Appena entrato nella nostra classifica dei migliori panettoni dell’anno, e con una quarta posizione che gli è valsa il premio dedicato alla stella nascente – The Rag di Atripalda è un progetto caleidoscopico, dalle diverse sfaccettature tutte accomunate dalla passione, l’amore per il dettaglio e il senso di famiglia di Gian Paolo Capaldo. Ve ne siete accorti, e abbiamo intercettato la vostra curiosità: occasione perfetta per una chiacchierata con il nostro miglior lievitista emergente, per capire da dove arrivi la sua ispirazione, quali sono le sue idee per il futuro e cogliere tutti gli aspetti di The Rag. E partiamo con una cosa importante: non si pronuncia “The Rag” all’inglese, ma “The Ràgg”, con la G dolce.
Diminutivo di “ragioniere”, com’era conosciuto papà Capaldo. Da queste parti la “scangianome” è una cosa seria: più di un soprannome, un titolo, e va mantenuto e portato con orgoglio, e che ha portato a “mangiare ragionato”, il motto dell’attività.
Cos’è The Rag
“È soprattutto una famiglia. Un fardello che portiamo avanti fondamentalmente in tre persone, io, mia moglie Floriana e il mio braccio destro Marco, che ho avuto modo di ringraziare anche durante la premiazione di Dissapore a Torino. Oltre a loro, due ragazzi che ci danno una mano anche con la gelateria e la cucina”
Cucina?
“Sì. L’ho scoperta ai tempi dell’università, passati a Torino. Volevo diventare ingegnere nel campo dell’automotive, ma ho smesso a pochi esami dalla laurea: avevo capito che la cucina era diventata una malattia, così mi sono detto -se me lo scelgo come mestiere forse è meglio!-. La nostra cucina era nata prima come laboratorio per fare catering, poi ci siamo evoluti per proporre una cena esperienziale per un massimo di otto persone, completamente fuori dagli schemi”.
“Abbiamo tolto i classici ingredienti da turisti, tipo il pesce che non è certo di queste parti, e ai commensali non è dato modo di sapere cosa andranno da mangiare. Tutto alla cieca, a parte intolleranze o allergie su cui ci informiamo: essere riusciti a proporre una cosa del genere qui in provincia di Avellino è stata una cosa importante. Però tanti ci chiedevano se non potessimo aprire qualcosa per un pubblico più ampio, per tutti, ed è arrivata la gelateria”.
The Rag, la gelateria
È sempre stato un mio pallino. Una gelateria di una persona cara, che purtroppo adesso non c’è più, è stato il luogo dei miei più bei ricordi da bambino così, quando è stato il momento di allestire il nostro primo laboratorio, una macchinetta per fare il gelato è stata una delle prime cose che abbiamo comprato. Ne facevamo due kili e mezzo per volta, lo mantecavamo in sala e lo servivamo subito: una cosa quindi ben diversa da un prodotto che poi devi tenere a bancone. Questa primavera abbiamo poi deciso di aprire al pubblico, una gelateria con la nostra visiona: mai seguire le mode, mai prodotti industriali, mai semilavorati.
Come selezionate quindi le materie prime?
“È un po’ una famiglia anche quella: mia madre ha fatto da testimone di nozze a un signore che ha un agrumeto a Ribera, e fa delle arance spettacolari, e ce ne ha mandati tre bancali; il nostro commercialista aveva comprato un rudere sopra Vietri, con un limoneto che non veniva toccato da anni, con l’aiuto di un contadino abbiamo raccolto i limoni. I canditi li facciamo tutti in casa, cerchiamo di mantenere i rapporti più stretti possibile. Abbiamo un’amica che ha un’azienda agricola che produce frutti rossi: a lei serviva qualcuno che producesse confetture e nettari e a noi servivano i frutti. Uno dei pochi prodotti che non riusciamo ad avere tramite questa nostra filiera è il pistacchio, e infatti usciamo con dei prodotti con scritto bello grosso “pistacchi non di Bronte”.
Panettone: le ispirazioni di Gian Paolo Capaldo
Noi ci consideriamo figli di Mauro Morandin, perché è un amico di famiglia e andavamo in vacanza in Val d’Aosta. Dicevo alla mia famiglia: “voi andate in giro, io devo capire come si fa il panettone”. Fortunatamente in quel periodo stava facendo il Panciucco, e ho potuto assistere alla produzione. Mauro rende tutto di una semplicità disarmante, e all’inizio ho stupidamente pensato che potesse davvero essere così facile come sembrava, ma ci sono volute parecchie infornate per capire che non era così.
Il primo anno eravamo ancora influenzati da lui, nel secondo e in quest’ultimo anno siamo riusciti a capire meglio il lievito, che è una cosa che devi vedere, sentire: siamo riusciti a ottenere un prodotto più nostro. Siamo molto contenti dei canditi che facciamo noi, usiamo una farina monocultivar italiana, e l’unica materia prima estera che usiamo è il burro di Normandia. Per il futuro ci piacerebbe lavorare con una farina meno raffinata.
Gli obiettivi di The Rag
“Vorrei fare in modo che l’Irpinia diventasse una destinazione, con la collaborazione di altri artigiani. Qui vicino c’è Vignola, a una decina di kilometri da qua, anche Carmen Vecchione è qui vicino. Dopo tanti anni in Piemonte e aver visto cosa avevano fatto con nocciole e Nebbiolo, ho pensato che anche qui si potrebbe fare qualcosa di simile, non ci manca niente. Abbiamo le castagne, delle ottime nocciole che usiamo anche in laboratorio, i nostri vini, con cinque DOCG. Già con i panettoni, un turista trova tre, quattro nomi giusti nell’arco di dieci kilometri, e diventa interessante. Perché non allargare la cosa?”
Già, perché? Allarga tu, vogliamo la guida all’Irpinia di Gian Paolo!
“Per esempio Luigi Sarno di Cantina del Barone, un piccolo produttore e uno dei pochi che parla di invecchiamento dei vini bianchi. C’è Di Meo, molto interessante dal punto di vista storico, che sta lavorando bene anche dal punto di vista dell’accoglienza, molto importante, e si sta dando da fare per far conoscere l’Irpinia e portare gente. C’è la parte storica delle cantine di Mastroberardino, bellissima da vedere e tante piccola realtà, come Cantine dell’Angelo e altre. A livello di ristorazione abbiamo una splendida amicizia e lavoriamo benissimo con Fiore Agnes di Riserva 24 a Serino, per lui abbiamo fatto il panettone alle castagne, con una farina di tipo 1. È molto interessante anche il lavoro sull’orto del San Gregorio, il ristorante dei Feudi di San Gregorio, e mi piacerebbe andare a trovare i ragazzi di Bulbo, ma sono cinque mesi che sto chiuso in laboratorio!”