Massimo Bottura. Miglior cuoco del mondo incoronato all’ultima edizione dei 50 Best Restaurants.
Geniale ideatore di RefettoRio, progetto con cui sono stati sfamati migliaia di bisognosi utilizzando dieci tonnellate di cibo scartato alle ultime Olimpiadi di Rio.
Bottura il visionario, il filosofo, lo chef universalmente riconosciuto come il più cerebrale e impegnato del panorama italiano e internazionale, la stella osannata il cui nome è ormai sulla bocca di tutti, quasi a voler esser parte di quella notorietà che il mondo intero gli riconosce.
Tutti infatti ormai sappiamo chi è Massimo Bottura, tutti conosciamo almeno di nome la sua Osteria Francescana, così come conosciamo i nomi singolari dei suoi piatti, tipo “Ops! Mi è caduta la crostata al limone”, oppure “La patata che voleva essere un tartufo” o anche “ricordo di un panino alla mortadella”.
Ma quanto sappiamo della ‘persona’ Bottura piuttosto che del cuoco di successo?
Cosa lo ha spinto, invece di riposarsi sui confortevoli allori del suo ristorante, meta di vip da tutto il mondo, ad andarsi a cacciare nelle favelas di Rio, in mezzo agli ultimi, ai diseredati?
Cosa sappiamo del suo pensiero, dei suoi ideali, dei suoi chiodi fissi ricorrenti?
Se per quanto riguarda l’Osteria Francescana vi abbiamo riferito tutto quanto dovete sapere prima di prenotare il vostro tavolo, cosa è necessario sapere prima di poter dire “Sì, conosco Massimo Bottura”?
Abbiamo cercato di riassumere il credo del cuoco modenese proponendovi, anche grazie alla storia di copertina del mensile Rivista Studio in edicola, dedicata proprio a Bottura, un ritratto completo dello chef migliore del mondo.
1. Bottura e la (stra)ordinaria amministrazione.
Non c’è ordinarietà nei giorni di un uomo fuori dall’ordinario.
Quando si raggiungono certi risultati, certi traguardi, è chiaro che la visione della quotidianità e del mondo circostante deve avere la sua dose di eventi fuori dall’usuale.
Infatti, nei giorni che Bottura definisce di “ordinaria amministrazione” nel suo ufficio si possono ritrovare, ad esempio, una produttrice americana arrivata per valutare il luogo esatto dove girare una scena di “Master of None”, la serie Netflix di e con la partecipazione di Aziz Ansari, il comico del momento, e che comprenderà una puntata ambientata proprio nell’ufficio di Bottura.
O giorni in cui possono materializzarsi da un momento all’altro persone del calibro di Mark Zuckerberg, che si è recentemente recato all’Osteria per la gioia di cuochi e personale vario con cui non ha esitato a scattare tonnellate di selfie.
Senza contare politici, capi di Stato e personalità dello spettacolo, che non tralasciano mai di comprendere una tappa all’Osteria durante i loro viaggi. Questa è l’ordinarietà di Massimo Bottura.
2. Bottura e la musica.
Chi conosce veramente Bottura deve per forza di cose essere al corrente della sua infinita passione per la musica. Musica contemporanea che, possiamo starne certi, ha avuto sicuramente un ruolo nel forgiare il pensiero dello chef nonché i suoi progetti.
Un vero chiodo fisso, un’ispirazione, un riferimento costante da cui non può prescindere, e le cui influenze si ritrovano tutte, in qualche modo, nei suoi piatti.
“La nostra forza motivazionale è l’arte, è la musica – chiarisce Bottura. E’ la cultura. L’ingrediente più importante per il cuoco del futuro è la cultura. E’ la cultura a permetterti di leggere il tuo passato in chiave critica e non nostalgica. Meglio: che ti fa scindere il passato nelle sue parti migliori e nei momenti critici, per portare nel futuro il meglio di quello che è venuto prima.
