Vent’anni fa Bernard Loiseau si suicidò. Vent’anni che hanno in qualche modo riscritto la storia della cucina francese, di quella iniziata con il periodo d’oro della ristorazione d’oltralpe firmata prima da Fernand Point (1897-1955, chef de La Pyramide a Vienne), poi da Paul Bocuse (1926-2018, Collognes-au-Mont-d’Or) e, in seguito, anche da Loiseau (1951-2003, La Côte d’Or a Salieu) e da tanti chef a lui contemporanei.
Ma Bocuse e Loiseau hanno vissuto intensamente (insieme) il periodo che va dagli Anni Settanta ai Novanta e che racconta, oltre alla loro crescita personale, della rilevanza che, edizione dopo edizione, assume la Guida Michelin nel panorama ristorativo francese, testimone sempre più fedele dello spaccato di vita dell’epoca. E proprio a una settimana dall’incoronazione dei nuovi stellati di Francia in quel di Strasburgo ci piace fare un passo indietro nella storia ristorativa del popolo della Marianne, dei galli, della Marsigliese, di un’identità nazionale da sempre orgogliosamente gridata al mondo (il discorso del Presidente Macron, su questo, la dice lunga).
Del resto proprio questa edizione della Michelin, se ha incoronato nuovi chef cercando di distribuire equamente i macaron in tutta la Francia riuscendo a evitare di essere, come spesso è accaduto, troppo parigicentrica, ha decretato anche il declassamento (è cosa ormai ampiamente risaputa) di Guy Savoy (1953) e Christopher Coutanceau (1978).
La fine di un’epoca?
E qui nasce spontanea la domanda: non siamo forse alla fine di (un’altra) epoca? Negli anni, poco alla volta, grandi ed emblematici chef francesi sono scesi dal piedistallo senza perdere la loro aura e continuando ad attrarre appassionati da tutto il mondo: è il caso della Maison Paul Bocuse, di Marc Veyrat, di Marc Haeberlin, della Maison Loiseau, di Jean-Michel Lorain, di Michel Trama, della Maison Bras. E poi ci sono Georges Blanc (1943), Michel Guérard (1933), Alain Passard (1956), Pierre Gagnaire (1950), Alain Ducasse (1956), Michel Troisgros (1958) tutti chef proprietari di uno o più locali e che si possono considerare “gli ultimi dei Mohicani in cucina”: una generazione di grandi chef che sono emersi dalle ceneri della Nouvelle cuisine e che continuano a essere al top. Ma gli anni trascorrono anche per loro, miti indiscussi della cucina mondiale, obbligati prima o poi a passare il testimone dei loro saperi per la cucina di oggi e di domani.
Bernard Loiseau e La Côte d’Or
E con loro, ma in modo diverso, Bernard Loiseau ha scritto il suo pezzo di storia di cucina francese guardando fermamente a due riferimenti assoluti: quel Point e quel Bocuse che, come lui, gravitavano nei dintorni di Lione, il granaio di Francia proprio secondo il re dei cuochi Bocuse. E forse non a caso, a vent’anni dalla sua morte per suicidio, sul palco della Michelin, quest’anno, Dominique Loiseau, la vedova di Bernard, ha annunciato i vincitori della Guida per il miglior servizio di sala. Un omaggio in qualche modo dovuto, anche nei confronti di una donna che, nonostante la perdita prematura del marito, ha continuato a distinguersi nel mondo della ristorazione (due master in biochimica e microbiologia, un passato da giornalista e da vice presidente dell’Associazione Relais & Châteaux, vice presidente Meilleur ouvrier de France nella sezione Maître d’hôtel, fondatrice del Festival Culinario Bernard Loiseau che ogni anno si tiene a Mauritius) e ha portato avanti (in seguito anche con l’aiuto dei tre figli) il Relais Bernard Loiseau di Salieu in Borgogna: in cucina al La Côte d’Or da quarant’anni (i primi venti al fianco di Bernard) c’è sempre lui, Patrick Berton che dal 2016, con la perdita della terza, mantiene saldamente la seconda stella Michelin.
