Ho letto che Mauro Uliassi, ultimo chef salito nell’olimpo dei tristellati, ha riconosciuto l’ispettore della Guida Michelin. Lo ha dichiarato en passant, tra ricordi e flussi di coscienza – tanto che la cosa è passata inosservata – in una lunga intervista rilasciata a Cook, l’allegato di cucina domani in edicola con il Corriere della Sera.
Un’esaustiva testimonianza sull’essere cuochi con l’obiettivo della terza Michelin (quella che ha ottenuto, proprio lo scorso autunno, il suo “Uliassi” di Senigallia, caldeggiata da tantissimi, noi compresi), oserei dire la confessione di una (mezza) carriera vissuta in funzione di quella. Provo a riassumervela, per punti:
- Ottenere il riconoscimento più ambito dalla Rossa a 60 anni, anziché a 40, è una scocciatura, “ti chiamano ovunque e tu hai meno energie da spendere”. Questo punto non è fondamentale ai fini del racconto, ma glieli avreste dati 60 anni a Uliassi? Io no, e d’altronde nemmeno me lo vedo a spadellare per gli sponsor o filantropare per un cachet televisivo;
- La scalata, una stella dopo l’altra, è un lavoro lungo, metodico, con meccanismi in parte modificati. E anche sfinente, tanto che si arriva a dire: “Se a novembre scorso non fossi riuscito a prendere le tre stelle, avrei mandato tutti a quel paese, reggere questi ritmi ora che non sono più un ragazzetto non è facile”. Del tipo: “Ma come, non vedete che sto facendo tutto per prendere la terza stella? Sapete che c’è, che se non me la date mi apro un chiosco di Gelati Algida”. Come se senza il bacio della Michelin tutto il suo lavoro non avesse senso;
- Uliassi che ripercorre a ritroso l’attesa della sua (meritatissima!) terza stella riesce a trasmettermi la stessa sensazione che ho provato quando un amico, per scherzo, mi ha costretta a vedere le immagini di un parto bigemellare. Non voglio due gemelli e non voglio fare lo chef;
- Mauro Uliassi e Moreno Cedroni, i due vicini di casa chef – star, rosicano per le reciproche stelle. Uliassi “ci rimase malissimo” quando Cedroni vinse la seconda stella.
Poi, la rivelazione. Il segreto di Pulcinella, per la verità, che però chi bazzica nel settore gastronomico, a titolo qualsiasi, non osa certo mettere nero su bianco: che il titolo di “ispettore” dei critici della Michelin faccia più che altro folkolore e non corrisponda a un anonimato assoluto osiamo dircelo nell’orecchio, con una mano davanti alla bocca.
Eppure rivela lo chef, rimandando alla mente il calvario prima del traguardo: “Nel 2013 viene qui un ispettore della Michelin, dopo aver pagato si presenta e ci dice di aver mangiato il miglior menu di caccia d’Europa. Così ci invita ad alzare l’asticella. Io convinco la brigata a ingranare la quinta. Dobbiamo stare concentrati, seri, coerenti, dico a tutti. Piano piano il gruppo, fino all’ultimo lavapiatti, si fa coinvolgere”.
L’ispettore anonimo si presenta e dice come aggiustare il tiro? Ma cosa ho appena letto?
Poi lo spannung, il momento di massima tensione (finalmente), che coincide con la sera della scorsa estate in cui Juliane Caspar (epiteto scelto dalla giornalista: “La famosa tedesca”. E in effetti è nota, ma gli ispettori non erano in incognito?) ha tagliato la testa al toro. Arrivata “dalla Francia a dare l’assenso all’assegnazione della terza stella”, si è seduta al tavolo di Uliassi, ponendo così fine alle sue sofferenze.
“La riconobbi quando lessi il nome sulla carta di credito. Era stata una serata magica, luce perfetta, grande quiete, tutti i clienti si complimentavano. Lei era stupita, soprattutto dagli spaghetti affumicati con vongole e datterini arrostiti”.
Un lieto fine. L’anonimato degli ispettori è andato a farsi benedire, ma questa terza stella mi sembra davvero una benedizione. Iniziavo ad avere il magone.