Capita in tutti i campi che incontrare i propri beniamini possa risultare deludente. Lo rockstar, lo sportivo, il pittore: li senti parlare e pensi “tutto qua?”
Sopra tutti succede con gli attori.
Spesso attori immensi, mastodontici, che ti hanno trasmesso emozioni assolute, che ti hanno fatto vibrare in ogni corda si mettono a chiacchierare e dicono un monte di banalità. Come è possibile? Ci si chiede.
Nel caso specifico degli attori io credo sia dovuto al fatto che un attore è un contenitore, e più è plastico, meno ha identità, più riesce a far comunicare i personaggi che lo abitano.
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Ma gli altri?
I cuochi non fanno eccezione.
Ci sono chef raffinatissimi, che elaborano ricette articolate, complesse, tecniche, poetiche, inedite, ardite e poi ci prendi un caffè sperando che ti rivelino il senso del creato e invece niente, persone normalissime, qualche volta persino noiose.
Eppure creano dei capolavori. Perché?
In questo caso io credo che sia come per lo sport, per il calcio: l’intelligenza –la sensibilità, l’estro, la potenza– di tanti chef non ha sede nella testa ma nelle mani. Così come un calciatore può avere i piedi intelligenti e il resto no.
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Spesso, il cervello degli chef è nei polpastrelli, al posto delle mani hanno un violino: quando lo suonano, il cosmo risuona con lui e il palato di noi tutti va in estasi. Quando invece soffiano altrove, è facile che stonino, che magari addirittura spernacchino.
È normale così, forse persino giusto. Se hai davanti Maradona non vuoi che chiacchieri, vuoi vederlo giocare a pallone.