La storia di Bernard Loiseau, dicevamo, si intreccia a quella di Francia come racconta un libro eccezionale: Il Perfezionista di Rudolph Chelminski edito in Italia da Ponte alle Grazie. Tra le sue pagine la vita dello chef tristellato francese che lavorò ininterrottamente per arrivare a questo riconoscimento e che si suicidò nel 2003 dopo una recessione sulla guida Gault&Millau.
Non si conoscono le cause del suo gesto, ma all’epoca furono in molti a legarlo al mormorio secondo il quale la Michelin aveva pensato di toglierli una stella. E allo chef stellato (considerato un perfezionista) che amava dire di essere l’unico al mondo quotato in borsa, certo è che La Côte d’Or fu per lui croce e delizia e ne rappresentò la vita intera. Figlio di un rappresentante di cappelli, iniziò presto la sua carriera nel mondo della ristorazione facendo pratica da giovanissimo con i fratelli Jean e Pierre Troisgros nell’omonima Maison a Roanne.
Un passaggio nel 1972 da Claude Verger a La Barrière de Clichy a Clichy che fu acclamato dalla Guida Gault e Millau come promulgatore della nouvelle cuisine capace di valorizzare la leggerezza in contrasto alla classica cucina tradizionale francese. Verger nel 1975 acquistò La Côte d’Or a Saulieu e affidò la guida della cucina proprio a Loiseau permettendogli di costruire il suo stile. Loiseau comprò il locale da Verger nel 1982 e da lì fu uno scalare di successi che culminò nel 1991 con l’arrivo della terza stella Michelin. Celebre nella storia di questo riconoscimento e dello stesso chef, che poco dopo la proclamazione nell’empireo delle stelle vide nascere il suo primo figlio, fu la data dei festeggiamenti: il 24 aprile. Decidendo di chiudere per la prima volta nella storia del locale La Côte d’Or in un giorno lavorativo, Loiseau si mise al volante con Dominique e il piccolo Bastien, seguito da un autobus con tutto lo staff, alla volta di Collognes-au-Mont-d’Or. Dove festeggiare – ricorda Chelminski – se non dal grand Paul? Venticinque anni più vecchio di Bernard “era il padrino di quel mestiere, nonché suo amico, mentore e idolo, ma anche in modo strano, inespresso eppure molto concreto, suo rivale.
E Loiseau aspirava a essere un giorno Bocuse, perché Bocuse era Il Comandante”. E Bocuse, che aveva chiamato a rapporto Pierre Troisgros e Claude Verger che avevano formato il giovane Loiseau, festeggiò come sempre in grande stile: aveva fatto arrivare al suo ristorante due elefanti del circo che si trovava in città e accolse il nuovo tristellato cavalcandone uno, con una magnum di champagne stretta in mano. Da lì in avanti per Loiseau il successo fu in crescita costante per una decina di anni (fino al declassamento della Gault Millau e al suicidio): libri, prodotti gastronomici nei supermercati, il riconoscimento a Cavaliere della Legion d’onore, Cavaliere dell’Ordine nazionale al merito e Uffiale dell’Ordine nazionale al merito. Lo stesso film della Pixar, Ratatouille, prende spunto dalla biografia di Loiseau, in primis per il personaggio di Chef Gusteau.
Loiseau, seppur scomparso prematuramente, lasciò in eredità per quel periodo un vero e proprio stile di cucina: “Niente viene nascosto dalle salse come si usava si vecchi tempi – racconta sempre Chelminski. Io faccio le salse, ma il loro ruolo è di lasciar esprimere gli ingredienti perché sappiano di quello che veramente sono. Non ho mai più di tre o quattro sapori nel piatto e il sessanta per cento del mio lavoro consiste nel trovare i fornitori migliori per i miei ingredienti”. Potrebbe tranquillamente essere la frase di uno chef di oggi.