A tavola si sta insieme.
Parola di Antonino Cannavacciuolo, che in un momento rubato alla frenetica attività di testimonial pubblicitario (Lollo Caffè, Pasta Voiello, Banca Popolare di Bari, Alitalia, Unieuro, Consorzio Per La Tutela Del Formaggio Gorgonzola…) ha trovato il tempo chissà come di scrivere un nuovo libro di ricette, titolato appunto “A tavola si sta insieme. I menù per le serate in compagnia”.
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Il libro non è strutturato come un normale ricettario, con la classica ripartizione tra primi, secondi, contorni e dessert, ma in base a vari tipi di “menù”, ognuno dei quali suddiviso in cinque portate: il numero giusto, secondo il protagonista di Cucine da Incubo per un menù conviviale, come ha spiegato a Repubblica Sapori.
Cinque, il numero perfetto
“Cinque è il numero giusto: tre portate sono poche e quattro è un numero che non mi piace. Così i piatti sono cinque.
Ma non nel canonico ordine dal primo al dessert: “alcuni hanno due antipasti, poi primo, secondo e dolce; altri due secondi; altri due primi.” Oltre ai menù stagionali e a quelli che mixano influenza del Nord e Sud Italia.
I cavalli di battaglia
All’interno del volume si trovano grandi cavalli di battaglia dello chef, piatti che per anni hanno incontrato l’apprezzamento dei clienti di Villa Crespi, il ristorante due stelle Michelin di Cannavacciuolo a Orta San Giulio, sul lago d’Orta, come la triglia al frutto della passione e gli immancabili piatti di pasta secca.
Secca, sì: Cannavacciuolo è stato forse il primo chef a sdoganare la pasta secca nei ristoranti stellati, in genere centrati sulla pasta fresca, e ne va orgoglioso:
“Alcuni mi davano del pazzo perché avevo messo la pasta secca nel menu di un ristorante d’alta cucina. Si riteneva fosse un ingrediente per la cucina di casa o la trattoria. Ma per me è sempre stato la bandiera della cucina italiana, non volevo rinunciare”.
Anche l’accoppiata frutta-piatti salati è un classico dello chef campano: “Il frutto della passione, che ora si trova un po’ dappertutto, era un azzardo da mettere in un piatto salato. Sono contento di questo percorso. Sono tutte ricette che parlano molto di me”.
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Nel nuovo libro sono presenti piatti semplici, poco elaborati, così come quelli più strutturati, dice lo chef facendo una raccomandazione: “attenzione, quando si cucina, una ricetta deve essere provata più volte, prima che prenda forma”.
A tavola per socializzare
Per chiarire meglio il suo concetto di cibo come momento di convivio e di aggregazione, Cannavacciuolo si affida ai ricordi di infanzia: “sono cresciuto con pranzi e cene dove lottavo contro la legge di mia mamma: appena si iniziava a mangiare, la tv doveva essere spenta. E così, oggi, in cucina la televisione non c’è. La tavola ti dice chi sei veramente: da dove vieni, come ti comporti”.
Non a caso per Cannavaccioulo la cucina rappresenta anche altro: “A casa mia, chi non si sedeva entro l’una e cinque minuti rimaneva senza piatto. Tassativo. La cucina è educazione. Ma anche creatività”. Insomma, la cucina come gioia, ma anche ricordo e famiglia: non per nulla la sua ricetta preferita, quella che lo emoziona di più è la pasta e fagioli della nonna.
La cura per i clienti, anche vegetariani e intolleranti
L’obiettivo primario di Cannavacciuolo non è mai stato mostrare i muscoli con virtuosismi gastronomici, ma badare soprattutto al benessere dei clienti. Per questo nel nuovo libro ha inserito menù vegetariani o per intolleranti:
“Cucinare è un atto d’amore e generosità. Nel caso del ristorante, anche un servizio per il pubblico. Con i “no” non si mettono a loro agio le persone. Se qualcuno vuol venire nei miei locali mi piace pensare di soddisfare tutte le esigenze, dettate da scelte personali o da motivi di salute che siano”.
Allo chef campano piace “il cliente che si affida, si lascia andare, abbandona i pregiudizi su cibi che a casa non avrebbe mangiato, perché magari non sono attraenti, che so, per esempio il polmone o le cervella. Il cliente che si lascia consigliare e viene per rilassarsi, per farsi coccolare. È il momento ideale”.
I giudici del giudice
Il giudice di Masterchef ammette di sentirsi a volte “controllato” dai propri clienti, molti dei quali approdati al suo ristorante in seguito alla popolarità televisiva.
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“Con la notorietà della tv è arrivata anche la curiosità di chi viene quasi con un senso di sfida per controllare se davvero c’è qualità. Poi si trova bene e leggo nei suoi occhi quasi una delusione per non aver trovato difetti da criticare”.
[Crediti | Repubblica Sapori]