Billie Holiday nella mia testa è Autumn in New York, un piatto dove ho messo la mela, che poi è la Grande Mela. E poi c’è il poetico del sud dell’Italia. C’è Working Class Hero di John Lennon”.
Non ritroveremo certo Lou Reed nel piatto, ma la sua eco si farà sentire inesorabilmente: “Mi basta tirare fuori i Velvet Underground. C’è tutto: Lou Reed, la voce quasi stonata di Nico, la copertina di Andy Warhol”. Che rappresenta del cibo, cioè una banana, per essere precisi.
“Sì, e della banana ho scoperto che non si butta via nemmeno la buccia.
A Rio il primo giorno non avevo niente. Mi ero portato dall’Italia la pasta, c’erano delle uova. Poi ho visto tutte le bucce di banana scaratate, con le banane avevamo appena fatto un gelato. Le ho prese, le ho affumicate, le ho passate al forno con un po’ di bacon per dare sapore: è nata una carbonara con le bucce di banana”.
3. Bottura e l’arte.
Altro chiodo fisso di Bottura è l’arte, ma è in particolar modo l’arte moderna che merita un posto d’onore nei pensieri dell’ascetico chef, così come all’interno della sua Osteria.
Arte dietro la quale il nostro trova sempre un riscontro nel reale e nel quotidiano. Alle pareti dell’Osteria Francescana si possono infatti osservare i piccioni imbalsamati di Maurizio Cattelan o le chiazze di colore di Damien Hirst.
“C’è quel tondo nero di Bosco Sodi, che si vede nella foto ecco, non è nient’altro che L’urlo di Munch, ma qui è la terra a chiedere aiuto, a urlare “attenzione, sto morendo.
Poi c’è la grande fotografia di Elger Esser con il Po che esonda. Guardando il bicchiere mezzo pieno pensi che sì, ha allagato tutte le campagne ma anche rilasciato le sue acque, ha irrigato la terra, l’ha preparata per il raccolto dell’estate.
L’arte ti può mostrare le due facce della stessa cosa: la terra che vive contro la terra arida, nera, arrabbiata, che chiede aiuto perché è sfruttata dalla chimica dell’uomo.
Vale lo stesso per la storia della vacca bianca, che abbiamo vissuto in Emilia negli anni sessanta. Si è deciso, nel giro di due anni, di raddoppiare la produzione. La scelta è stata quella di sostituire tutte le bianche di Modena, le rosse di Reggio e le brune di Parma, ma si è rivelata una scelta sbagliata.
Nel momento in cui c’ è crisi non conta solo la quantità, ma solo la qualità. Anche oggi. Per questo l’Osteria ha successo: è sulla qualità che abbiamo sempre lavorato. Poi raccogliamo quello che dobbiamo raccogliere”.
4. Bottura e Modena.
Modena non è semplicemente nei pensieri di Bottura. Modena è il suo luogo, il suo porto sicuro, il luogo delle sue radici.
Bottura non ha nemmeno bisogno di parlarne apertamente: il rapporto viscerale con Modena e la sua gente si percepisce così, semplicemente, come un saluto cordiale urlato dalla strada: “Ciao Massimo, ti ho visto in TV, sei bravissimo!”
E lui ricambia: “Il talento, quando c’è, viene sempre riconosciuto. Anche nei posti piccoli.
Quando ho cominciato la gente mi prendeva per pazzo, ma sono sempre andato avanti per la mia strada. Anzi, mi piace pensare che a leggere oggi queste parole sia un ragazzo che ha il mio stesso sogno e come me vive in una realtà di provincia.
Quelli bravi alla fine vengono fuori, guarda solo a Modena: Luciano Pavarotti, Enzo Ferrari”.
Forte è l’attaccamento di Bottura con le tradizioni del suo territorio, mai abbandonate e rivendicate a gran voce.
“E’ come la storia del Parmigiano Reggiano, un progetto a cui abbiamo iniziato a pensare quando nessuno lo stagionava più per più di 24 mesi. In un solo piatto (“5 stagionature di Parmigiano Reggiano”) abbiamo messo la storia dell’Emilia degli ultimi vent’anni, a cominciare dal Parmigiano con 23 anni di stagionatura.
