Oggi sull’inserto RFood di Repubblica c’è una lunga e bella intervista di Marco Trabucco a Ferran Adrià che racconta i propri progetti —al solito visionari– per il futuro.
Adrià non ha bisogno di presentazioni per il pubblico di Dissapore: chef e patron di El Bulli, il più rivoluzionario ristorante del terzo millennio, ora cervello di un’infinità di iniziative, alcune a fianco di suo fratello Albert.
L’intervista è lunga e articolata ma c’è una battuta, una singola frase che è davvero affilata, me l’ha sottolineata proprio Trabucco.
Vado a memoria, ché ho lasciato il giornale in macchina, ma lo scambio era pressoché così:
Ma è vero che c’è un ritorno alla tradizione?
Tutte le volte che sento un cuoco dire che vuol tornare alla tradizione penso che non ha più idee nuove (la frase corretta è: “Tutti quelli che dicono di dover tornare alla tradizione, lo fanno solo perché non sanno più come andare avanti, ndr.).
Ripeto, sono andato a memoria, ma il senso era proprio questo.
Si sa come è fatto Adrià: ti guarda coi suoi occhi perforanti e dice quel che deve dire, senza peli sulla lingua.
Se una considerazione così forte la facesse un altro, si potrebbe pensare a una provocazione e stop. Ma se la fa il più innovativo cuoco degli ultimi decenni è una provocazione ricca di fondamento.
— La cucina, quella italiana soprattutto, è capace di innovare?
— Di battere strade mai battute?
— Di osare là dove nessuno mai ha osato?
— E, soprattutto, chi lo fa?
— Chi, in Italia, sta davvero seguendo un percorso del tutto personale, anche a costo di fallire?