“Ah, che bell’ u cafè”. Lo dice pure Fabrizio De Andrè. Trangugiato bollente e solitario come la colazioni dei “duri e puri”o utilizzato quale sturalavandino da stomaco dopo pasti luculliani e non, il caffè pare formare, con gli italiani, un binomio inossidabile e imprescindibile.
Ma è proprio così?
Se andiamo oltre il mito, vediamo che in realtà i piazzamenti per consumo di caffè in Italia non sono esattamente da primato.
Nella sola Europa, a seconda degli anni presi in considerazione, veleggiamo dal sesto al decimo posto in media per consumi pro capite, preceduti da Paesi quali Norvegia, Finlanda e Danimarca, loro sì veri consumatori seriali di caffè.
Come si spiega allora questo scollamento tra la percezione che abbiamo noi italiani della tazzina di caffè, in casa o al bar, come bevanda nazionale, e i dissonanti, freddi dati oggettivi?
La spiegazione è semplice. In Italia il caffè, per quanto amatissimo, è relegato alle due funzioni principali di cui sopra, cioè della colazione o del fine pasto.
Difficile riscontrare un vero e proprio “rito del caffè”, come invece accade per il più raffinato tè, che viene centellinato e degustato con rispetto e un pizzico di soggezione.
Noi gli affidiamo ruoli spesso marginali, da gregario e non da protagonista, facendolo scivolare inesorabilmente da genere di conforto e ristoro alla funzione più bieca di semplice carica per affrontare una giornata di lavoro o per digerire gli (un tempo) abbondanti italici pasti.
In altri paesi europei non è affatto così e il caffè è degustato in molte altre occasioni, e considerato spesso come una bevanda con cui accompagnare i pasti, al pari di vino o birra nonché, appunto, del tè, come accade in molti paesi asiatici.
Sarà per questo che Davide Scabin durante il ciclo di eventi Atelier Espresso ha cercato di stravolgere la tradizione italiana del caffè e ha inserito nei menù degustazione del Combal.Zero, il suo ristorante vicino Torino, l’accoppiata “piatti-caffè”, abbinando cioè tipi di caffè diverso a ogni tipo di piatto proposto.
Un modo per sdoganare il caffè come complemento dei classici pasti e sganciarlo dallo stereotipo della prima colazione italiana.
Ma non è finita qui: l’eclettico chef ha anche rivoluzionato la sequenza del pasto italico, che prevede antipasti leggeri all’inizio in un crescendo progressivo di gusto – e relativa pesantezza – con i primi e i secondi.
Nel suo menù “up and down”, infatti, il nostro comincia con antipasti ben strutturati per poi scendere di intensità con i primi e i secondi, assecondando così i nostri succhi gastrici che, continua Scabin, solo all’inizio del pranzo, e non alla fine, sono pronti ad accogliere qualsiasi genere di cosa buttiamo dentro lo stomaco.
E infatti, il suo menù apre subito con un bel “piccione alla mugnaia con lumache al verde e cavolo cinese”. Giusto per essere chiari.
Il tutto, ovviamente, abbinato all’amato gusto del caffè.
Alcuni abbinamenti tra piatti e caffè congegnati da Davide Scabin:
Piccione alla mugnaia con lumache al verde e cavolo cinese abbinato a un Grand Cru indiano (Indrya) quasi freddo.
Crema di piselli, funghi cardoncelli e maialino servita insieme a uno spaghettino tiepido, entrambi abbinati a un aromatico Grand Cru colombiano detto Rosabaya.
Dentice marinato con trota affumicata e insalata alla senape abbinata a un Grand Cru etiope (Buukela).
Dessert ripulente (Fusione a freddo) accompagnato a un decaffeinato. Quest’ultimo caffè servito caldo: anche giocando con le temperature si può assecondare la nostra decrescente voglia di cibo, precisa Scabin.
[Crediti | Il Messaggero. Link: Dissapore, immagini: Riccardo Campaci. Foto Scabin: Il Cucchiaio]