento di molte preparazioni, due delle quali vi raccontiamo qui di seguito.
11. Toad-in-the-hole
C’è un rospo nel buco. O forse no? Il toad-in-the-hole è il piatto dal nome curioso che indica salsicce in crosta di Yorkshire pudding. L’origine del nome non è per niente chiara, e forse si riferisce alla disposizione delle salsicce che “sbucano” dalla pasta allo stesso modo in cui certi anfibi si acquattano per cacciare le loro prede. Certo è che di rospi in questa preparazione non c’è mai stata l’ombra, di buchi invece c’è abbondanza: si fanno con una forchetta o con uno stuzzicadenti direttamente sulla carne già arrostita. Poi si incorpora la pastella e si inforna tutto insieme fino a quando il pudding è gonfio e dorato, e soprattutto bucato.
12. British Sunday roast
Da noi si chiama “pranzo della domenica”, in Inghilterra corrisponde al British Sunday roast. In tutti i due i casi si tratta di un momento quasi sacro (soprattutto dal punto di vista delle nonne) e conviviale, in cui dinamiche familiari di equilibrio e gerarchia (il pensiero torna sempre alle nonne) vengono ribadite o ristabilite. La differenza principale tra la domenica italiana e quella inglese è che la seconda è codificata in una preparazione ben precisa. Il British Sunday roast infatti è costituito quasi invariabilmente da arrosto di vitella, agnello, maiale o tacchino, verdure al forno (patate, rape, cavolo), salsa gravy e Yorkshire pudding. Il significato profondo di questo piatto non c’è, o almeno deriva da una necessità pratica: la libertà di andare a messa senza doversi preoccupare di stare attenti ai fornelli. L’arrosto va da solo, lento e pacifico, cotto a puntino subito dopo l’augurio “Andate in pace” (a magnà).
13. Bubble and squeak
Con tutto quel ben di Dio che è l’arrosto inglese della domenica, gli avanzi sono quasi inevitabili. Cosa si fa in questi casi? Le households inglesi si sono inventate un metodo di recupero coi fiocchi, il cui nome si riferisce al suono scoppiettante emesso da tutti gli ingredienti che allegramente friggono in padella. Il bubble and squeak è il piatto unico del lunedì a base di patate e cavolo avanzati dal giorno prima. Questa naturalmente è una base da cui partire: in questa specie di tortino compaiono spesso altre verdure (carote, piselli, cavolini di Bruxelles), mentre quasi sempre l’ “accompagnamento” è costituito da tagli freddi di roast beef e salsa gravy. Una colazione dei campioni che fa a gara (a livello di digestione) con la full English breakfast.
14. Cream tea
Il cream tea non è solo un pasto. È un vero e proprio rito pomeridiano che in alcune aree è addirittura diventata un’istituzione certificata a livello europeo. Ma partiamo dall’inizio. Per definirsi tale, il cream tea comprende almeno quattro elementi: tè, scones (che vi spieghiamo bene nella prossima sezione), marmellata e clotted cream. Quest’ultima è forse la parte cruciale del cream tea, quella che più di tutte le altre lo definisce. Letteralmente significa “panna rappresa”, e in effetti è proprio così: panna da latte intero non pastorizzato che sulla superficie presenta dei caratteristici grumi (clots) formatisi dal processo di riscaldamento al vapore seguito dal lento e graduale raffreddamento. La clotted cream è il prodotto tipico di Cornovaglia e Devonshire: ha un’altissima percentuale di grasso, retrogusto di latte cotto e nocciole tostate e, soprattutto, un bel marchio Dop dal 1998.
Quali sono le varianti regionali del cream tea inglese? Le due più importanti corrispondono, non a caso, alle zone di origine della panna di accompagnamento. Badate bene, si tratta di dettagli che tuttavia dividono gli inglesi tanto quanto noi ci accapigliamo sulla carbonara. E dunque, da una parte abbiamo il Devon Cream Tea (che tra l’altro nel 2010 ha lanciato una petizione per ottenere la Dop), che prevede di spalmare prima crema e poi marmellata su ogni metà dello scone aperto; dall’altra il Cornish Cream Tea, prima marmellata e poi crema sullo scone che può anche essere richiuso a mo’ di panino. Tutto qua: e anche se sembra strano che la faccenda possa diventare occasione di dibattito, ricordatevi sempre di quante polemiche possono provocare altrove uno spicchio d’aglio o un pezzo di pancetta.
15. Scones
Che afternoon tea sarebbe senza scones traboccanti di clotted cream o ripieni di strawberry jam? Ok, troppi corsivi, ma d’altronde siamo di fronte a uno dei dolci tipici inglesi per eccellenza, immancabile nella vita quotidiana dalla colazione alla merenda. Non solo in Inghilterra, ma in tutto lo United Kingdom (che ricordiamo comprende anche Scozia, Galles e Irlanda del Nord) questi panini dolci hanno nomi, pronunce, ingredienti e tecniche di cottura diverse.
