Si è appena conclusa l’edizione 2019 de “La Città della Pizza”, evento annuale dedicato alla promozione della pizza in tutte le sue varianti italiane, con la partecipazione di 39 noti maestri: tra loro Francesco Martucci, famoso pizzaiolo de “I masanielli” di Caserta. Abbiamo partecipato al suo workshop e vogliamo condividere con voi la sua lezione.
Ne è passato di tempo da quel piccolo angolo di Via Lincoln, da quella caverna che ha dato i Natali ad uno dei pizzaioli campani oggi più celebri d’Italia. Ne son passati di sacchi di farina, sudore, ammaccature storte e infornate sbagliate; a Francesco piace ricordare, in ogni occasione, che nessuno “è nato imparato”, quasi a prendere le distanze dal vizio (figlio del boom mediatico che la gastronomia sta vivendo) sempre più dilagante di considerare la cucina “un compitino” privo di faticosa gavetta.
La pizza ieri, la pizza oggi
Lo ha ripetuto anche in occasione del suo workshop dedicato all’importanza dell’impasto: un tempo si stendeva e si infornava per necessità, per riempire la pancia della gente, placando la fame dell’avventore.
Già a 10 anni si era costretti ad aiutare nell’attività di famiglia, spesso una pizzeria, pulendo i bagni e i pavimenti, cercando di scorgere con occhio vigile il maestro che ammaccava quei dischi magici.Si partiva per necessità, ma si finiva con l’innamorarsi di quel mestiere.
Oggi l’attenzione per il cliente richiede tutt’altro approccio; Martucci ammette di “vivere” per il cliente, di aver studiato come riportare leggerezza e scioglievolezza nei suoi impasti per raccontare un’esperienza, un gioco, un’identità.
Per lui vuol dire essere sempre presente ne I Masanielli, vuol dire ammaccare 1000 pizze al giorno, dalla prima all’ultima, ma significa soprattutto buttare quelle stese o cotte male, per non prendere in giro gli avventori che spesso arrivano da parecchio lontano.
L’impasto come metodo, non come ricetta
Ma qual è quindi il senso per Martucci di “studiare” un impasto?
Anzitutto, è necessario avere piena consapevolezza di ciò che si sta facendo.
Una delle prime domande di Lara De Luna, giornalista incaricata del botta e risposta con il maestro, riguardava proprio la tendenza esasperata ad idratare la napoletana contemporanea.
Per Francesco la questione è molto semplice: se è vero che, a parità di peso, un panetto con più acqua contiene logicamente meno amidi e proteine, è anche vero che idratare senza considerare l’importanza della farina e della corretta cottura porta ad un’inevitabile gommosità sul prodotto finito, mettendo a rischio la digestione del consumatore.
Voi dite “pre-impasto”, Martucci dice “farina”
Del resto è la farina che assorbe l’acqua, non certo il contrario.Ed è la farina la protagonista e regina di un impasto, la componente sulla quale deve essere costruita una ricetta, un processo.
Oggi si rincorre lo sviluppo “facile”, il pre-fermento, la biga, ma dove gli altri vedono un’imposizione da “tendenza” (fatta per le pizze da Instagram, che ormai sono tutte tremendamente identiche) Martucci vede uno studio unicamente influenzato da fattori veramente importanti come temperatura e umidità, che egli gestisce al millimetro grazie ad una cella segreta dedicata alla fermentazione dei suoi bambini.
Il panorama dei pizzaioli odierni è fin troppo pieno di esaltati, di maniaci dei like e dei follower, che dimenticano tuttavia la cosa più importante: quella pizza qualcuno la dovrà mangiare.
Senza coscienza del processo, delle variabili, delle fasi e degli ingredienti si rischia di crollare al minimo intoppo.
La vera sfida del pizzaiolo
Lasciate che ve lo dica: durante il suo workshop Francesco Martucci ha fatto di tutto per dimostrare quanto sia fondamentale risolvere i problemi in corsa, adattandosi al contesto per replicare comunque il risultato.
L’assunto fondamentale è questo: ovunque il pizzaiolo sia, con qualsiasi forno e banco, deve essere in grado di tirar fuori la SUA pizza, quella che rappresenta la sua identità. Per il casertano, manco a ripeterlo, parliamo di un disco di taglia media, con il cornicione perfettamente sviluppato e uniforme, di un colore bruno che ricorda quello del pane, e che al morso presenta dapprima un leggero “crunch”, per poi concludere con un’inconfondibile leggerezza.
Nella lezione svoltasi a Roma il maestro è arrivato con un impasto diretto all’84% di idratazione, realizzato con una tipo 0 di forza medio-bassa. (Toglietevi dalla testa che sia fosse il suo impasto originale; Martucci è un uomo profondamente geloso, i suoi veri figli non ve li farà mai vedere). Si è trovato in loco un piccolo Valoriani alimentato a legna e un Moretti Serie S elettrico; ha deciso di pre-riscaldare entrambi fino a 430-440 °C, in modo da mostrare lo stesso prodotto cotto in forni completamente differenti.
Ecco, fidatevi di chi ha assaggiato la pizza de I Masanielli: i due dischi sfornati avevano il 100% del carattere Martucci.
Francesco si è detto innamorato del forno elettrico, che permette per altro di raggiungere un effetto “crunch” ben superiore e che tanto piace ai suoi clienti.
Facile – direte voi – è il suo lavoro, che pizzaiolo sarebbe se non sapesse fare una pizza in un forno differente dai suoi?
Eh, non vi sto a dire quanti “professionisti” ho visto andare in panico davanti ad un nuovo strumento.
La prima regola è che non esistono regole
“Usi il diretto o l’indiretto?”
“Qual è la temperatura ideale per la cottura di una pizza?”
“Che farina usi?”
Chissà perché non sono rimasto stupito nel sentire domande simili.
Ma la risposta di Francesco mi ha riempito il cuore di gioia, quasi quanto l’elogio al forno elettrico.
La pizza non ha regole, perché la farina non ha regole generiche, né tantomeno si può banalizzare su concetti come temperatura e umidità; ogni farina ha il suo grado di assorbimento, ogni cella di fermentazione il suo tempo ideale per il riposo, ogni forno la sua cottura. Certe cose finché le dico io è un conto, ma quando le dice Martucci, fa un certo effetto: “Non esistono cose giuste o sbagliate, esistono solo pizze buone e pizze non buone.”
Il buon esempio: la carta birre de I Masanielli
Terminare questo articolo, già abbastanza incensante, con un elogio a Martucci, potrebbe rendermi a tutti gli effetti una sua groupie, ai vostri occhi. Sta di fatto che il pizzaiolo dall’occhiale modaiolo, proprio negli scorsi giorni, ha rinnovato la sua carta birre, da sempre attenta al comparto artigianale locale, con una selezione di bottiglie esemplare: si va da birrifici italiani inappuntabili, come Extraomnes, Canediguerra, Birranova e Almond ’22, a capisaldi dell’artigianato brassicolo internazionale, come Brasserie della Senne, Sierra Nevada e De Dolle.
Esemplare non tanto per la selezione in sé, che qualunque buona consulenza può ottenere, quanto per il messaggio trasmesso, da un pizzaiolo sulla cresta dell’onda, a una gastronomia completamente disinteressata alla birra artigianale: volete essere dei fighi? Allora non fregatevene della birra, così come non trascurate le materie prime delle vostre pizze.
[Crediti: Francesco Martucci | Immagini: Alessandrio Iorio ]