Questa sera a Roma parte il Riverside Market, sul Lungotevere (al varo ci sarò pur’io. Mi riconoscerete facilmente: sarò quello con il cuoppo in mano).
Farà caldo, è venerdì sera, ci sarà un’infinità di food truck e dunque persone a frotte. Tutti a mangiar pizza e mortazza, polpette, arrosticini, fritti, porchette, hamburger, panini, a bere birra e far flanella. Venite, ci divertiremo.
Ma voglio usare questo evento come occasione per il pensierino pre weekend.
Ormai siamo abituati alle fiere coi food truck: non c’è fine-settimana estivo, non c’è cittadina del Buon Paese -da Milano a Palermo- che non si contenda i trucker, abituati a fare tanti chilometri quanto cartocci.
I truck -a differenza dei loro avi, i carretti- sono nati e vivono quasi esclusivamente in cattività: dentro i recinti delle fiere, lì dove li confina la burocrazia italiana.
Ma gli animali in cattività si intristiscono, e –presto o tardi– si estinguono.
Il cibo di strada deve stare in strada, non solo in fiera. Se no non assolve alla propria funzione, perde contatto con la realtà, diventa un baraccone itinerante in cui la vera bombetta viene progressivamente sostituita dalle nugget di pollo surgelate e vendute a caro prezzo.
Amici legislatori, amici trucker, amici golosi: datevi da fare.
Il truck lo vorrei tutti i giorni vicino all’ufficio, al mercato, al parco, non solo nella carovana nomade che va su e giù per lo stivale. Così avrà lunga vita.
Altrimenti farà la fine del circo con gli animali, che non c’è più. E nemmeno lo rimpiangiamo troppo.