Si dice che i primi comparvero nel Cinquecento in Scozia: il nome deriverebbe dalla “Stone of Scone”, luogo sacro di incoronazione per i re scozzesi. La tesi dell’origine mitica è avvalorata da un poema risalente al 1513 che per primo testimonia l’esistenza di questi dolcetti. Di sicuro sappiamo come venivano preparati in passato: l’ingrediente principale era l’avena e, in assenza di agenti lievitanti, risultavano piatti e tondi. Gli scones venivano cotti sulla griglia e poi tagliati a fette triangolari, proprio come una pizza.
Oggi che per fortuna gli ingredienti non mancano (tranne il lievito in pandemia, quello sì che è un bel problema) gli scones sono molto più ricchi e “ciccioni”. Farina, bicarbonato, burro, latte, zucchero e uova costituiscono la base. Da qui in poi ci si sbizzarrisce: le aggiunte più comuni sono uvetta, datteri, formaggio, patate e mirtilli. Poi, siccome lo scone da solo non basta mai, è d’obbligo accompagnarlo a burro, crema, panna, marmellata e chi più ne ha più ne metta (letteralmente).
16. Spotted dick
Continua la lista dei nomi travisati, e in questo gli inglesi con il loro humour maldestro e piccantino sono maestri. Lo spotted dick non fa eccezione e ci regala risatine sotto ai baffi per il doppio senso sottinteso. Dobbiamo spiegare? Spieghiamo: se preso alla lettera dei giorni nostri, il nome di questo pudding a base di frutta secca (soprattutto mirtilli e uvetta) si traduce con, per dirla elegantemente, virilità intravista. Immaginate Nelson, il bulletto dei Simpson, che sogghigna : “Ah-ah! Spotted dick!”. Insomma avete capito. In realtà spotted fa riferimento alle macchioline della frutta sul dick, un termine arcaico per il pudding: tanto rumore per un budino macchiato.
17. Sticky toffee pudding
Questo dessert è puro peccato. Gola, lussuria, fate voi: sta di fatto che la dolcezza appiccicosa e pastosa dello sticky toffee pudding è difficile togliersela dalla testa (e dai denti). Si tratta di una torta a base di datteri e caramello servita con gelato o crema alla vaniglia. Le origini di questo piatto risalgono all’altro ieri, vale a dire gli anni Settanta, quando due chef del Lake District (nord-est dell’Inghilterra) reinterpretarono una vecchia ricetta canadese. Dove e quando poco importa, quel che è certo è che in poco tempo lo sticky toffee pudding ha conquistato i palati inglesi fino a diventare uno dei dolci iconici nazionali. Fa la gioia di grandi, piccini e soprattutto dentisti, che in Inghilterra hanno già il loro bel daffare.
18. Bakewell tart
A prima vista sembrerebbe una torta che “cuoce proprio bene” (bake + well). E invece no: la bakewell tart è una golosa variante della torta frangipane che prende il nome dalla città da cui proviene, Bakewell nel Derbyshire. Ma sul piano etimologico esiste comunque un aneddoto interessante: il nome del piatto (e dunque della città) è un’alterazione dei termini bath (bagno) e kwell (sorgente) che si riferiscono ai numerosi pozzi sotterranei caratteristici di quest’area geografica.
L’evoluzione lessicale accompagna in questo caso quella culinaria. La bakewell tart è infatti un elegante upgrade del più noto (ma molto meno fotogenico) bakewell pudding, semplice dessert con base di pasta sfoglia, marmellata e pasta di mandorle realizzato per la prima volta nel 1860. La nostra torta invece risale ai primi del Novecento: si tratta di pasta frolla ripiena con strati di marmellata e crema frangipane, di solito decorata con mandorle a scaglie. Umida, profumata e leggera, la bakewell tart va servita calda e idealmente accompagnata da una bella cucchiaiata di crema o gelato.
19. Eton mess
Meringa, panna montata e fragole sono gli ingredienti per questo dolce al cucchiaio che ci ricorda che sì, esistono caste ed élite anche nella civilissima Inghilterra. L’Eton mess è nato intorno agli anni Trenta nel prestigioso college di Eton, la scuola esclusiva ed esclusivamente maschile che si classifica sesta nella lista delle più costose a livello nazionale (più di 42.000 sterline l’anno compresi di corso di studi, vitto e alloggio). Gli studenti di Eton vi risiedono in pianta stabile (e ci mancherebbe!), e fra le varie attività spicca l’annuale partita di cricket contro la Harrow School. Sembra che l’Eton Mess sia stato preparato per la prima volta proprio in occasione di questa gara, e il significato rimanda all’aspetto del dolce (in effetti un po’ incasinato) e alla sua natura di mischione di ingredienti. A noi interessa che sia buono, fresco e soprattutto veloce da preparare: il cricket ve lo lasciamo volentieri.