“Lo chef del futuro è molto più della somma delle sue ricette”. Ed è sicuramente per questa nuova, originale visione della cucina e del cibo che il New York Times ha inserito Massimo Bottura, chef dell’Osteria Francescana, tra i 28 creativi – ma il termine originale utilizzato dal NYT è “genius” – più influenti del mondo.
Tra architetti, poeti, pittori e stilisti, il nome di Bottura è il solo, insieme a quello di Donatella Versace e Alessandro Michele, a raccontare di un’Italia che si distingue per passione e competenza, visione e innovazione.
Tra di loro troviamo nomi noti quali quelli di Michelle Obama o Lady Gaga, così come personalità meno mediatiche, vedi il fotografo William Egglestone, il designer Junya Watanabe o il musicista Benjamin Clementine.
Un ulteriore, meritato riconoscimento per lo chef modenese da parte del New York Times, che già in ottobre aveva dedicato ampio spazio a Bottura con una lunga intervista in cui veniva evidenziato il lato rivoluzionario, artistico e visionario della sua cucina.
“Noi siamo la rivoluzione” è infatti la prima cosa –racconta il giornalista del NYT– che accoglie i clienti non appena entrati all’Osteria Francescana. Un monito, scritto sotto un autoritratto dell’artista Joseph Beuys posto all’entrata del locale, che ben riassume il pensiero dello chef emiliano.
Paragonato a pietre miliari quali Ferran Adrià e Rene Redzepi, Bottura è definito dal NYT come una sorta di alchimista appassionato che, rispetto ai due grandi chef, percorre una dimensione più solitaria e introspettiva, nell’ambito di una ricerca “privata e idiosincratica”.
Una dimensione sospesa tra la tradizione delle propria terra e le originali rivisitazioni che scaturiscono dalla mente dello chef, dopo essere passate attraverso il filtro dell’arte e delle esperienze vissute.
L’ispirazione di Bottura –-continua il NYT-– è ovunque, e deriva non solo dall’influenza che l’arte, soprattutto quella moderna, di cui lo chef è un grande appassionato, riesce a trasmettergli, ma viene recepita nell’ambiente circostante, dai fatti di ogni giorno.
Da una fetta di crostata caduta accidentalmente a un cameriere che ha dato luogo al dessert scomposto “Oops, mi è caduta la crostata”.
Oppure da un dialogo, letto da Bottura, tra Bob Dylan e Johnny Cash, che ha originato il piatto “l’anguilla che risale il Po a nuoto”.
E’ il piatto dal nome “camouflage”, ispirato questa volta da un dialogo tra Gertrude Stein e Pablo Picasso, caratterizzato da colori militari e composto da un magistrale abbinamento di foie gras, cioccolato, spezie e sangue di lepre selvatica.
Piatti che non si possono ricondurre semplicemente a un abile cuoco, ma che sono indice di una mente poliedrica, aperta, curiosa, coadiuvata da una sconfinata passione.
Per Bottura infatti la cucina è “racchiudere la passione in bocconi da gustare”, è tradizione, è il cibo delle nostre nonne e della nostra terra, così amato in quanto “essenza di secoli di storia”.
Tradizione, musica, arte. Perché “non possiamo vivere senza musica, senza arte”.
Quella stessa arte, quella stessa visione che lo ha portato a realizzare progetti quali il RefettoRio di Rio, dove ha sfamato migliaia di senzatetto brasiliani durante le ultime olimpiadi utilizzando solamente cibo di recupero.
Quell’arte che lo ha consacrato come uno dei 50 migliori chef del mondo, e che ora lo consacra una tra le personalità più incisive e influenti del pianeta.
Questo è Massimo Bottura, per il NYT: un visionario, un genio, ancor prima che un cuoco o un artigiano. O meglio, in una sola parola, un artista.
[Crediti | Link: New York Times]