Ci sono tre categorie di cuochi che amo: i cuochi che fanno onestamente il proprio lavoro; i grandi chef; i giovani talenti.
C’è una categoria di cuochi che ritengo invece perniciosissima: quelli che fanno i fenomeni senza esserlo. Avrebbero magari potuto diventare dei buoni professionisti e invece no, vogliono sembrare geni.
Passare una serata da loro può essere uno dei peggiori modi per spendere i propri soldi.
Per evitare di incappare in questa spiacevolissima situazione, ecco come riconoscerli:
— Copiano i piatti celebri ma senza ammetterlo. “Buona questa passatina di ceci con i gamberi, pare quella di Pierangelini”; “Perché? Ne ha fatta uguale Pierangelini? Ma Pierangelini chi?”;
— Non c’è piatto senza un dripping, senza una pellennata. Ragazzi, se siete portati per il disegno, fate i pittori: si guadagna molto di più;
— Utilizzano tecniche: “tajarin con carota lattofermentata”; “melanzane con garum di mocassino”;
— Non si capacitano del fatto che la Guida Michelin non li abbia ancora scoperti nonostante abbiano aperto il mese scorso;
— Non mettono mai un pacchero a meno di cinque centimetri da un altro, manco dovessero eseguire un’ordinanza restrittiva;
— Parlano della Guida Michelin con supponenza, “son sempre indietro”;
— Non vanno mai a comprare: si fanno arrivare solo il meglio dagli importatori di cibi rari come Longino e Selecta. Così i piatti gli costano più del prezzo di vendita e chiudono in meno di un anno;
— Hanno sempre un ingrediente o una tecnica orientale in carta, usata a capocchia: “cannelloni in brodo dashi”, “bastoncino findus in cottura tataki”;
— Guardano un cliente solitario e chiedono al secondo: “sarà mica uno della Guida Michelin?”
— Nel menu è tutto loro. “La nostra salsa…”, “Il nostro pane…”, “La mia faraona…”: ahò, se è tutto vostro, per me rimane niente?;
— Non c’è piatto che il cameriere non ti spieghi per 10 minuti così si fanno le due di notte e il dopocena romantico sfuma;
— Cuociono a bassa temperatura qualsiasi cosa gli si pari davanti, anche il cagnolino del cliente;
— Scrivono i menu come lo farebbe Guido Cavalcanti: “L’essenza del fiato della libellula che trafigge uno stormo di rondini in primavera”;
— Scrivono i menu come lo farebbe Bottura che fa Guido Cavalcanti: “Il viaggio di un lemure dal Basso Canavese a Ostravetere passando per Bergamo Alta nel giorno della sagra della scarola”;
— Più di tutto, sopra tutto, fortissimamente vogliono avere una stella Michelin.