Che oggi si sono messi a fare tutti”.
5. Bottura e i sogni.
Se c’è qualcosa che tutti noi dovremmo imparare da Bottura è la capacità di sognare.
E’ la dimensione del sogno, dell’onirico, della magia che ha fatto di Bottura ciò che è ora, permettendogli di passare dall’astratto e confortevole piano delle idee a quello dei ventimila pasti serviti i bisognosi di Rio.
Sognare, pensare in grande, volare alto. Senza perdersi dietro all’ordinario, al quotidiano, per non credere che il tuo ruolo sia semplicemente quello di tagliare una carota o saltare una cipolla”.
“Oggi il problema, soprattutto in Italia, è che nessuno crede più nei propri sogni, o forse siamo rimasti in pochissimi a farlo – dice Bottura. Abbiamo perso l’identità. Questa è la nostra vera, enorme crisi, mica quella economica.
Il punto è che devi sempre vedere il futuro, noi invece abbiamo gli occhi al passato. Quel che è fatto è fatto, non è importante, non ci si può perdere nella nostaglia. E’ così che cerco di vivere ogni cosa. La cosa fondamentale è vivere la quotidianità, anche se eccezionale, rimanendo ben piantati per terra.
Stare coi piedi per terra significa essere l’esempio per tutti i ragazzi che lavorano per te – e siamo 46 adesso – che si tratti di pulire la strada o di scegliere il pesce, di essere gentile coi vicini o di ridere e scherzare in Via delle Rose, dove andiamo a giocare a calcio.
Ma nella quotidianità non puoi perderti, altrimenti entri in cucina e pensi che il tuo ruolo sia tagliare una carota, saltare una cipolla, spiattare un piatto. Il tuo ruolo invece è continuare a sognare, a immaginare quale sarà il tuo futuro. Se non lo fai, non riesci a capire che cosa verrà nei prossimi anni.
E più il sogno è folle, più dici che sarà impossibile, più ti rendi conto che puoi realizzarlo. Per dire: so che ho costruito, anzi, salvato, la scuola di agricoltura e preparazione al mondo del lavoro e della cucina di Castelfranco Emilia, ma questo è già successo.
Ora penso che, a partire da quel progetto, posso creare un’Università per i contadini e i cuochi del futuro. I primi potranno imparare a capire meglio i sapori, i secondi a ritrovare il contatto con la terra. Anzi, di più: sogno che il cuoco del futuro entri in cucina con le mani sporche di terra”.
6. Bottura e i programmi di cucina in tv.
“La tv mostra storie che servono a un format, a un’idea di narrazione. Forse ci sono anche nella realtà che prediligono un approccio violento nelle loro cucine. Io di sicuro non sono tra quelli, per me la cucina resterà sempre un gesto d’amore.
Ragazzini di 18 anni che ti dedicano la loro vita non possono essere aggrediti o violentati in quel modo. La cucina è il luogo dove si crea, non il luogo della violenza. L’importante è avere chiara la direzione, altrimenti non riesci a gestire i ritmi. L’approccio deve essere, ecco, direi…visionario”.
E in tema di format, di narrazione e di spettacolarizzazione della cucina, che ne pensa Bottura di una delle parole attualmente più abusate in ambito culinario, vale a dire del termine “impiattamento”, ormai utilizzato da tutti coloro che vogliono ostentare una certa competenza in cucina?
“Che parola orribile!”.
7. Bottura e la solidarietà.
E qui arriviamo al cuore del Bottura-pensiero. E’ sui temi sociali, sulle grandi sfide del nostro tempo come la fame nel mondo che si concentra il pensiero dello chef.
“Quando ho visto qual era il tema di Expo, Nutrire il Pianeta, mi sono chiesto: che cosa posso fare io, io che faccio questo di mestiere, se non usare tutto quello che ho, anche gli scarti, per dar da mangiare a chi non ne ha?
