Una pioggia di stelle. Quattro, sfavillanti stellette Michelin che fanno di Enrico Bartolini lo chef più premiato d’Italia dalla 62ma edizione della Guida Michelin per l’anno 2017, presentata l’altro giorno al Teatro Regio di Parma.
Stelle che Bartolini si è aggiudicato per tre ristoranti che portano la sua firma in Italia.
Due sono state assegnate al Ristorante Bartolini, collocato all’interno del Mudec, il Museo delle Culture di Milano.
Una è andata al ristorante Casual di Bergamo, più informale e friendly.
Infine la stella brilla anche su La Trattoria Enrico Bertolini a Castiglion della Pescaia, in Toscana, improntato principalmente su tradizione e territorio.
“Il Pirlo dei fornelli”
Bartolini ha ricevuto la prima stella Michelin a soli 29 anni e la seconda a 33, con una facilità e una leggerezza che rendono evidente il talento e la capacità di organizzare il lavoro tra i vari locali che l’infaticabile chef sovrintende.
E tanto per completare l’elenco dei riconoscimenti, nel carniere di Bartolini si trovano anche 3 forchette Gambero Rosso e 3 cappelli della Guida L’Espresso.
Eppure, nonostante tutta questa gloria, in un’intervista con Corriere Cucina Bartolini non si scompone: fedele a un’etica fatta di molta sostanza e pochissimi vezzi, si schermisce:
“Come faccio a fare tutto? Me lo chiedono spesso, ma io posso solo dire che mi sono fidato delle persone che ho intorno. Forse sono contagioso…».
Così, semplicemente, senza tanti fronzoli, “il Pirlo dei fornelli” –-così ama definirsi lo stesso Bartolini-– condivide con il fuoriclasse della Nazionale” l’abilità innata per il suo mestiere ma anche innegabili doti da regista, che gli hanno permesso di coordinare gli sforzi con quelli dei collaboratori per arrivare insieme al traguardo delle quattro stelle Michelin.
Enrico Bartolini: la storia
Ed è grazie all’apporto, tra gli altri, di Christopher Carraro al “Casual” di Bergamo e di Marco Ortolani a “La Trattoria Enrico Bertolini” di Castiglion della Pescaia che la squadra di Bartolini è giunta ai traguardi odierni e a i riconoscimenti della Rossa.
Traguardi a cui non è estranea una solida formazione: a soli 19 anni Bartolini lascia la trattoria pistoiese dello zio per andare a Londra, sotto la guida di Mark Page nel suo Royal Commonwealth Club. Poi a Parigi, come sous-chef di Paolo Petrini, e poi di nuovo a Pistoia, con Pierangelo Barontini, da cui apprende nuove, importanti tecniche; e infine a Berlino.
Ma sono i tre anni trascorsi tra La Montecchia di Selvazzano e Le Calandre di Rubano, locali storici della famiglia Alajmo e tra i migliori ristoranti d’Italia, quelli in cui Bartolini affina maggiormente il suo mestiere: “prima, ero un po’ più scarpone”, ammette lui.
E dopo tutto questo Bartolini approda alla “sua” cucina: una cucina solida, di carattere, incisiva, contemporanea, anzi, come da definizione più recente “contemporary classic”.
La cucina “contemporary classic”
Tipico esempio sono le sue alici in saor e carpione, un piatto, a detta di Bartolini “super tradizionale. Con l’alice non più fritta ma marinata. Saor dentro, carpione fuori. L’aspetto moderno è nei colori insoliti: si usa anche il blu. E qualche ingrediente asiatico…”.
Tradizione, italianità, ma anche modernità e apertura verso la cucina globalizzata, per andare oltre, verso una cucina che guarda al mondo intero. “Voglio esprimere contemporaneità, piacere di stare a tavola, essenzialità nei piatti con la concentrazione dei sapori ricavati da pochi ingredienti”.
Glam a Venezia: la stella mancata
E in questo firmamento di stelle, in questa pioggia di riconoscimenti, solo una nota stonata: la mancata stella al suo ristorante veneziano, Glam: “Abbiamo avuto troppo poco tempo. Ma grazie alla precisione straordinaria di Donato Scani non ho dubbi che la sua cucina poetica sfonderà». Una certezza, una sicurezza che deriva dalla consapevolezza dei propri mezzi e delle proprie capacità.
E infine, una domanda sulla critica e sulle attuali classifiche gastronomiche: meglio la Guida Michelin o il World’s 50 best?
“La Michelin è la fotografia più precisa che io conosca del mercato e di quello che accade in un paese. È di una serietà impeccabile: anonimato… Controlli effettuati sempre pagando il conto… Riservatezza… I 50 best sono un modo invece più moderno di recensire: meno voti, più classifiche.
Ma io, che sono un po’ all’antica, le pagelle le capisco meglio”.
[Crediti | Link: Corriere della Sera, immagini: Dissapore, Vanity Fair]