Quanti indizi ci vogliono per fare una prova? Tre, si dice, ma a volte sono anche troppi.
A qualcuno basta il sesto senso per saltare alle conclusioni, noi di Dissapore invece siamo pignoli come San Tommaso, vogliamo vedere prima di credere.
Però siamo anche curiosi, curiosissimi, e quando ieri mattina Antonino Cannavacciuolo ha lanciato la bomba di un nuovo Bistrot a Torino, dopo quello aperto a Novara a ottobre 2015, da noi ripetutamente provato, ci siamo subito agitati.
“Il mio Sud incontra il Nord in un Bistrot che vuole farti sentire come a casa. Ecco perché ho scelto una delle città più belle del nord Italia per la mia prossima apertura: Torino sto arrivando!”
Okay Antonino, ma quando? Come? E, soprattutto, dove?
Dall’ufficio stampa, al momento, non trapelano notizie: in effetti, nessuno sa molto.
Tutto ciò che si sa è un annuncio sul profilo Facebook del monumentale chef italiano, oltre a una nuova pagina sempre nello stesso social, “Cannavacciuolo Bistrot Torino“, che nel giro di una giornata ha racimolato 7mila like e 50 recensioni a 5 stelle (curioso, per un ristorante che non si sa neanche dove e quando aprirà).
Giusto per chi volesse dubitare dell’interesse generato dalla nuova apertura, o della fama di cui gode lo chef di Villa Crespi.
A proposito, l’ultima volta che eravamo stati nel ristorante di Cannavacciuolo, più o meno un anno fa, chef Antonino ci aveva confidato di essere alla ricerca di un nuovo spazio sotto la Mole per aprire un Bistrot.
Affidarsi alla memoria è complicato, specie se annebbiata dai postumi del menu degustazione di Villa Crespi, al giudice di Masterchef era sfuggito l’accenno a un localino di suo gradimento, molto centrale, dall’aria un po’ kitsch, che allora non era un ristorante.
Troppo tempo è passato per considerare quella conversazione after dinner un indizio, quindi è meglio cercarne altri.
E’ quel che ho fatto a partire da ieri mattina: recuperata la lente d’ingrandimento da un cassetto, ho indossato il trench in twill (ché tanto è arrivato l’autunno) e iniziato a fumare la pipa. Tutto per tentare l’impresa alla Sherlock Holmes.
È stato un gioco, nulla di serio, ma alla fine potrei aver scoperto un futuro da investigatrice.
Sono partita da quello che avevo, cioè praticamente nulla: una foto dello chef appoggiato a una porta. Sai che indizio, magari è la porta di casa sua.
Però da qualche parte dovevo iniziare, ho ipotizzato allora che quello ritratto nella foto fosse proprio l’ingresso del nuovo bistrot torinese.
L’ho analizzata, quella foto. L’ho ingrandita, spezzettata in millemila pixel, girata in ogni verso possibile.
Poi, grazie al consiglio del mio fedele Dottor Watson mi sono accorta di un particolare interessante.
Riflessa sul vetro del locale appare un’insegna al neon blu con scritto Liù.
Ta-Da.
L’istinto da detective si è messo in moto, subito mi è venuto in mente il Liù Bistrot in via Barbaroux 12, dietro piazza Castello, che al momento, tra l’altro, non è più dov’era. Sono andata a controllare, le serrande erano abbassate, ho potuto dedurre ben poco. Anche perché non so quando la foto pubblicata da Cannavacciuolo su Facebook sia stata scattata.
Però una cosa è certa: la porta del locale di via Barbaroux è diversa da quella che appare nella foto. Devo ripartire da zero.
Smanettando su Google scopro che Liù a Torino è anche un negozio-atelier di abiti da sposa, in zona pre-collinare (via Cosmo angolo via Santorre di Santarosa), dietro piazza Gran Madre.
Una zona che corrisponde abbastanza a quella indicata nella mappa del futuro Bistrot torinese di Antonino Cannavacciuolo, pubblicata sulla pagina Facebook del locale. Anche se, seguendo quella mappa, mi trovo dalla parte sbagliata del fiume Po.
Però, cocciuta come sono, inizio a sentire odore di triglia in guazzetto di provola. Forse è solo fame, o forse sono davvero in zona fuochino.
Torno su internet, spulcio tra le foto di Tripadvisor. Ammetto che c’è un po’ di confusione tra via Barbaroux e via Santorre di Santarosa, ma comunque, lente d’ingrandimento alla mano, penso di aver trovato qualche indizio in più.
La maniglia della porta d’ingresso, intanto.
Quella dove si appoggia Cannavacciuolo nella celebre foto è molto simile a quella del locale pre-collinare.
E i soffitti a volta: scovo una foto su Tripadvisor che ricorda molto il soffitto grezzo visibile nella foto dello chef. Come del resto anche gli interni.
Metto in fila gli indizi: sono partita dal riflesso della luce al neon. UNO. C’è la maniglia. DUE. Ci sono questi soffitti particolari. TRE.
Non ho avuto modo di verificare oltre se questi tre indizi fanno una prova, perché l’ufficio stampa di Villa Crespi al momento ha la bocca cucita, e Liù Atelier non ha risposto al telefono (ma su Facebook scopro che non risulta più in via Santorre di Santarosa, ma a Revigliasco.
Possiamo considerare il trasferimento di sede dell’atelier come il quarto indizio?
Potrebbe essere.
Lasciatemelo credere fino al giorno dell’annuncio ufficiale.
Solo così scoprirò se ho la stoffa per fare il detective (e allora, caro chef, potrei essermi meritata una pasta a’ vongole), o se è meglio che nella vita continui a occuparmi di cibo.
Elementare, Cannavacciuolo.