La risposta è stata fin troppo scontata, anzi, mi stupisco sia arrivata da me e non dalla maggior parte dei padiglioni dell’esposizione.
Quello degli Stati Uniti, che non si è filato nessuno, in realtà era uno dei più interessanti, con i suoi orti a parete che si muovevano e in base alla luce del sole facevano maturare frutti e ortaggi che poi venivano raccolti. Un’idea che risponde alla promesse, e in fondo la stessa alla base del bellissimo Bosco Verticale di Milano.
L’architettura, come la cultura, può decidere anche il futuro dell’alimentazione. Pensa se domani tutte le città fossero fatti di grattacieli su cui poter coltivare”.
Il Refettorio milanese, in base a questo pensiero, è stata collocato volutamente “in un posto decentrato –continua Bottura–, non stava nel cuore della fiera. Lì, ci ha detto di andare Papa Francesco, nelle periferie, dove c’è davvero bisogno.
Si potrebbe aprire ovunque. Stiamo pensando a Los Angeles, a New York, a tutte le periferie del mondo. Al Museo del Domani di Calatrava mi ha colpito un numero: 860. Ovvero, i milioni di persone che oggi non hanno da mangiare. Lo stesso pannello mostrava che entro cinquant’anni saranno la metà.
Mi sono chiesto: “quanti, tra questi, ne avremo sfamati noi?”
In quest’ottica, ovviamente, va inteso il grandioso progetto RefettoRio e i pasti offerti a migliaia di bisognosi di Rio, utilizzando tonnellate di cibi “scartati” provenienti dal villaggio olimpico.
“Siamo arrivati in una zona dove non c’era niente, baracche, topi, la povertà vera. Ci siamo messi a lavorare con un’organizzazione di San Paolo, la gente di Rio è più dispersiva, ha il sole, il mare, prende le cose come vengono, San Paolo, rispetto a Rio, è come dire Milano contro Roma.
Il primo giorno, con la struttura pronta, scopro che mancavano gli attacchi dell’acqua, del gas, dell’elettricità. E allora abbiamo improvvisato. Ci siamo attaccati col tubo al palazzo di fianco, abbiamo preso bombole e generatori ci siamo messi a cucinare. Mi rendo conto solo adesso che ne parlo di quanto questa esperienza mi abbia cambiato.
Un giorno io e Gustavo Cedroni, l’architettto, ci siamo presi una pausa, avevo la testa sovraccarica, troppi stimoli, dovevo staccare.
Siano andati a Copacabana a fare una cosa che non faccio mai: tagliarmi i capelli. Io me li spunto da solo, con la macchinetta, quando serve. E niente, siamo lì con questo barbiere argentino con la cintura da gaucho, solo con le forbici al posto dei coltelli e vediamo che subito dietro il suo negozio c’è un tatuatore.
Presi da quel momento incredibile ci siamo fatti questo. E alzata la maglietta, Bottura scopre la scritta “No more excuses”. “Niente più scuse, era quello il senso del mio viaggio, del mio lavoro in quel momento”.
Lou Reed e Andy Wahrol, dalla loro attuale posizione altolocata, avranno sicuramente apprezzato.
8. Bottura e la Maserati.
E per finire, in mezzo a tanta arte, tanta cultura, tanta filosofia e attenzione per i più poveri e bisognosi, quale è il pensiero di Bottura riguardo alla fama, al successo, ai suoi biechi simboli terreni, quali ad esempio il possesso di una prestigiosa e fiammante Maserati?
“Non ho mai voluto comprarmi l’auto grossa – dice Bottura. Quando la Maserati mi ha chiesto di guidarne una mi son posto il problema: in provincia non ti perdonano certe cose, uno subito pensa “ecco, vedi, ha fatto i soldi e si è comprato il macchinone”.
Poi mi son detto: sai che c’è? Va bene così”.
[Crediti | Link e immagini Rivista Studio, Dissapore]