“Agnolotti” ripieni di patate. Un po’ come dire filoncino farcito con grissini o biovetta ripiena di polenta.
Non c’è mamma, non c’è nonna langarola o piemontese che non si metta le mani nei capelli a sentire anche solo nominare una simile scempiaggine.
Eppure, questo è stato uno dei piatti serviti dallo chef Mario Batali alla sontuosa cena svoltasi l’altra sera alla Casa Bianca in occasione della visita di Matteo Renzi negli USA, con regolare first lady al seguito e con la partecipazione straordinaria, tra gli altri, di Giorgio Armani, Paolo Sorrentino, Roberto Benigni, Bebe Vio, la campionessa di scherma paraolimpica, e Giusy Nicolini.
Per questa occasione infatti lo chef di origini italiane, nonché socio di Joe Bastianich in ben 25 ristoranti negli Stati Uniti, come già raccontato da Dissapore, ha voluto approntare per gli importanti ospiti un menù che rendesse omaggio all’italica cucina, tra cui la sua particolare versione dei famosi agnolotti.
Che, essendo appunto denominati “agnolotti” e non genericamente “ravioli”, rimandano inevitabilmente alla cucina piemontese, di cui sono tra i più amati protagonisti.
Peccato però che gli agnolotti piemontesi ben poco abbiano a che spartire con ripieni stravaganti quali patate o altro: i veri, gli unici, inconfondibili agnolotti della cucina piemontese comprendono almeno tre tipi di arrosti, tra cui maiale, coniglio e vitello, accompagnati da cavolo verza o spinaci e, nelle versioni più antiche, il riso, che spesso sopperiva alla mancanza di carne, il tutto legato assieme dalle uova.
Niente patate, né normali né tantomeno dolci.
Gli “agnolotti” di Batali invece sono proprio ripieni praticamente di purè, misto a pecorino, e sembrano più strizzare l’occhio a un altro tipo di pasta ripiena, i culurgiones sardi, che troverebbero l’ideale abbinamento proprio con il vino servito, un Vermentino sardo.
Ma gli “omaggi” all’Italia non si fermano certo agli improbabili agnolotti: come secondo era prevista un’insalata a base di zucca impreziosita dal famoso –letterale dal menù– “Pecorino di New York”, arrivato cioè fresco da ovini autoctoni di Central Park o dall’elegante Fifth Avenue, dove notoriamente sono soliti pascolare e foraggiarsi.
Inoltre, in questo tripudio di piatti e pietanze nostrani allegramente rivisitati, non poteva mancare il più stereotipato omaggio al nostro Paese da parte di tutti gli abitanti del suolo americano: i broccoli, in omaggio forse ai tanti emigranti italiani che, nel secolo scorso, si recarono in America, a “Broccolino”, come questi chiamavano cioè familiarmente Brooklyn.
E ancora, tra i dessert troviamo una classica crostata di mele – verdi, giusto per non essere troppo tradizionali e inquinare lo stile del menù.
Ma per fortuna, in mezzo a tutta questa italianità rivisitata, una certezza c’è: in fondo al menù, tra una crema di mais dolce e una crostata di zucca e mirtilli troviamo la rassicurante, cara e familiare scritta: “Tiramisu”.
Così, senza tanti fronzoli o precisazioni di ingredienti, lasciando quindi intendere di aver seguito la ricetta tradizionale. Quasi a volere in fondo rassicurare gli ospiti, specialmente quelli italiani, di poter trovare, dopo tante bislacche rivisitazioni, almeno un vero piatto sinceramente e autenticamente italiano.